Di notte specialmente

“Ti ricordi, vero, che stasera siamo a cena con i miei colleghi?”. Sono quasi le 18.30, devo tassativamente consegnare per il giorno seguente un articolo di 8.000 – 10.000 battute su una serie di negozi di moda, e come al solito, quando mi ritrovo immerso nella scrittura, perdo ogni riferimento spazio – temporale. A riportarmi all’urgenza della realtà ci pensa appunto la premurosa telefonata del mio amore. “Ma certo” replico io, tentando nel frattempo di dare un senso compiuto alla frase che mi è rimasta tronca sul monitor, “stavo chiudendo un pezzo, ma posso tranquillamente finirlo dopo. Tanto la sera sono più rilassato e faccio più in fretta. A che ora è l’appuntamento?” “Alle 8. E cerca di essere puntuale. Ci vediamo lì”. Peccato che “lì” significhi un paesino semisperduto arroccato su una collina distante almeno una mezz’ora di curve che si snodano a mo’ di mulattiera nella campagna toscana. Peccato che sia da ore pietrificato davanti allo schermo per cercare un aggettivo che non abbia già usato in precedenza nel mio testo, e non sia neanche al primo step del serrato programma ‘doccia – barba – stirati la prima cosa che trovi pulita – cerca anche di abbinarla – ricordati dove hai parcheggiato la macchina’, necessario per arrivare in tempo alla cena. Riesco però nel miracolo. Alle 20.05 (cinque minuti di ritardo, direi trascurabile) sono già, quasi impeccabile, nel posteggio del ristorante. Arrivato prima di tutti, tra l’altro. Forse un tantinello nauseato per la corsa in auto. L’articolo però e rimasto incompiuto. Ma posso terminarlo più tardi. La sera di solito scrivo più rapidamente. O così credevo.

Ore 23.44: rientriamo dalla cena. Divertiti, sazi, per fortuna neanche un po’ brilli, perché devo rimettermi per forza sul mio pezzo. Sottovalutando forse l’incidenza che il fritto di antipasti e la doppia porzione di cheesecake possono avere sulla mia creatività, riaccendo il pc. “Ti dà fastidio se guardo un po’ di tv?” mi chiede il mio amore, sprofondando sul divano e facendo partire sullo schermo le repliche di The Voice. “No, figurati, qui ho quasi fatto”. In effetti devo solo parlare degli ultimi due negozi. Scopro però di avere al riguardo delle cartelle stampa telegrafiche, in inglese. E delle foto minuscole. E ora, che scrivo?

Ore 00.31: “Vado a dormire, tu che fai?”. “Tra poco ti raggiungo, spero”. “Lascio accesa la tv?” “NOOO, ehm no…anzi, semmai togli il volume, così mi concentro meglio” “Ok, ‘notte”. Solo, in salotto, dal televisore ormai muto sbuca Shakira che pubblicizza uno yogurt e Kevin Costner in uno spot di una nota marca di tonno. Ho le allucinazioni? Tolgo gli occhiali, guardo dalla finestra, mi sembra di vedere una capra. Rimetto gli occhiali, la capra è in realtà un tizio che sta spingendo a piedi uno scooter. E’ ufficiale, ho le allucinazioni. Oltre a una pessima vista.

Ore 01.03. L’articolo è quasi pronto. Do un’occhiata alle battute: 7596. Troppo poche. Decido di dare avvio a quella che in gergo tecnico si chiama “operazione allunghiamo il brodo”. Comincio a spargere nel testo parole dalla funzione riempitiva, una pioggia di “così” “dunque”, di avverbi in “mente” che prendono sempre tanto spazio, potessi scriverei anche “supercalifragilistichespiralidoso” ma credo che non me lo passerebbero mai. Riconto le battute: 8891. Ci siamo. Le frasi sullo schermo restano però selezionate, pigio distrattamente con il gomito qualche tasto sul pc e puf, ecco che mi sparisce tutto l’articolo. Che non avevo più salvato. Mandando così in fumo l’ultima ora e qualcosa di lavoro. Tocca ricominciare. Di nuovo. Sgrunt.

Ore 01.34: Tra imprecazioni e scoraggiamento tento di ricostruire l’ultima parte del testo andata irrimediabilmente persa. Contemporaneamente la mia vicina di casa brasiliana, nota per esibirsi spesso alle 6 del mattino, all’aperto, in una discutibile interpretazione di Like a Virgin, opta questa volta per una variazione sul tema “annaffiamento notturno del giardino con lite con il fidanzato”. E’ sufficiente per fortuna una mia comparsata alla finestra, tipo pontefice, ma con la faccia visibilmente più scura, per farli rientrare, in silenzio. Torno a scrivere.

Ore 02.12: Passaggio preoccupato nel corridoio, con occhio chiuso e voce intrisa di sonno, del mio amore. “Sei ancora lì?” “Lasciamo perdere. Ma ci sono quasi, eh!”. Biascica qualcosa di incomprensibile, poi si dirige di nuovo in camera. Che cosa diamine avevo scritto di questo negozio? Se solo avessero messo due informazioni invece di questa cartella stampa così risicata. O un’altra immagine. Incompetenti.

Ore 02.39: L’articolo è finito. Per la seconda volta. Le battute sono più di 9000. Poi l’avrò salvato almeno un centinaio di volte. Tranquillo, la situazione è tutta sotto controllo. Grande respiro di sollievo, posso andare a dormire.

Ore 02.44: In bagno mi tolgo i gioielli che in genere indosso, due catenine, tre bracciali, quattro anelli. Quello in argento al medio sinistro decide, proprio stanotte, di non venire via. Tento con l’acqua fredda, con il sapone, con una forza che di solito basterebbe a staccarmi di netto il dito. Niente da fare: l’anello non sale oltre la seconda falange. Pazienza, dormirà con me. Piombo finalmente sul letto.

Ore 03.56: Mi sveglio di soprassalto. Il dito con l’anello recalcitrante adesso è più gonfio e leggermente dolorante. Non sarà che la mano si è ingrossata perché ho scritto troppo? MA L’HO INVIATO IL PEZZO? NOOOO? Mi alzo di colpo, non trovo gli occhiali, inciampo in un paio di scarpe, raggiungo stordito il pc, lo riaccendo, controllo la posta elettronica. La casella dei messaggi inviati è vuota. Riesco a scrivere due righe deliranti al mio direttore, allego finalmente l’articolo, spedisco il tutto. Furioso, stanco, demoralizzato, ritorno a letto.

Ore 05.17: A svegliarmi stavolta è il forte dolore proveniente dal dito incriminato, che non riesco più minimamente a muovere o a piegare. Mi alzo sfinito per la seconda volta, vado in cucina, accendo la luce, al posto del medio mi sembra di avere qualcosa vagamente somigliante a un salsiciotto violaceo, con addosso un collare d’argento. Provo a ungerlo con l’olio (il sonno aguzza l’ingegno), fino a che, circa al ventesimo strattone tentato, tra urla soffocate e smorfie di sofferenza, riesco finalmente a sfilarmi l’anello. Torno un’altra volta in camera, deciso a  rimanere a letto, l’indomani, fino all’ora di pranzo.

Ore 07.02: Suona la sveglia del mio amore. Che in genere non sento. Ma proprio oggi? Ma perché poi quei due minuti in più dopo le 7? Bah.

Ore 08.22: Scopro che quella che credevo una professione ormai estinta, cioè l’arrotino, non lo è affatto. E nel peggiore dei modi, poi. Perché, forse uno degli ultimi rimasti in circolazione, si piazza, con tanto di registrazione autopromozionale diffusa a gran volume da un altoparlante, proprio sotto la mia finestra. Ok, mi alzerò. Niente riposo a oltranza. Il dito, almeno, si muove. Non che abbia pensato di salutare l’arrotino con un gestaccio (però, come se lo sarebbe meritato). Vabbè, rassegnato, comincio a prepararmi la colazione. Quasi quasi più tardi mi metto a scrivere anche qualcosa per il blog. Ho deciso che di mattina, d’ora in poi, mi riuscirà meglio.

Nessun dorma

Sinéad O’Connor – Nothing Compares 2U – YouTube.

“Vado ad abbandonarmi tra le braccia di Orfeo” mi disse una volta il mio coinquilino pantofolaio e un tantinello bisbetico, con cui dividevo, insieme ad altri due (per fortuna) più simpatici ragazzi provenienti da ogni punto cardinale d’Italia, il primo, poco (e male) arredato eppure disordinatissimo appartamento affittato ai tempi dell’Università. “Ehm, forse dovresti aggiungere una M” provai a rispondergli, non tanto per rivendicare quell’unica occasione nella vita in cui mi tornarono utili i miei studi classici, quanto per ribadire che, se proprio vuoi lanciarti in una citazione pseudocolta, per conoscere la quale basterebbe riempire due cruciverba in più all’anno, almeno fai il tentativo di riportarla in maniera corretta. “Hai ragione, scusami. Vado ad abbandonarmi tra le braccia di Orfeum” fu la sua spiazzante risposta, con cui riuscì ad ammutolirmi all’istante oltre a rendermi chiaro quanto anche il latino, forse più della mitologia, fosse il suo vero tallone d’Achille (tanto per rimanere in tema). Morfeo (con la M, mi raccomando) era dunque, secondo la tradizione letteraria greca, il dio del sonno, dalla natura così sfuggente e misteriosa da poter assumere, nelle sue epifanie notturne, le più diverse sembianze di cose e persone, le stesse cioè che potevano abitare i sogni degli umani. Figura che mi è sempre sembrata affascinante, soprattutto per l’attribuzione di quella capacità di metamorfosi con cui nei secoli passati quei gran furboni di scrittori avevano trovato un’ottima scorciatoia per spiegare ciò che per lungo tempo, e forse ancora oggi, rimane in parte insondabile: il sonno e i suoi meccanismi.

Perché non è soltanto la sfera onirica che continua ad essere indagata e analizzata dal punto di vista scientifico, ma anche la finalità di fasi del nostro riposo, come dimostra, proprio poche ore fa, la notizia della pubblicazione di uno studio, tutto italiano, che spiegherebbe il funzionamento delle onde lente prodotte dal cervello durante i momenti in cui, vinti dalla stanchezza, ronfiamo come ghiri in letargo (http://www.ansa.it/saluteebenessere/notizie/rubriche/medicina/2013/04/03/Identificati-neuroni-interruttori-sonno_8495778.html) attivando così una serie di neuroni che risiedono nella parte più profonda della nostra corteccia cerebrale. E non avete idea di quanta fatica mi costi in questo momento scrivere un post proprio sul sonno, quando, ancora scombussolato dall’arrivo della nuova stagione, dell’ora legale, di un’improvvisa concentrazione di lavoro che mi gratifica l’ego ma riduce notevolmente il tempo che trascorrerei invece volentieri con la testa affondata nel cuscino, tento di combattere il mio torpore pur di rimanere davanti allo schermo ad aggiornare questo blog per rispetto all’impegno ormai preso e a quelle due persone che oggi hanno notato l’assenza di un nuovo racconto. Come se non bastasse, incuriosito anche dalla notizia del nuovo tour italiano, appena cominciato, della controversa cantante irlandese Sinead O’Connor, (http://www.repubblica.it/spettacoli-e-cultura/2013/03/28/news/concerti_29-marzo-55529470/?ref=HRESS-42) perché memore di Nothing compares 2 U (video allegato) come una delle più magnetiche e intense dichiarazioni d’amore in musica di tutti i tempi, sono andato a ricercarmi e ad ascoltare invece i suoi brani recenti, sicuramente interessanti, ma che hanno dato però il definitivo colpo di grazia alla mia già compromessa lucidità. Ok, vado a dormire. Anche perché la notte porterà consiglio, per il prossimo post.