La paura di passare in sordina stavolta c’era, e maggiore del previsto. La buona riuscita dell’intera kermesse perciò, naturalmente auspicabile, non così scontata, senza dubbio meritatissima, alla fine è giunta, forse in maniera ancor più entusiasmante. Quasi compressa fra il contemporaneo clamore per le nomine – shock dell’haute couture parigina (il passaggio alla direzione creativa di Dior di Maria Grazia Chiuri, ex di Valentino e prima donna al timone della maison francese), tra gli abbaglianti festeggiamenti per i 90 anni di Fendi, rei di aver profanato l’intoccabile magnificenza di Fontana di Trevi, e i 30 anni di Dolce & Gabbana pittorescamente allestiti per le vie di Napoli, con un’inossidabile Sofia Loren osannata sotto un baldacchino barocco come una Madonna in processione, Altaroma, la storica manifestazione di alta moda capitolina, poteva forse sparire in mezzo a tanta mediatica opulenza. E invece no. Merito, al contrario, di un programma accorto e ben strutturato, che dall’8 all’11 Luglio scorsi, ha eletto nuovamente i locali dell’ex Dogana di San Lorenzo come sede principale e più appropriata per un esplicito tentativo di innovazione stilistica affidato sempre più al talento di nomi nuovi o emergenti. Merito soprattutto di una formula consolidata che ha fatto progressivamente a meno di inutili eccessi, colpi di teatro o stramberie superflue, per rifugiarsi così in proposte concrete e spendibili, in iniziative lungimiranti, in un terreno in cui la moda intesa come sostanza e non semplice forma potesse finalmente dare i suoi frutti migliori. Come a dire: qui si torna a parlare di abiti, di competenze, di mercato, le stravaganze (immancabili, ma più dosate) lasciamole alla folla (fin troppo) variopinta che assedia spasmodica le passerelle più per il gusto di deliziare il pubblico dei social che per innato buongusto. Su questo registro dunque ci si è mossi sin dall’attesissimo evento inaugurale, Who is on next?, il celebre progetto di scouting, realizzato in collaborazione con Vogue Italia, che, forte di una giuria di mostri sacri del settore (da Franca Sozzani accolta da ovazione da stadio a Suzy Menkes con consueto ciuffo a banana e cappa plissettata viola), ha premiato, forse penalizzando il lieve “citazionismo” di alcune collezioni (come i richiami sottili allo stile di Gucci e di Moschino presenti qua e là), i giovani brand di Brognano (1° classificato) e Miahatami (2°) per il prêt – à – portér e Pugnetti Parma per gli accessori. E proprio dalle scuderie di Who is on next? provengono alcuni dei nomi più interessanti visti, non a caso, negli stessi giorni, come quello del greco Angelos Bratis, vincitore dell’edizione 2011, e artefice di una collezione matura, coerente, chiaramente evocativa in certi drappeggi, grafismi o nei blu, brillanti e insistiti, della sua terra di origine. O quello di Hussein Bazaza (vincitore soltanto lo scorso Ottobre dell’edizione speciale 2015 tenutasi a Dubai), giovanissimo couturier libanese (è nato nel 1990) che coniuga nelle sue creazioni uno spericolato iperdecorativisimo alla predilezione per volumi rigidi e geometrizzanti. Impossibile infine non menzionare l’eleganza raffinata e onirica, al contempo quasi sospesa, di Greta Boldini (foto allegata), brand oggi esclusivamente affidato alle intuizioni sofisticate del designer Alexander Flagella, autore di una collezione portabilissima e di ampio respiro, passando per la sfilata più emozionante, quella siglata dal duo creativo veneziano Arnoldo] [Battois, che mescola impunemente nei propri abiti tracce di Oriente e motivi animalier a tinte fluo ed accessori zoomorfi, in un insieme di grande impatto estetico. Perfettamente in linea con quello che, ci auguriamo, possa continuare ad essere, non solo qui a Roma, il prossimo futuro dei fashion – show: molto, molto meno show, molta, molta più moda.
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Ed io tra di voi…
“Ancora non hai scritto niente? Ma è finita quasi una settimana fa!” esordisce con tono severo il mio amore, durante la prima delle nostre innumerevoli e spesso improbabili conversazioni telefoniche quotidiane, rinunciando anche stavolta alla prevedibilità di un frasario minimo che la natura del nostro rapporto invece richiederebbe (tipo “Ciao, come stai? Dove sei? “Quando torni?”, cose così). “Lo so, ma vedi, il lavoro, i viaggi, il tempo, la stanchezza…” tento di farfugliare io a mia discolpa, acciuffando le prime parole transitate in mente ad un orario che d’altronde ancora non mi permette di articolare frasi di maggior senso compiuto, “Niente scuse. Un vero fashion blogger non avrebbe tardato così tanto!”. Già, un “vero” fashion blogger, eccolo il punto. Una figura mediatica stuzzicante, forse, all’importanza odierna del cui ruolo, però, diciamocelo francamente, in fin dei conti non ho mai aspirato, perché ritenuta così lontana da me per indole, necessità di presenzialismo, vocazione alla stravaganza. Un’etichetta invece, di cui mi ritrovo, mio malgrado, rivestito, ad ogni appuntamento a cui accorro oltretutto volentieri data la natura delle mie competenze e delle mie collaborazioni (moda, costume e dintorni), ma che, in quanto autore di questo modesto spazio online finisce appunto con il relegarmi nel più vasto, variopinto e per me disagevole “calderone” dei fashion blogger. Come è successo di nuovo per l’ultima edizione di Altaroma, la tradizionale vetrina di haute couture nostrana, un concentrato di sfilate, eventi, presentazioni di moda che hanno animato per tre giorni, dal 29 al 31 Gennaio scorsi, soprattutto il volto post – industriale dell’Ex dogana ferroviaria di San Lorenzo: un palcoscenico coraggioso e azzeccato in cui ambientare gran parte della kermesse fino ad ampliarne il senso stesso, per porlo, anche visivamente, ben oltre la Roma sfarzosa e barocca dei palazzi nobiliari, facendone a sorpresa una capitale che può e deve nutrirsi, anche nella moda, di sperimentazione e contemporaneità. Una scelta quella della location, inutile nasconderlo, che ha sollevato in corso più di un dubbio o malumore (“Sai dove siamo qui?” mi fa un collega di fronte a un caffè “Nel quartiere storico dei centri sociali, capisci? Hai provato a farti un giro intorno?”. Beh sì, l’ho fatto subito dopo, grazie del consiglio. Ma non mi sono imbattuto in nessun “pericolo comunista”, solo in viuzze ed edifici dal fascino decadente), ma che è apparsa quantomeno necessaria ad una manifestazione come Altaroma intenzionata a cambiar pelle e quindi sempre più focalizzata nella promozione di giovani talenti, forse altrove facilmente azzerati dall’ingombro di un’opulenza estetica poco in linea con le loro stesse ricerche nel campo.
Di sicuro, di poco adatto all’intera situazione, c’era come al solito l’eccessivo rigore del mio look, (un paio di maglioncini del medesimo tono “ceruleo” da protagonista sfigata de Il Diavolo veste Prada, l’immancabile coppola di un brand low – cost da non sbandierare nell’etichetta per non turbare tutti gli altri presenti): pensiero condiviso perfino dai diversi addetti alla security o dalle solerti assistenti lì al lavoro che non perdevano occasione di intercettarmi ogni cinque metri per chiedermi di mostrar loro il pass nominativo con il regolare accredito, trattamento di rado visto riservato ai vari altri tizi che si aggiravano nei medesimi luoghi con gilet di paillettes, stivaletti tempestati di strass o cappellini svettanti di piume (l’esuberanza decorativa, si sa, viene sempre interpretata come la miglior garanzia di appartenenza al settore). A risollevarmi il morale ci hanno pensato, per fortuna, le interessanti intuizioni viste nelle varie collezioni, dalla raffinata disinvoltura di accostamenti cromatici e materici ad opera del duo creativo Greta Boldini, alla purezza scultorea delle borse di Avanblanc (degno di menzione anche il labirintico allestimento in legno studiato per l’intera sezione espositiva degli accessori), dai colletti e dai ricami di sapore surrealista audacemente poggiati sulle creazioni di Luca Sciascia, alla sfilata più sorprendente e innovativa, quella firmata dal giovanissimo Giuseppe di Morabito (nella foto), nuovo portavoce di una visione di stile senza dubbio coerente e quasi pittorica. Da segnalare, tra i nomi più accreditati, anche quello di Sabrina Persechino, per l’originale ispirazione alla figura mitologica di Aracne esplicitamente dichiarata nei suoi capi, tanto più effervescenti per il giorno, quanto più tradizionalmente austeri per la sera, nonostante gli studiati squarci di nudo ad infiammare la collezione e nonostante che dal posto assegnatomi, in linea del resto con la natura poco autorevole di questo blog, riuscissi a vedere per lo più l’acconciatura delle modelle e qualche schiena vip in prima fila (tra cui Tosca d’Aquino, la più elegante dell’intera kermesse, a mio modestissimo parere). Motivo per cui, nella mia prossima necessaria e stravagante tenuta da fashion blogger, prenderò forse di più in considerazione l’ipotesi di indossare un salvifico binocolo da opera che un qualche accessorio bizzarro, luccicante o ben identificabile da lontano.
Ciak, si sfila!
I codici della più raffinata eleganza targata Valentino c’erano tutti: quel calibrato contrasto fra bianco e nero, ad esempio, dosato con garbo in abiti lineari e lussuosi al tempo stesso, il gusto ricercato per un certo decorativismo grafico, sintetizzato in sottili nervature poste a percorrere le creazioni da cima a fondo. Senza parlare di quell’evidente e minuziosa opulenza dei particolari, come i preziosissimi accostamenti di lavorazioni in pizzo policromo, ribattezzate fusion lace, o l’ispirazione tratta da sontuosi modelli culturali del passato, tra cui i lavori di Emilie Louise Flöge, compagna del pittore Art Nouveau Gustav Klimt. Quella vista a Parigi negli scorsi giorni, sulle passerelle di prȇt – à – portér per il prossimo autunno/inverno è stata insomma una delle collezioni più sofisticate, riuscite, entusiasmanti, firmate dal duo creativo Maria Grazia Chiuri e Pier Paolo Piccioli, che dal 2007 ormai svolge con successo (e fatturato) crescente il difficile compito di rendere riconoscibile e più che mai attuale lo stile della storica maison. A trasformarla però nell’evento mediatico maggiormente commentato, fotografato e in parte criticato, durante l’intera settimana della moda francese, ci ha pensato il divertente colpo di scena orchestrato a sorpresa sul finale: la doppia, irresistibile, uscita ancheggiante sulla passerella di Derek Zoolander e Hansel, alias Ben Stiller e Owen Wilson, i due interpreti della celebre, dissacrante e a tratti demenziale pellicola del 2001 sul mondo della moda Zoolander (di cui Ben Stiller è anche regista, foto allegata). Che, fra gli stessi protagonisti spesso legati a doppio filo al fashion system (Milla Jovovich, ad esempio), comparsate eccellenti di reali celebrities (come Donatella Versace o Lenny Kravitz), e soprattutto le esagerazioni di una trama assurda e sconclusionata, metteva alla berlina la vanità e l’inconsistenza di certe professioni dell’ambiente, riuscendo a suo tempo a sbancare i botteghini e a trasformarsi così in un vero e proprio cult movie. E che adesso si prefigge di bissare gli incassi sensazionali di allora con un attesissimo sequel in uscita negli Stati Uniti il prossimo 16 Marzo, per cui la recente sfida a suon di sguardi ammiccanti tra gli improbabili modelli Zoolander e Hansel, vista sulla pedana di Valentino, assume tutto il sapore di un’azzeccata promozione cinematografica, di certo più efficace di quei continui pellegrinaggi tra una trasmissione tv e l’altra a cui di frequente sono sottoposti, anche in Italia, gli attori in procinto di debuttare sul grande schermo. C’è stato, ovviamente, chi ha quasi gridato allo scandalo, per il rischio concreto di offuscare e di far passare in secondo piano, il lavoro indiscutibilmente egregio ammirato in collezione; c’è stato soprattutto chi ha sottolineato la genialità della trovata, salutandola però come l’arrivo nel brand di una nuova ventata di freschezza pop, una svolta di necessaria ironia dopo una lunga parentesi serissima. E’ forse a questi ultimi che occorre invece ricordare quanto una simile, spiritosa idea possa essere ricondotta ugualmente al dna e all’immaginario di Valentino: è stato proprio lui infatti, ad interpretare spassosamente se stesso nell’altra feroce pellicola sull’universo della moda che era Il diavolo veste Prada del 2006, sempre lui a farsi inseguire giorno e notte, per anni, dalle telecamere, al fine di comparire con tutti i suoi umanissimi pregi e difetti in quell’interessante documentario autocelebrativo che è stato The Last Emperor del 2009. Sapersi prendere un po’ in giro, mettersi totalmente in gioco con la propria immagine, utilizzare con furbizia e lungimiranza il linguaggio graffiante del cinema appartiene storicamente a Valentino almeno quanto la femminilità di certe sue creazioni o il suo celebre rosso (peraltro assente questa volta). Perché nella moda tutto può sempre ritornare: perfino quel briciolo di ironia, da mettere talvolta e volentieri a disposizione delle leggi del marketing.
Alt(r)aRoma
Per un impegno improrogabile arrivo con un giorno di ritardo. Pazienza, il calendario pare comunque denso di appuntamenti, gli eventi in programma sembrerebbero piuttosto numerosi, qualche collezione interessante dovrei pur riuscire a vederla. Peccato che il mio smartphone abbia deciso, proprio durante il viaggio, di cominciare la sua lenta e drammatica agonia verso una fine poco tempestiva. Di usare la fotocamera del cellulare, per immortalare i momenti salienti della kermesse, perciò, non se ne parla. E stavolta non ho neanche con me una macchinetta digitale; a dire il vero, per non appesantirmi di bagagli, non mi sono preoccupato neanche di portare, come faccio di solito, il mio beneamato pc. Tecnologicamente inattrezzato, incupito dall’insolito grigiore del cielo ma armato delle più buone intenzioni, mi accingo perciò a seguire la XXVI edizione di AltaRoma, la manifestazione di haute couture capitolina, che quest’anno non mi sarei perso per niente al mondo, visti soprattutto i noti momenti critici che a meno di un mese dal suo avvio, hanno rischiato di comprometterne del tutto la realizzazione. E invece no. Dal 30 Gennaio al 2 Febbraio, dopo un provvidenziale stanziamento di fondi, con il contributo dello stesso Comune di Roma, la manifestazione è andata in scena: 30 appuntamenti tra sfilate, eventi e presentazioni, un discreto numero di iniziative dedicate ai talenti emergenti, qualche piacevole sorpresa sbucata tra nomi vecchi e nuovi. Quello che segue sarà dunque il personalissimo racconto della quattro giorni di alta moda, condito con tanto di retroscena (spero) divertenti, le immancabili osservazioni o critiche del sottoscritto, le frasi più ironiche o fuori luogo rubate agli altri ospiti e lavoratori presenti. Buona lettura.
La location: Accantonato il complesso di Santo Spirito in Sassia, cornice delle recenti passate edizioni, la kermesse si svolge tra due diverse sedi, vicinissime tra loro: il MAXXI, il Museo Nazionale delle Arti del XXI secolo, superbo e avveniristico progetto di Zaha Hadid, e lo Spazio Altaroma, una tensostruttura provvisoria situata davanti all’Auditorium Parco della Musica. Bene: la scelta del MAXXI, il cui avvincente volto contemporaneo si sposa magnificamente con le collezioni dei giovani designer lì accolte, oltre a rappresentare un sensazionale ingresso per stampa e ospiti. Così così: la tensostruttura, soluzione dettata da ovvie esigenze di rapidità, non incontra le simpatie generali, e viene malignamente ribattezzata “Il Circo Nero”, “La tendopoli”, “Il sacco della monnezza”. Assente un punto di ristoro (gratuito) per operatori, fotografi e stampa accreditata, rimpiazzato dal bar del MAXXI stesso (a pagamento). Da sottolineare: la gentilezza e la professionalità del personale del bar citato, per la prima volta alle prese con le bizzarrie del popolo della moda. Il commento rubato: “Ma perché si chiama MAXXI?” “Mbeh, non vedi quanto è grande?” (due fashion victims in coda dietro di me per l’accredito, evidentemente all’oscuro dell’acronimo del museo)
Accademia di Costume e Moda: il Talents 2015 Fashion Show è forse il momento più entusiasmante dell’intera manifestazione: le 10 mini – collezioni presentate dagli altrettanti studenti diplomati alla celebre scuola, che proprio l’anno scorso ha festeggiato i suoi 50 anni di attività, convincono per l’originalità di idee e l’ottima esecuzione. Bene: Nicolas Martin Garcia, il vincitore decretato dalla giuria di esperti, fa il pieno di applausi per il suo défilé Lolito, una collezione uomo colorata, sopra le righe, di travolgente ed efficace ironia. Così così: il lunghissimo discorso di ringraziamento di Marco Mastroianni, responsabile creazione materiali di Louis Vuitton ed ex alunno dell’Accademia, premiato per la sua carriera da Giovanna Gentile Ferragamo, a cui fortunamente verrà poi passato il microfono. Da sottolineare: le raffinate e femminili creazioni di Tommaso Fux, con cui si apre l’evento, frutto della sensibile visione di un designer davvero promettente. Il commento rubato: “Ma quella con quella cofana non potevano metterla in fondo, che seduta lì davanti non si vede niente?” (un tizio della sicurezza sulla presenza della blogger Diane Pernet in prima fila con la sua acconciatura gotica a torre).
Piccione.Piccione: ultimo vincitore, soltanto lo scorso Luglio, del decimo concorso Who is on next?, il progetto di scouting realizzato da AltaRoma in collaborazione con Vogue Italia, il giovane designer Salvatore Piccione presenta in anteprima la sua prossima collezione A/I di prêt – à – portér. Bene: Coerenti, ben strutturati, onirici eppur ugualmente indossabili, gli abiti di Piccione Piccione sono un crescendo di poetiche soluzioni, spesso evidenziate da ricami scintillanti in 3D. Così Così: certi grafisimi insistiti e certi accostamenti cromatici ricordano un po’ troppo lo stile decorativo di Valentino. Più riuscita la prima prova di Luglio. Aspettiamo con ansia la terza. Il commento rubato: “Ma se è lo stilista è solo lui, perché il brand si chiama Piccione.Piccione?” “Aveva cominciato con il fratello!” “Ah, certo, Due Piccioni non potevano chiamarlo, sai le battute!” (la blogger al mio fianco che tenta inutlimente di istruire il compagno in materia).
Daizy Shely: brand nato dalla fantasia dell’israeliana Aliza Shalali Deizy, formatasi a Milano, dove ha tuttora il proprio atelier, e vincitrice insieme a Salvatore Piccione dello scorso Who is on next?, come lui invitata a presentare la sua prossima collezione invernale di ready to wear. Bene: le camicie e i capispalla dalla maniche lievemente scese, coronate da lunghi polsini fiammeggianti trattenuti da grandi fiocchi, che allungano otticamente le braccia ridisegnando così una nuova silhouette. Così così: tanti spunti diversi, non sempre fusi con la dovuta armonia. Troppa carne al fuoco, insomma. Il commento rubato: “A me è piaciuto il top di piume viola sopra la longuette verde” “non faceva troppo uccello del paradiso?” (due giornaliste in vena di eccentricità all’uscita).
Antonio Grimaldi: tra i couturier più talentuosi della sua generazione, poco incline ad eccessi o colpi di teatro, eppure in grado di distinguersi ogni volta per garbo e raffinatezza, Grimaldi dà vita ad una riuscita collezione di alta moda per la prossima primavera/estate. Bene: innegabile e ben presente il concetto di leggerezza che permea l’intero défilé, dalle creazioni eteree e impalpabili, grazie alla maestria di lavorazioni e tessuti quasi evanescenti. Così così: pressoché assente il giorno, introvabili tailleur o pantaloni, sembra che la donna di Grimaldi non badi mai alla praticità ma viva unicamente ricoperta di volants. Il commento rubato: “Ma chi è quella fotografata accanto alla Cucinotta?” “La ex moglie di Raoul Bova!” “Ah…e cosa fa adesso?” “Non saprei…ma per averlo lasciato io le dedicherei comunque una piazza!” (due giornaliste in vena di gossip all’ingresso).
Project149: finalista al concorso Who is on next? del 2014, il duo creativo Monica Mignone ed Elisa Vigilante illustra le sue proposte di ready to wear del prossimo inverno. Bene: una collezione portabile, ben studiati gli abbinamenti cromatici, il mix di tessuti, dosate con cura le stampe. Così così: nel parterre alcune penne autorevoli del giornalismo di moda fatte sedere dietro a blogger ventenni e sconosciuti. Il fuori programma: al termine della sfilata una signora inciampa sulla passerella e cade rovinosamente a terra, dove rimane per alcuni minuti, tra le premure dell’ufficio stampa e la generale indifferenza degli altri ospiti che la scavalcano pur di guadagnare l’uscita.
Quattromani: Altri finalisti di Who is on next?, questa volta nel 2013, Massimo Noli e Nicola Frau portano una loro capsule collection per l’autunno/inverno 2015. Bene: buona la costruzione degli abiti, forme e lunghezze sufficientemente armoniche, azzeccati i tocchi iridescenti. Così così: 40 minuti di ritardo per una sfilata si perdonano solo a Giorgio Armani. Il commento rubato: “Non saprei, mi è sembrata senza un sapore preciso, come un risotto mari e monti” (una giornalista al termine del défilé, forse in preda a un languorino).
Curiel Couture: Storica maison dell’alta moda italiana, di tradizione tutta al femminile, Raffaella Curiel e sua figlia Gigliola scelgono per le proprie creazioni di ispirarsi al folklore del continente asiatico. Bene: i curiellini, i celebri completi da giorno ideati dalla couturier, in versione ancor più sobria e impeccabile, abbinati a divertenti scarpe bicolori. Così così: l’uscita finale con l’abito che riproduce nelle stampe la Canestra Ambrosiana di Caravaggio, fatto sfilare sulle note di Va, Pensiero. Ridondante. Il commento rubato: “Guarda, io voglio molto bene a Raffaella e a Gigliola, ma la collezione, diciamolo, è un po’ antica” (una giornalista che esterna la sua singolare idea di affetto).
Greta Boldini: brand che nel nome esprime la sua ricercatezza, unendo due icone di stile come Greta Garbo e il pittore Giovanni Boldini, dietro cui si cela la creatività dei designer Alexander Flagella e Michela Musco, finalisti a Who is on next? nel 2013. Bene: una collezione rigorosa e sontuosa al tempo stesso, dalla riuscita vocazione sperimentale nella combinazione di tessuti e ricami. Stupefacente il finale, con le modelle congelate in un tableaux vivant di creazioni (foto). Così così: alcuni volumi essenziali, impreziositi da applicazioni, seppur egregi, ricordano certe soluzioni recenti di Prada. Peccato. Il commento rubato: “La passerella è fatta ad U, e me le fai sfilare in diagonale? E io come le riprendo, a zig – zag?” (un cameraman infastidito dalla scelta della regia).
Catherinelle: Attrice, modella, pittrice, ma soprattutto designer di accessori, la bellissima Catrinel Marlon organizza un cocktail party per presentare la sua nuova collezione di borse chiamata Sublime. Bene: l’ispirazione anni ’70 delle forme, la palette cromatica sui toni autunnali, le fodere realizzate in tessuti vintage. Da sottolineare: la cortesia e la disponibilità dell’ufficio stampa che ci fa entrare con mezz’ora di anticipo per gustare la collezione senza il contorno di folla invitata all’evento. Il fuori programma: una nevicata improvvisa piomba sugli ospiti in attesa, dando luogo a una serie di esilaranti scivoloni sui tacchi.
A.I. Artisanal Intelligence. Evento tra i più interessanti della kermesse, per il dialogo tra diverse forme creative, il percorso di questa edizione si snoda tra la pittoresca Villa Poniatowski e la galleria d’arte contemporanea AlbumARTE. Bene: il singolare confronto tra le storiche maglie di Albertina e le creazioni del giovane couturier Gianluca Saitto. Così così: gli abiti originali settecenteschi, esposti senza alcun tipo di protezione dal pubblico, un rischio davvero enorme, da non correre mai. Il commento rubato: “Sì, bello, mi è piaciuto…vabbé, che sta a fa’ la Roma con l’Empoli?” (un fotografo con la testa alle sue priorità calcistiche).
Sono di nuovo in treno, per fare ritorno a casa. Questa è la prima frase che scrivo, a mano, come d’altronde i migliaia di appunti presi in questi giorni. Mi verrà un post lunghissimo, già lo so. Purtroppo lo smartphone non si è più ripreso, sennò vi avrei fotografato la cupola di San Pietro che sto guardando dal finestrino, illuminata dai raggi del sole che finalmente si è deciso ad uscire. Che città magnifica. Colonna sonora ideale: Arrivederci Roma.
Griffata ignoranza!
Fake questions at the catwalks during Milano Fashion Week – YouTube.
Ecco, ci risiamo, uno (uno a caso, eh, non è mica detto che qui sopra vada parlando sempre e soltanto di me) impiega più della metà della propria esistenza tentando di acquisire competenze e credibilità in un settore, ad esempio quello della moda, perché lo ritiene più affine alla propria indole e alla propria (seppur limitata) gamma di interessi, sprecando fiato e tempo nella necessaria quanto titanica impresa di convincere per anni amici e parenti che al di là di una vacua e appariscente fuffa di contorno, di sicuro esistente in qualsiasi altro ambiente lavorativo anche se meno variopinta, ci siano invece anche fior di professionisti, esperti ineguagliabili in materia, personaggi di tangibile e smisurato talento. Diciamolo senza ipocrisie: risulta immensamente più facile tacciare di inconsistenza e superficialità l’intero fashion – system, per sua natura già connesso con l’idea di una superficie da arricchire, quella del nostro corpo, mentre di rado si tenta di superare i pregiudizi radicati che riducono ad una piacevole e abbagliante facciata il linguaggio della moda, il quale, per essere compreso a fondo, richiederebbe al contario una passione posta ben oltre le frivolezze da shopping, una discreta ed eclettica cultura, uno studio approfondito. Ma i tempi e le modalità con cui si comunicano le trasformazioni nel gusto, al pari delle stesse tendenze, mutano ormai a ritmi vorticosi, e se da un lato il recente e prepotente avvento di internet ha avuto il merito di favorire l’ascesa ed il successo di nuove tipologie di autorità mediatiche in materia, blogger in primis, neo-guru di un mondo, quello delle passerelle, ritenuto per decenni elitario e intoccabile, dall’altro l’illusione di democraticità del web ha di fatto reso possibile quasi a chiunque il potersi appropriare di un ruolo e di una visibilità altrove impensabili o negati. In altre parole: il rovescio della medaglia della facilità smisurata con cui ciascuno oggigiorno (sottoscritto compreso) può essere in grado di costruire uno spazio virtuale intorno alle proprie opinioni e/o previsioni su trend e abbigliamento, è il rischio del proliferare, soprattutto nei circuiti semiufficiali della moda, di personaggi patetici e caricaturali, dediti soltanto all’estenuante e vana ritualità di una propria immagine di forte impatto da dover costruire meticolosamente. Una vetrina autopromozionale reputata ormai indispensabile, che miri solo a ribadire il proprio esserci per essere riconosciuti, nel migliore dei casi notati e dunque fotografati, dati infine in pasto, dopo previa frammentazione in milioni di immagini-tassello condivisibili nei mosaici online di social network e piattaforme, al più vasto pubblico virtuale. Sviliti e svuotati i contenuti, rimane quindi l’inutile incomprensibilità della forma. A smascherare in parte il nulla più desolante su cui si fonda la ragion d’essere di questo simile e a tratti ridicolo, circo mediatico, è oggi un video pungente e dissacrante, una geniale intuizione realizzata dall’agenzia di comunicazione milanese Fasten Seat Belt: pochi minuti che riescono magnificamente a mettere alla berlina i limiti delle conoscenze in fatto di moda del variegato e originalissimo (almeno nel look) popolo accorso alle recenti sfilate milanesi. Il risultato? Tanta stravaganza, poca sostanza, insufficiente in ogni caso ad accorgersi che i diversi personaggi citati a sproposito nelle domande (storici, politici, etc.) non abbiano nulla a che vedere con la moda, a dispetto dell’innegabile prontezza di risposte degli intervistati. I quali, difatti, paiono solo preoccupati della propria (immeritata?) fama di grandi esperti e di non farsi magari beccare in contropiede, ignorando, ahimé, un principio basilare della comunicazione, a prescindere dal luogo o dal mezzo in cui avviene: ad un quesito di cui si ignora la risposta, per correttezza, educazione ed onestà intellettuale, occorre sempre e solo replicare con un sincero “Non lo so”.