Ananas d’autunno…

PPAP(Pen-Pineapple-Apple-Pen Official)ペンパイナッポーアッポーペン/PIKOTARO(ピコ太郎) – YouTube.

Pensavamo di essere sopravvissuti, indenni, all’onnipresente ed asfissiante assalto acustico di quella Sofia targata Àlvaro Soler, canzonetta impossibile da evitare ad ogni radio distrattamente accesa negli scorsi mesi o in ogni più sperduto chiosco estivo scelto come isolatissimo rifugio, salvo poi ritrovare il suo stesso autore, le sue faccine più disorientate che intelligenti, a rimpiazzare Mika nell’ultima giuria di X – Factor, tra le discutibili sperimentazioni tricologiche di Arisa e l’unica, vera, invidiabile, chioma – per tutti gli over 25 non proprio capelloni, come me – quella di Manuel Agnelli. Speravamo di esserci lasciati finalmente alle spalle quella coreografia un po’ sgraziata, le braccia abbandonate in un movimento disarticolato, contorno all’inspiegabile successo del brano Andiamo a comandare firmato Fabio Rovazzi, furbo talento dal volto apparentemente cagionevole, ultima scoperta del tatuatissimo Fedez – quarto giurato nella stessa edizione di X- Factor e protagonista del gossip sentimentale più chiacchierato degli ultimi tempi, la recente e very social relazione con la fashion – blogger Chiara Ferragni. Ci auguravamo di aver detto sostanzialmente addio, con Duele el corazon di Enrique Iglesias, a quell’inarginabile ondata di motivetti dal ritmo caliente, infarciti con le medesime sonorità latine e con le stesse, tre, quattro, riconoscibili parole in lingua spagnola, tipo bailar, beso, te quiero, espediente neanche così originale visto che decenni fa aveva già decretato la fortuna musicale di suo padre Julio (quando si dice “buon sangue”). Eravamo insomma convinti che salutata a malincuore la bella e soleggiata stagione ci saremmo congedati anche dalla leggerezza e dalla fin troppo studiata orecchiabilità dei suoi amati/odiati tormentoni, per far necessariamente spazio, insieme alla consueta malinconia autunnale, a successi di ben altro calibro, respiro, spessore. Quello che non potevamo prevedere è che invece il primo, inarrestabile, fenomeno in musica di questi mesi sia un brano demenziale (e naturalmente già virale), che se paragonato alla breve lista di hit estive poco prima elencate, le eleva al rango di possibili rivali del premio Nobel alla letteratura assegnato nei giorni scorsi a Bob Dylan. Si tratta del pezzo PPAP (Pen, Pineapple, Apple, Pen, ossia Penna, Ananas, Mela e Penna, video allegato) un titolo che ricorda una filastrocca per bambini e un interprete a dir poco surreale, il giapponese Piko Taro, personaggio nato dalla fantasia del comico e dj Kosaka Daimaou, lo stesso che compare nella clip in un imbarazzante look animalier color giallo zafferano, a metà fra il kitsch di Leone di Lernia e gli eccessi estetici della compianta Marta Marzotto. Una sorta di Sacha Baron Cohen in salsa nipponica, un nuovo personaggio improbabile al pari del suo stesso brano, un continuo non – sense fatto di strampalati accostamenti linguistici, ma che con i suoi quasi 75 milioni di visualizzazioni ottenuti in rete in pochissimo tempo rischia addirittura di spazzare via il precedente record del Gangnam Style di Psy, l’altro inverosimile cantante giunto da Oriente che aveva conquistato il mondo (oltre un miliardo di clic) a suon di replicabilissimi passi. In attesa di una terza, assurda, star dagli occhi a mandorla che offuschi d’imporvviso la loro smisurata e repentina fama: o di una vera, struggente e magnetica canzone con cui deliziare lo spirito nelle nostre inesorabili sere d’autunno.

Solidarietà a secchiate

Donatella Versace ALS Ice Bucket Challenge – YouTube.

In questo scorcio d’estate meterologicamente capricciosa, per non dire fin troppo avara di cieli azzurri (eccezion fatta per quei magnifici e soleggiati venti giorni di Agosto che, per un inaspettato e sfacciato colpo di fortuna, hanno finito per coincidere in toto con le bramate vacanze del blogger scansafatiche autore di questa pagina, inducendolo a presenziare maggiormente sulle spiagge che non sul web…ma questo forse l’avevate già notato) occorre forse ripartire dalla constatazione di una, assai dibattuta, anomalia avvenuta sul piano della comunicazione. E cioé che, per quanto emittenti radiofoniche e case discografiche abbiano fatto davvero del loro meglio per assediarci e asfissiarci ovunque con i soliti, ballabili e orecchiabilissimi tre, forse quattro motivetti pop, tutti ugualmente aspiranti al titolo ambito di tormentone di stagione, ma nessuno dei quali, a dire il vero, poi divenuto vincitore incontrastato, l’onnipresente, più rilevante e martellante fenomeno globale di questa estate 2014 non è stato un brano musicale ma, al contrario, un video amatoriale. No, non sto naturalmente parlando del criticatissmo “sexy – incidente” capitato su di un palco in Perù alla nostra Laura Pausini, che troppo fiduciosa nella tenuta dell’accappatoio con cui si stava esibendo in un bis al termine di un suo concerto, ha mostrato involontariamente al pubblico ben altre doti, oltre a quelle canore, episodio che soltanto lo scorso Luglio sembrava comunque aver segnato irrimediabilmente la stagione in corso come quella da ricordare per la fuoriuscita della “patata romagnola”. Mi riferisco invece alla virale e riuscitissima, sebbene causa di inarrestabili fiumi di polemiche, campagna di sensibilizzazione promossa dalla ALS Association, la più importante organizzazione americana impegnata nella lotta e nella raccolta fondi per combattere la SLA, la sclerosi laterale amiotrofica, lanciata proprio in questo mese e nota con il nome di Ice Bucket Challenge (per intenderci “la sfida della secchiata d’acqua gelida”). Il meccanismo è semplice: ogni sfidato ha ventiquattr’ore di tempo per effettuare una donazione in favore della ricerca contro la malattia (in Italia è possibile farla tramite il sito dell’AISLA, Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica, http://www.aisla.it/) pena riprendersi mentre si rovescia (o gli viene rovesciato addosso) un secchio pieno d’acqua ghiacciata e quindi diffondere il video. Inoltre ciascuno sfidato deve a sua volta sfidare, nominandole nel proprio video, altre tre persone (le più varie o le prime che vi vengono in mente) a fare altrettanto, innescando così in questo modo una catena di solidarietà e divertimento che abbia comunque il fine di far circolare l’iniziativa sui media, per dar maggior spazio alle informazioni sulla terribile malattia e ovviamente ottenere allo stesso tempo più proventi possibile. E se in tutto il mondo la campagna, che ha coinvolto trasversalmente personaggi dello sport (da Cristiano Ronaldo a David Beckham), colossi dell’informatica (Bill Gates e Marc Zuckerberg in primis), celebrities di ogni sorta (in allegato il video di Donatella Versace, il migliore, a mio modesto parere, per quell’attimo di esitazione accompagnato da un italianissimo “No, aspetta” dopo un accorato appello a contribuire in un inglese compassato) e anonimi donatori desiderosi dei pochi loro minuti di notorietà (esilaranti i vari video con scivoloni ed errori di ogni sorta trovabili in rete), non sono mancate, soprattutto in Italia, critiche crudeli mosse all’insolito progetto, che si sono poi estese ai numerosissimi volti noti che ne hanno preso parte. Scagliate soprattutto dal severo popolo di internet, troppo dedito, come il sottoscritto, a elargire opinioni e bacchettate anche quando non richiesto, così come ad affrettarsi a rimproverare il vuoto narcisismo di chi ha aderito alla campagna (lo stesso che però non gli vieta di essere presente con milioni di selfie, ad ogni ora su ogni social network), esigendo in alcuni casi perfino la foto, la fattura o comunque la prova delle reali donazioni effettuate (sorvolerei inoltre qui sulle ridicole prediche fatte a Luciana Littizzetto, rea di aver sventolato solo 100 euro nel proprio video e dunque tacciata di tirchieria, e sul capitolo a parte che meriterebbe la strumentalizzabile doccia gelata di Matteo Renzi, primo ed unico capo di Stato a rispondere all’appello). “Coltivate il senso dell’umorismo: c’è tanto da ridere al mondo, degli altri, di voi stessi, delle cose che vi parevano così importanti e che invece erano così stupide” consigliava con ironia pungente, nel suo premiatissimo libro d’esordio del 2009 L’ultima estate, Cesarina Vighy, malata di SLA e scomparsa l’anno successivo, opera divenuta oggigiorno più attuale che mai. Una lezione che in tanti, troppi, in tutta questa assurda vicenda, dovrebbero forse tenere bene a mente.

Baby chi?

Baby K – Non cambierò mai ft. Marracash – YouTube.

In questi ultimi due anni, musicalmente funestati da drammatiche perdite che ci hanno privato, in maniera trasversale, di artisti diversissimi per genere, pubblico e look (secondo un ordine bislacco che va da Whitney Houston per giungere fino a Little Tony), le cattive notizie nell’universo della canzone paiono non voler finire. No, questa volta non si tratta, per fortuna, di un lutto inaspettato, anche se la vicenda potrebbe proprio assumere i contorni di un addio definitivo: quello annunciato, senza troppi giri di parole, da Chiara Iezzi, cioè la Chiara del pop-family-duo Paola e Chiara (che avevamo imparato a distinguere a fatica, dopo anni, perché chiara lo è anche di capelli…fosse stato il contrario, un dramma!) sulla sua pagina Facebook soltanto qualche giorno fa (http://www.style.it/star/musica/2013/06/04/paola-e-chiara-addio-alla-musica.aspx#?refresh_ce). Ma, al di là dei durissimo j’accuse mediatico scagliato online dalla maggiore delle due sorelline della dance italiana (“dopo 17 anni di musica nessuno crede in noi” ha tuonato…chiediamoci perché, mi verrebbe da aggiungere), che poi “ine” non lo sono più neanche tanto, dato che hanno raggiunto, rispettivamente, la significativa età di 39 e 40 anni, il fine ultimo dello scioccante (si fa per dire) post, scopriamo subito dopo, è quello di lanciare la loro ultima fatica discografica, Giungla (“probabilmente l’ultima” continua nel suo sfogo Chiara) in uscita il prossimo 11 Giugno. Ma come, hai appena scritto che sei stufa di essere bistratta dalla critica e dalle major, di essere etichettata come una cantante di serie B dalla stampa e dal pubblico, e invece di reagire con un moto di orgoglio, di sdegno, di superiorità, che so, orchestrando un abbandono della scena in perfetto stile Greta Garbo, silenzioso e d’effetto, mi lanci un disco nuovo? Un po’ come quel grottesco ex-premier, che messo alle strette in un paio di interviste televisive, ripeteva come un mantra “Vuole che me ne vada? Me ne vado?” e poi rimaneva sempre lì, ben piantato al suo posto.

Certo, a giudicare dalle classifiche di iTunes, dove il singolo Divertiamoci, primo estratto dall’album Giungla, sta sfiorando ogni giorno di più la vetta, è stata la mossa migliore; con il rischio effettivo che il motivetto, di un’innegabile e fin troppo studiata orecchiabilità, la stessa a cui le due sorelle ci hanno abituato da tempo, finisca per diventare il prossimo, soffocante, tormentone estivo. A contendergli l’ambito primato però potrebbe essere il nuovo pezzo di un astro nascente della scena musicale nostrana, Non cambierò mai, che porta la firma di tale Baby K (video allegato), all’anagrafe Claudia Nauhm, trentenne italiana cresciuta tra Singapore e Londra, artista prodotta da un altro nostro divo d’esportazione come Tiziano Ferro (con il quale ha duettato nella hit Killer), salutata un po’ ovunque come una ventata di freschezza perché rapper, tutta frasi cattive e ribelli, e soprattutto donna (http://www.grazia.it/Stile-di-vita/musica/migliori-dischi-canzoni-2013-cosmo-bowie-daft-punk-timberlake). Ora, se è pur vero che in Italia il rap sembra comparso all’improvviso solo da quando esiste Moreno, l’ultimo vincitore di Amici della De Filippi, che possiede almeno il pregio di discostarsi dal filone ragazza graziosa, voce graffiante e testi da pubblicità di automobile (leggi Emma Marrone ed Alessandra Amoroso), santiddio, fossi La Pina, che va snocciolando testi in rima più che apprezzabili da almeno 15 anni (prima cioè della sua sfavillante carriera televisiva e radiofonica), a sentirmi dire che una “rapper al femminile” qui da noi è una novità, mi salirebbe la pressione alle stelle. Ma tant’è: perlomeno Baby K dimostra più senso dell’umorismo, avendo scelto appunto quel nomignolo, Baby, che si confà perfettamente alla sua altezza non proprio da valchiria. Al contrario delle sorelle Iezzi, che già nel titolo del loro primo album, Ci chiamano bambine, parevano lagnarsi per lo stesso motivo. Insomma, che fossero due tipe permalose, potevamo capirlo sin dal principio.