Difficile immaginare un regalo più sorprendente per festeggiare i propri 60 anni, considerevole traguardo raggiunto, non proprio in sordina, soltanto lo scorso 2 Maggio, dalla più bionda, discussa e tenace icona della moda internazionale, Donatella Versace. Eppure sua signora del platino abbagliante e della più sfacciata trasgressione in passerella, erede, suo malgrado, di quel barocco e controverso impero stilistico costruito sin dalla fine degli anni ’70 grazie alla genialità del fratello Gianni (tristemente assassinato nel 1997) ci ha così da tempo abituati alla costante frenesia delle sue altalenanti vicende private e professionali, che rimanere di nuovo spiazzati dall’eco di certe nuove e sbalorditive trovate sembrerebbe ormai quasi impossibile. Eccezion fatta per quello scatto firmato Mert & Marcus lasciato trapelare sul proprio account Instagram da Riccardo Tisci (foto allegata) e che ritrae proprio l’italianissimo designer, da una decina d’anni al timone della storica maison Givenchy, teneramente appoggiato alla Versace, scelta dunque come singolare testimonial della sua prossima campagna autunno/inverno. Una decisione che non solo si pone al di là di ogni più ragionevole consuetudine esistente nel fashion system - uno stilista affermato che posa per un’altra casa di moda francamente non si era mai visto – ma che rappresenta anche una piccola rivoluzione sul piano estetico per la stessa Givenchy, tradizionalmente associabile al fascino raffinato e discreto di dive del passato come Audrey Hepburn. E che adesso scommette invece sull’originale e naturalmente platinata presenza della Versace, riconoscendole più che mai il valore trentennale del suo innegabile ruolo di icona ante litteram e sui generis, in un’operazione dettata forse anche da sincera amicizia, oltre che da ovvie ragione di marketing, e che assume tutti i contorni di un gradito e spassionato omaggio, al quale vogliamo unirci. Perché Donatella Versace non potrà mai forse essere indicata come un esempio calzante di eleganza tout – court - troppi tacchi, troppo attillata, insomma sempre troppa – diventando poi spesso un facile bersaglio su cui scagliarsi per quell’eccessiva e deleteria smania di ritocchini, ma è al contempo una donna a cui non sono mai mancate abbondanti scorte di coraggio e di vera umiltà. Per aver riconosciuto sempre di non possedere neanche la metà del talento del fratello ma senza per questo aver indietreggiato di fronte alla gravità dei suoi faticosi compiti, per non aver mai nascosto pubblicamente tutte le proprie fragilità e i propri disastrosi errori e per essere comunque riuscita ogni volta, caparbiamente, a rialzarsi. Una musa guerriera a cui si perdona anche l’aver recentemente abbandonato, sul red carpet del Met Gala di New York, lo scorso 4 Maggio, quella sua nota sfumatura accecante di biondo in favore di una nuance da serigrafia warholiana e l’aver inguainato nella stessa occasione l’esplosiva Jennifer Lopez in un abito piuttosto improbabile che farebbe sembrare qualsiasi altra donna dai fianchi mediterranei un insaccato appeso in macelleria. Peccatucci in grado di commettere solo lei, l’unica nostra diva di nome Donatella, o comunque la prima a comparire, in un qualsiasi motore di ricerca, ben al di sopra di quella coppia di cantanti semisconosciute da reality show.
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Caro buon vecchio stile…
Che l’estenuante e non sempre fruttuosa ricerca di un testimonial ideale, il volto noto e forse inaspettato da immortalare in una campagna pubblicitaria, replicata poi all’infinito sulle pagine dei giornali come su migliaia di manifesti per strada, sia un sentiero ormai battuto da decenni dalla stragrande maggioranza dei brand di moda, non é più certo una novità. Curioso è semmai constatare come per la prossima primavera/estate si sia invece aperta una vera e propria battaglia tra gli eterni fautori, nelle foto patinate, del necessario binomio bellezza/giovinezza, stavolta ahimé surclassati per intuzione, coraggio e ritorno mediatico da marchi che hanno invece scommesso sull’originalità di visi e nomi solitamente ignorati dagli obiettivi più glamour, anche per motivi anagrafici. Insomma difficile far passare sotto silenzio la radicale trasformazione in atto, se non altro per quella singolare ventata di freschezza che, al contrario, pare non aver sfiorato alcuni colossi della moda, cristallizzati su scelte a questo punto più simili nei toni a repliche sbiadite di soluzioni già proposte in passato che a spiazzanti novità. Uno su tutti Calvin Klein, il gigante del ready to wear e dell’intimo a stelle e strisce, forse colpevole di averci ammaliato nel tempo con la bellezza acerba e imperfetta di Brooke Shields e Kate Moss o con la muscolatura da manuale di anatomia di Antonio Sabato jr e di Mark Wahlberg (in versione precinematografica, quando con lo strambo pseudonimo di Marky Mark tentava di farsi largo nel mondo del rap), e che questa volta ripiega con fiacchezza, tra il banale e il prevedibile, sul faccino imberbe del ventenne cantante canadese, idolo delle ragazzine, Justin Bieber. Lasciando svanire così nel nulla ogni accento sexy o provocatorio a cui ci avevano abituato, sin troppo bene, le sue storiche campagne in bianco e nero, l’ultima, quella con l’angelico e monoespressivo Bieber protagonista, seppur affidata alle mani esperte del duo fotografico Mert & Marcus. E se in tutta risposta brand come Givenchy e Versace hanno optato rispettivamente per il fascino più maturo, seppur altrettanto inflazionato, di due dive planetarie come Julia Roberts e Madonna, arriva però da Céline, storica masion francese dal 2008 capitanata dalla designer britannica Phoebe Philo, la più azzeccata e controversa scelta di questa stagione. Momentaneamente accantonati gli splendidi visi o i corpi scultorei di attrici e supermodel, lasciati ad altri l’uso massiccio di levigazioni innaturali da photoshop, sempre soprattutto in linea con quell’ideale di assoluta raffinatezza e zero concessioni al cattivo gusto, con quel mood sofisticato e un po’ snob che permea le collezioni del marchio, ha chiamato come testimonial la non più giovanissima scrittrice statunitense Joan Didion. Che, al di là della sua meritatissima e inarrivabile fama di penna colta e tagliente (è stata giornalista di Vogue negli anni ’60, autrice di saggi e romanzi pluripremiati, da Prendila così del 1970 a L’anno del pensiero magico del 2005) si è lasciata ritrarre, non senza un briciolo di coraggiosa ironia, dal fotografo Juergen Teller nella totale brutalità dei suoi ottant’anni appena compiuti (foto allegata); senza il bisogno di ricorrere a strati di make – up o a ritocchi digitali, ma con l’unico, studiato espediente di quei grandi occhialoni neri che ne occultano in parte il volto, aggiungendone, se possibile, un accento più chic. Sottolineando infine ciò che la moda sembra spesso purtroppo dimenticare: l’eleganza passa anche tra le pieghe del cervello, a qualunque età.
Più Bianca non si può
Dolce&Gabbana Light Blue TV Commercial – YouTube.
Anche se la moda non è fra i vostri principali interessi, anche se ricordate a stento quei quattro o cinque brand tra i più famosi perché letti di continuo nella vetrina del negozio sotto casa o perché vi hanno regalato una cravatta o un foulard firmati (che non indossate mai perché riciclati lo scorso Natale), conoscerete comunque di sicuro il bel faccino del personaggio di cui stiamo parlando. Perché Bianca Balti, 29enne (lei sul serio, mica come il sottoscritto) di Lodi, professione top model, è una delle pochissime italiane (le altre si contano sulle dita di una mano) ad aver conquistato con la sua indiscutibile bellezza le copertine e le passerelle più prestigiose di tutto il mondo. E nonostante alla sua, seppur giovane, età, molte delle sue colleghe sembrano sparire a poco a poco da magazine e sfilate, come nel crudele gioco dei Dieci Piccoli Indiani di Agatha Christie, perché costrette da un prepensionamento inevitabile nel mestiere passati i 25 (fanno eccezione le solite Claudia Schiffer e Naomi Campbell, ancora richiestissime nonostante la 40ina inoltrata), lei resiste, rilancia, risplende. Di più: è praticamente ovunque. Senza neppure la necessità imminente di dover adattarsi ad una nuova carriera, scelta che invece, secondo un diffuso costume nazionale, hanno già caldeggiato le altre modelle made in Italy, reinventandosi un ruolo diverso al cinema e in tv (come Eva Riccobono), in teatro (come Maria Carla Boscono), nella canzone e all’Eliseo (come Carla Bruni). Bianca no, almeno non ancora.
D’accordo, non sarà più il volto della Tim, dove è stata rimpiazzata dalla presenza, forse più rassicurante, di Chiara, la cantante vincitrice dall’ultima edizione di X- Factor. Da una parte, meglio così: in pochi avevano apprezzato la vocina un po’ stridula, con quella “erre” così debole, che la fanciulla purtroppo ha mostrato di possedere, non doppiata, negli spot al fianco di Neri Marcorè (un difetto ce l’ha anche lei, che diamine). Acqua passata: Bianca rimane comunque una delle protagoniste della campagna L’oreal, colei che pubblicizza il mascara dal miracoloso effetto “ciglia a farfalla” (qualunque cosa voglia dire) o la tinta per capelli per ottenere lo “sfumato” (basta poco, un aggettivo, ed ecco che diventa glamour anche quella che, a tutti gli effetti, è una ricrescita trascurata). Ancora: è sempre lei, drappeggiata di rosa pallido, la testimonial del profumo “Signorina” di Salvatore Ferragamo, e la nuova compagna di gommone dell’avvenente modello britannico David Gandy nell’ultimo spot per la fragranza Light Blue di Dolce & Gabbana (video allegato). Lo so, non ci avevate fatto caso: ma non venitemi a dire che a distrarvi sono stati i Faraglioni di Capri, anche se il video fosse stato ambientato al Lido di Ostia, la vostra attenzione sarebbe comunque finita sul costumino bianco di lui. Infine, come se non bastasse, il nome di Bianca è perfino circolato, di recente, fra quello dei presunti consumatori illustri di un nuovo, singolare, prodotto, da poco finito sul mercato, cioè il dentifricio che promette di far dimagrire, il dietifricio (http://www.dietifricio.com/it/index.html): un ultimo ritrovato che pare riesca a tenervi lontani dai cibi, se utilizzato regolarmente. Ora, sugli effetti reali dell’originale articolo non siamo in grado di garantire; certo che, anche in questo caso, la nostra top model sarebbe stata una scelta azzeccata come testimonial, soprattutto se il dentifricio avesse promesso un sorriso abbagliante (lo slogan già c’era, è quello cretino che ho utilizzato io stesso nel titolo di questo post). Se comunque ci fosse l’intenzione di farle girare uno spot al riguardo, per favore, stavolta, non fatela parlare. Oppure affiancatele un tizio bruttino.
L’antitestimonial
Siamo alle solite. D’accordo, la bellezza non sarà poi tutto nella vita. O per dirla con quell’infinità di proverbi che amiamo elargire in queste occasioni, la bellezza in fondo è nell’occhio di chi guarda (ma meno fastidiosa di un bruscolino o di una lente a contatto), perché non è mai bello ciò che è bello (e come potrebbe?) ma solo ciò che piace (a me piacciono da morire le lumache al sugo, dunque sono belle?) e via discorrendo. Oppure, come era solita ripetere Brigitte Bardot, che in fatto di bellezza qualcosuccia in più di noi comuni mortali ne sapeva, se non altro per la sola e forse ipnotica visione di se stessa, tutte le mattine, per decenni, davanti allo specchio, “la bellezza è un dono che va restituito”. Sì, ovvio, verissimo, ma intanto a vent’anni, prima che cominciasse quell’inesorabile trasformazione da meraviglioso volto del grande schermo ad attivista battagliera, un po’ sciatta e piuttosto intransigente, sei stata l’indiscusso sex – symbol di un’epoca e il sogno erotico di milioni di uomini, e non esattamente perché andassi predicando la salvaguardia dei cavalli da macello o dei cuccioli di foca. Ma proprio per quel, come lo chiami tu, dono, mia cara Brigitte, che, ti ricordo, non tutti, anzi, in minoranza, hanno avuto la fortuna di ricevere e dunque di poterne godere o di servirsene, anche se solo per un periodo di tempo limitato, impossibile da prorogare perfino per le più avanzate tecniche di chirurgia estetica. Credo che a questo punto manchi solo di citare l’adagio “altezza mezza bellezza”, ma si tratta solo di un altro caso di saggezza popolare facilmente smentibile, portando avanti proprio come esempio il personaggio che avevo intenzione di affrontare, divagazioni a parte, in questo post.
E cioè un ragazzone di quasi un metro e novanta, che all’anagrafe risulta registrato come Brian Hugh Warner, che come cantante già dalla fine degli anni ’80 ha riscosso poi un successo inarrestabile con il controverso pseudonimo di Marilyn Manson, che soprattutto si è dichiarato, in più occasioni, sadomasochista, autolesionista, particolarmente incline a droghe ed eccessi, e per finire in allegria, l’anticristo in persona. E che a milioni di fan in tutto il mondo risulterà carismatico, talentuoso, forse perfino affascinante. Di certo, bello nel senso più puro del termine non lo è e non lo è mai stato. Non che poi lui stesso si dia da fare più di tanto per accrescere o migliorare la propria gradevolezza estetica; anzi, pare invece ci metta tutto l’impegno per sottolineare con trucco e parrucco da Morticia Addams e altri discutibili artifici i tratti irregolari di quel suo viso inquietante, a cui comunque deve parte della propria fama. Uno sforzo che alla fine sembra sia stato premiato, almeno a giudicare dalla scelta del neo-direttore creativo di Yves Saint Laurent Hedi Slimane, che ha deciso, oltre che di mutare il nome storico dell’azienda in un più semplice e asettico Saint Laurent, di scommettere proprio sulla faccia pallida e picassiana di Marilyn Manson quale nuovo testimonial della griffe (foto allegata). Evento che assume quindi il sapore di una rivincita storica per tutti i bruttini, oggi finalmente rappresentati dal cantante statunitense, nelle pagine patinate delle riviste di moda, tra i soliti attori e indossatori belli e un po’ stucchevoli. Quelle Beautiful People che lo stesso Manson arrivava a deplorare in musica in uno dei suoi brani più noti: e che forse, già allora, aveva il sospetto di poter un giorno tranquillamente scalzare.