Nonsoloblogger…

Non è una caratteristica particolarmente edificante, e farei di sicuro una figura migliore a non parlarne affatto. Ma dato che spesso sono già uscito allo scoperto qua sopra raccontandovi (gran parte de)i miei difetti, che il lunedì grigio e l’umore di una tonalità del tutto simile non mi sono di aiuto nella riuscita di un incipit come si deve, comincerò rivelando  onestamente quello che è il mio rapporto con la lettura. Un disastro. Per quanto non riuscirei a tollerare la mia esistenza se privata della scrittura, per quanto le parole rimarranno in eterno la mia passione e la mia dannazione, per quanto vada considerando da quasi 15 anni quello di fashion contributor (che detta così fa fighissimo, a dispetto di una ben più squallida realtà) per alcune redazioni, a volte anche prestigiose, il mio principale lavoro (e calerei un pietoso velo su tutti le altre professioni che nel tempo mi hanno permesso di pagare affitti e bollette), non sono e non potrò mai essere un buon lettore. E’ sempre stato così, sin dai tempi della scuola, da quando la mia prof di italiano al ginnasio (di nome Lolita, in contrasto con un’immagine e un’età tutt’altro che da ninfetta) mortificava le mie aspirazioni adolescenziali di scrittore schiaffando sistematicamente un’insufficienza ai miei temi e aggiungendo, con un pizzico di perfidia, “Ti prendi troppe libertà. Leggi di più, i classici soprattutto. Guarda lì come bisogna scrivere”. Ma, insofferente già da allora a certe imposizioni e incapace di appassionarmi a ciò che avvertivo come distante dalla mia realtà di sedicenne (e Manzoni o Carducci lo erano abbastanza), ho sempre finito per abbandonare, in genere dopo poche pagine, quei testi, seppur importantissimi (ci mancherebbe), consigliati a scuola, in favore di letture che Lolita non avrebbe mai approvato (le riviste di moda, ad esempio). Riassumendo, ancora oggi, pur riconoscendo il valore di un buon libro, di un pilastro della letteratura o di un semplice bestseller, impiego a volte perfino mesi a scovare un volume che riesca davvero a concludere, mentre rimango un consumatore avido di magazine e giornali, che conservo disseminati in pile sbilenche, sparse ovunque per casa, dal bagno alla dispensa, e che vado consolando da anni con frasi del tipo “non temete, vi troverò una sistemazione adeguata, è una promessa!”.

E’ stato proprio grazie a questa, forse insana, mania, che circa tre anni fa faccio la conoscenza di una nuova rubrica, pubblicata su di un noto settimanale (uno dei più noti, peraltro) tenuta da una giornalista che nasconde, nella foto, parte del volto dietro un notebook aperto e la sua identità dietro il buffo nickname di Elasti. Una folgorazione. Rimango subito colpito dall’ironia del suo stile, dal suo lessico accessibile eppure ricco, dalla particolare sensibilità che traspare in ogni sua singola parola. Devo saperne di più: indago, cerco in rete, scopro che Elasti (al secolo Claudia de Lillo) è da qualche tempo l’autrice di un blog seguitissimo, nonsolomamma (http://www.nonsolomamma.com/), in cui narra le prodezze quotidiane della sua vita rocambolesca divisa tra tre piccoli figli maschi, un marito economista marxista “pendolare” a Londra e un lavoro di giornalista finanziaria part – time. A quel punto credo di non aver fatto altro, per una decina di giorni, che rileggermi per intero il suo blog, dal principio, giorno e notte; come ho continuato a fare, da quel momento, ogni mattina. Perché non rientrerò esattamente nei canoni del suo pubblico (composto principalmente da donne e mamme), ma c’è qualcosa di così attraente nei suoi post, la capacità di dar voce a certi meccanismi umani universali innanzitutto, di descrivere con esattezza certi grovigli emotivi, di porre e di porsi con insolito coraggio certe domande, così piacevole inoltre, singolare, commovente, che attraversare il suo blog è un’altalena di sensazioni da consigliare a chiunque. Solo due giorni fa, finalmente, il nostro primo incontro di persona: dal suo account Twitter, in cui la seguo con l’assiduità dello stalker, scopro che Elasti sarà a Campi Bisenzio, vicino Firenze, per l’inaugurazione di un circolo ricreativo culturale, il Porto delle Storie, (http://www.portodellestorie.it/). Butto all’aria i programmi già fatti da tempo per il week-end, obbligo il mio amore a seguirmi cercando il posto dove è previsto il suo intervento e dove arriviamo con mezz’ora di anticipo (“perché con me sei sempre in ritardo?” mi chiede difatti la mia dolce metà). Elasti è già lì. Minuta, sorridente, gli occhi enormi pieni di riflessi come solo nei vecchi cartoni animati giapponesi tipo Candy Candy. Vinco le mie resistenze di ex – timido, le vado incontro, mi presento, la saluto, lei ricambia con il calore di una vecchia amica che non vedo da tempo. Parliamo fitto per alcuni minuti, delle nostre famiglie, di lavoro, dei nostri progetti, anche di quelli zompati per il week-end. Ogni sua frase conferma le qualità già dimostrate nel suo blog: quelle di una persona umile, spiritosa, di talento. Tutto ciò che ogni blogger vorrebbe e dovrebbe essere.

(ri)Cominciamo!

Charlie Chaplin, Il grande dittatore – Discorso all’umanità – YouTube.

“Un buon attacco. Un inizio che sia accattivante, esplosivo, se non addirittura ipnotico. Parole che catturino da subito l’attenzione, che muovano la curiosità, che guidino il lettore, senza rivelargli ancora troppo, fino quasi alla metà dell’articolo. E poi, a quel punto, inserire la notizia. Raccontare i fatti, tutti, nei minimi dettagli. E dare necessariamente il tuo punto di vista. Mai troppo invasivo, la vicenda non va sovrastata. Le tue opinioni devono trasparire, fare capolino, sfiorare gli occhi dei lettori con la leggerezza di un soffio. Ma l’inizio, oh l’inizio, deve essere invece un urlo in pieno volto”. E’ quello che mi ripeteva ogni giorno Paolo, il direttore di un piccolo ma piuttosto conosciuto quotidiano locale che per primo,  inaspettatamente, mi diede (un bel po’ di) tempo fa l’opportunità di scrivere. Avevo poco più di vent’anni, un futuro pieno di stimoli e di incognite, tanti progetti ambiziosi e poca concretezza (e da allora temo di non essere cambiato molto, se non nell’età). Mi affidavo alla sua esperienza, ai suoi consigli precisi e appassionati che riportavo scrupolosamente su di un’agenda ancora oggi sul mio comodino, ai suoi modi schietti, un po’ burberi, in cui trovavano spazio una singolare sensibilità e una stima senza dubbio sincera. Mi chiamava tre, quattro volte alla settimana, mi proponeva le notizie più varie e assurde, concludeva le sue telefonate dicendo “Lo so, non farebbe per te…però, se vuoi provare” e sfidava di continuo il mio ego a misurarsi con la complessità dei più diversi fatti di cronaca, di politica, con la pesantezza di interminabili convegni di restauro o di medicina. Accettavo di buon grado l’inevitabilità dei suoi tagli e delle sue necessarie correzioni ai miei articoli, che ci teneva sempre a motivare con le dovute spiegazioni, trattenevo a stento l’entusiasmo quando finalmente mi affidava un pezzo di moda, di fronte alla sua faccia che si contraeva in una rassegnata espressione traducibile in “Contento tu!”. Ci siamo salutati a malincuore diversi anni fa, quando mi trovai costretto ad accettare un lavoro meno creativo ma più redditizio, ci siamo ritrovati soltanto ieri, per caso, al bancone affollato di un bar, entrambi provvisti di quei pochi minuti necessari per prendere un caffè. “Ciao…ti ricordi di me?” mi ha chiesto, dopo avermi riconosciuto, io semidistrutto dopo una mattinata da cardiopalmo, lui dietro la solita aria sorniona e severa, sul viso la stessa barba folta che ricordavo, solo un po’ imbiancata. “Certo, come stai? Che ci fai qui?” replico io, felicemente sorpreso dell’incontro “Niente, una sparatoria, qua vicino. Sai com’è. Scrivi ancora?”. “Non ho fatto altro. Ho anche aperto un blog” “Ah bene. Corro subito a vederlo” “Ehm, in realtà dovrei aggiornarlo. Ma…” “Ma? Non hai tempo?” “Sai, gli impegni, sempre di corsa” “Fallo stasera” mi risponde secco. “Ecco, stasera avrei un concerto. L’ho fissato da mesi” “Bene, puoi raccontare quello. Dall’inizio. E mi raccomando proprio l’inizio. L’inizio è tutto, te l’ho sempre detto. Adesso devo proprio andare” e si congeda. Ora, io non saprei dire esattamente il perché, forse perché condizionato dall’eccezionalità dell’evento, forse perché continuo ad avvertire la sua influenza come quella di un’importante autorità, ma ho davvero pensato tutto il giorno alle sue parole. E ho continuato a pensarci soprattutto la sera stessa del mio concerto, quello dei Negramaro, che avevo organizzato da tempo, che avevo voluto comunque mantenere pur in un periodo fitto di piacevoli imprevisti, che consideravo una meritata parentesi di relax in un momento della mia vita soggetto a un’improvvisa accelerata. Ma la sorpresa maggiore dell’agognato appuntamento canoro è stato appunto il suo inizio. La scenografia abbagliante, sei maxi – schermi a led tinti di blu, a illuminare una folla rapita dalle straordinarie parole che venivano diffuse, quelle tratte dal celebre monologo finale de Il grande dittatore di Charlie Chaplin (video allegato). Un discorso efficace, potente, quasi sconcertante nella sua indubbia modernità. Un inizio strepitoso, che vale la pena di lasciare qui per intero. Proprio come piacerebbe a Paolo.