Se non ci fosse da riderci su, la questione alcune volte potrebbe trasformarsi per me in un vero e proprio dramma. Il fatto è che non conosco affatto mezze misure. Diciamo pure che sono vittima di alcuni meccanismi di natura maniacale che spesso riescono a prendere del tutto il controllo della mia testa, e non facendo io dall’inizio alcun tipo di opposizione, mi lascio tranquillamente guidare ogni volta sul ciglio di circoli viziosi, dall’apparenza innocua, che in breve tempo si trasformano invece in veri e propri tunnel di dipendenza, di cui riconosco la pericolosità troppo tardi, quando ormai vi sono definitivamente annegato. Per fortuna non si tratta (quasi) mai di abitudini poi così nocive o letali: le droghe, ad esempio, non mi hanno mai neanche lontanamente incuriosito, ma non escludo che, se cominciassi, mi troverei sulla strada della più misera perdizione nel giro di dieci, al massimo venti giorni. Ecco, forse è proprio questo il punto: se sperimento una qualsiasi cosa da cui riesco a trarre anche il minimo piacere o divertimento, questa assume immediatamente le sembianze della mia nuova fonte di beatitudine, un’occupazione o una fantasia prediletta in cui mi butto a capofitto tralasciando senza pudore qualsiasi altro impegno o incombenza, un’urgenza e una priorità che non lasciano più spazio ad ulteriori attività. Ed è sempre stato così, sin da bambino: se avvertivo nascere una nuova passione per un argomento studiato a scuola, l’assecondavo fino a conoscerne tutto lo scibile, passando intere giornate sui libri, a sviscerarlo sotto ogni suo aspetto, anche secondario, per saperne di più dei miei stessi insegnanti. Stessa cosa per lo sport (che ho abbandonato anni fa, lasciando libera la natura di compiere il suo passaggio distruttivo sul mio corpo): iscritto a un semplice corso di nuoto, il mese successivo ero in vasca, ogni giorno, anche il sabato, a dimenare bracciate come un forsennato per ore e svariati chilometri. Quando poi mi sono dato alla corsa, ho sfidato quotidianamente strade sconnesse, salite e intemperie, ma non riuscivo a rinunciare neppure di fronte alla follia di un giro in pieno inverno, sotto la pioggia scrosciante, a orari adesso improponibili. Per non parlare del cibo: capacissimo, ancora oggi, di divorare in pochi minuti e senza pentimenti, intere scatole o stecche di cioccolato (meglio se fondente), quando poi decido di mettermi a dieta arrivo a perdere peso al ritmo di 5/6 kg al mese (mai più preso un simile slancio però, neanche ora che ne avrei un gran bisogno). Inutile aggiungere che simili pulsioni, di colpo, vengono poi impunemente abbandonate dal sottoscritto da un giorno all’altro, senza peraltro una vera ragione. Non si tratta ovviamente di tirar fuori un improvviso e salvifico rigore, qualità del tutto assente in questo mente bizzarra, né di forza di volontà, mai posseduta neanche a sprazzi, né tantomeno di self control, risorsa preziosa di cui avrei invece disperata necessità ogni volta che mi sfuggo. Più banalmente, a un certo punto, mi stufo. E ciò che fino a un minuto prima mi appariva così insostituibile o irrinunciabile esaurisce dunque il suo potere magnetico ai miei occhi, i quali di sicuro andranno altrove in cerca di qualcos’altro con cui rimpiazzarlo. Circostanza che al momento aspetto accada con la mia attuale passione culinaria, la marmellata di zucca, che, manco a dirlo, divoro barattolo dopo barattolo, e che mi ha reso di nuovo, come in tutti i casi precedenti, una creatura quasi del tutto monofaga.
Sul podio delle mie recenti ossessioni di questi anni, che almeno non incidono sull’ordine degli acquisti al supermercato o sulle mie drastiche oscillazioni di peso, è salita con sorpresa un’irrefrenabile quanto al momento totalizzante dipendenza da social network e app. Eppure non mi ritengo un essere particolarmente predisposto o dedito in generale al mondo della tecnologia: ho imparato a fatica a far funzionare un pc, a suon di imprecazioni e “fatal error”, e compro un nuovo telefonino solo in caso di necessità, dopo uno smarrimento, un furto o quando di sua iniziativa decide di tuffarsi nella pozzanghera più profonda di tutta la provincia (il tutto ovviamente già accaduto). Ma dal giorno della mia sciagurata iscrizione a Facebook, ad esempio, da cui non sono riuscito a staccarmi più di dieci minuti, anche la notte, per le prime tre settimane, continuo imperterrito a condividere con i miei amici frasi sceme, link musicali e foto di dubbio gusto con un ritmo spasmodico, che ha del preoccupante. Poi è arrivato il momento di Twitter: che mi aveva stimolato con l’illusione di poter conversare o interagire con personaggi noti o che ammiro profondamente, i quali, in tutta risposta, nel migliore dei casi invece mi ignorano, nel peggiore riescono perfino a mortificarmi o massacrarmi in soli 140 caratteri. Capitolo a parte merita la mia ultima mania, lo scambio di messaggini tramite Whatsapp: piattaforma con cui divulgo informazioni basilari (come la lista della spesa o i milioni di inutili emoticon che inoltro al mio amore), oppure tengo monitorata, tramite assillanti richieste di foto, la crescita dei figli dei miei amici, soprattutto vengo sommerso da quel disgraziato di mio cognato da una quantità impressionante di video, spesso hard, che cancello all’istante prima che mi partano a tutto volume in bus o in treno. Con il risultato che ad ogni vibrazione vera o presunta che pare giungermi dalla borsa, arrivo a controllare compulsivamente, ogni sei secondi, il telefono, in attesa di quel simpatico dischetto verde foriero di un qualche nuovo messaggio in arrivo. E adesso che l’app è stata acquistata qualche giorno fa dall’onnipresente Marc Zuckerberg, artefice dello stesso Facebook, per la modica cifra di 19 miliardi di dollari (http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/economia/2014/02/19/Facebook-compra-WhatsApp-19-miliardi-dollari_10109224.html) operazione che l’ha reso, di fatto, il proprietario di tutto ciò che possiedo sul mio cellulare, ad eccezione di agenda, calcolatrice e sveglia, ho come l’impressione che dovrei moderare o troncare del tutto la mia dipendenza, per evitare di dare in pasto ulteriori dettagli sulla mia vita privata a qualche squalo della comunicazione. Sarà ormai troppo tardi? Anche per iscrivermi di nuovo in piscina?