Pittarello Rosso diventa PittaRosso con Simona Ventura [SPOT TV 2014] – YouTube.
Nessuno rimarrà sorpreso o sconvolto dalla seguente affermazione, ma detesto avere torto. E va bene, mi si dirà, in fondo è una caratteristica piuttosto tipica, forse indicativa, di tutti quegli individui che, sopravvalutando il peso delle proprie opinioni, non si limitano a rivestirle di una fittizia e quasi sacrale importanza, ma fregandosene dei limiti della comune decenza o di una discrezione talvolta apprezzabile, si dimostrano perfino così presuntuosi da costruirci intorno, ad hoc, un personalissimo quanto insensato spazio virtuale. Motivo per cui, quando a darmi in qualche modo contro o ad evidenziare l’infondatezza di certi miei pensieri ci si mette il web stesso, mezzo su cui mi vado illudendo, da tempo, di avere anch’io una mia, seppur flebile, voce in capitolo, ecco che stizza e malcontento raddoppiano. Proprio l’altro giorno, a riprova di quanto io stesso possa naturalmente beccare in rete qualche granchio, una mia amica che decide di postare sulla sua pagina Facebook uno spot amatoriale (mi si perdoni la momentanea dimenticanza, non ricordo più di cosa), parodia di una tra le più celebri pubblicità del passato, quella del profumo Egoiste di Chanel (per chi ha la memoria corta o un’invidiabile giovane età linko qui l’originale: http://www.youtube.com/watch?v=2JSRXtH3wRk). Ebbene, credevo, per quanto all’epoca riuscito, famoso, costoso (venne appositamente costruita dal niente la facciata di quel finto hotel), lo spot di Chanel sbeffeggiato è però troppo vecchio (anno 1990, quasi un quarto di secolo) per mantenere ancora una sua efficacia comunicativa, per permettere a chiunque di cogliere esplicitamente quel richiamo, anche ironico, che presuppone però un preciso tuffo indietro negli anni. Mi sbagliavo (frase che vi consiglio di leggere attentamente adesso, può darsi che non la ritroviate mai più): pollici su e commenti di apprezzamento continuavano a moltiplicarsi sotto la pubblicazione dell’anteprima del video e soprattutto sotto i miei occhi increduli, sintomo di quanto anche una semplice e non più recente pubblicità, se basata su un’idea convincente e ben realizzata, possa arrivare a godere di una fama più duratura di quanto probabilmente si sarebbero mai aspettati i suoi stessi creatori. Per un’irritante e sgradevole coincidenza, grazie ad un successivo messaggio di quella stessa amica, mi ritrovo per di più ad essere smentito nelle mie convinzioni una seconda volta, e nel giro di pochi giorni poi: perché, in mezzo ai suoi affettuosi saluti e ai racconti della sua movimentata vita familiare e professionale, ecco che mi piazza un diretto “ma l’hai visto lo spot di PittaRosso (video allegato)? non pensi sia il caso di scriverci qualcosa?”. Ed io, dall’alto del mio piedistallo di spocchia, con tutta la sufficienza del caso, che le rispondo lapidario “ma è così brutto, a chi vuoi che interessi?”. A chiunque, tranne che a me, mi verrebbe adesso da aggiungere, visto che dopo Suor Cristina e Conchita Wurst (personaggi di cui, per fortuna, mi sono occupato con una discreta tempestività) è forse il terzo fenomeno più commentato, scandagliato, preso di mira dall’intero e cattivissimo popolo della rete. Che, giustamente, ne ha fatto l’emblema della pressappocaggine e della più ripugnante banalità oggigiorno imperante sui nostri media. Che, a ragione, ne ha sottolineato, colpito, demolito quella sciatteria di realizzazione, la totale ed evidente mancanza di una trovata di base, l’incomprensibilità di quell’odiosa musichetta martellante su cui allestire l’insulso ballettino, una marcia zoppa e disarticolata, evocazione pessima dei famosi e già imitatissimi passi degli All Blacks. Che, come prevedibile, si è più volte interrogato sulla presenza di un volto noto come la Ventura e sulle oscure ragioni che l’avranno spinta a metterci la faccia (soldi? una fornitura vitalizia di scarpe? una scommessa persa?), sull’ambiguità di quella frase “te lo dice la Simona in rosso” pronunciata però in abito candido (errore? furbizia? budget esaurito?), sul disastroso risultato finale, di un orrore epocale, difficile da dimenticare. Elevandolo, al contempo, come ineguagliabile termine e idolo assoluto della bruttezza contemporanea, un’apologia della sconclusionatezza e del mal riuscito che si trasforma, a tutti gli effetti e suo malgrado, in un clamoroso successo. Bersagliato, scimmiottato e cliccatissimo. Con il reale rischio di ritrovare, fra venticinque anni, ancora qualcuno disposto a prenderne nuovamente ispirazione per l’ennesima, avvilente, parodia.