Cantare oh oh oh

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Dopotutto c’era da aspettarselo, data la disarmante prevedibilità con cui anche il telespettatore più sprovveduto sarebbe in grado di pronosticare il vincitore di Sanremo alla prima standing ovation del pubblico presente all’Ariston. E lo scrivo senza voler polemizzare con il già bersagliato meccanismo del televoto (che, a onor del vero, avrebbe ribaltato la classifica finale dove spadroneggiava Nek) o senza voler sminuire il talento indiscutibile dei giovanissimi trionfatori del 65esimo Festival della canzone italiana. Però diciamolo francamente: lo stile e la presenza de Il Volo (tanto per citare con esattezza il nome del gruppo musicale formato dai tre fanciulli) profumano subito e irrimediabilmente di vecchio. Non tanto per il tentativo forse apprezzabile di voler diversificare anche nell’immagine i suoi singoli componenti, assegnando loro un determinato ruolo (il piacione, il precisino, il pacioccone) da interpretare poi sul palco. Quanto perché la sua scontatissima vittoria non fa altro che irrobustire la solita, insulsa, immagine stereotipata e superata con cui il nostro Paese continua ad essere dipinto e incomprensibilmente amato all’estero: buon cibo e bel canto. Quella tradizione canora melensa e datata però (accompagnata poi da tutto lo stucchevole repertorio di moine e sguardi affettati), che non coincide ormai più da decenni – e sarebbe il caso di avvertire prima o poi gli stranieri anche di questo – con i reali e attuali gusti musicali degli italiani, che non tiene minimamente conto degli artisti davvero più ammirati e seguiti in patria, che supera addirittura il concetto stesso di nazionalpopolare, di cui Sanremo è, per carità, l’espressione mediatica più naturale, anche se il Festival una qualche sfumatura più rappresentativa del nostro variegato panorama artistico riesce ancora a incarnarla. Anche se poi ci propina la reunion di Romina e Al Bano – risvegliando le nostalgiche romanticherie delle coppie più agées – anche se manda in onda Conchita Wurst solo dopo la mezzanotte per il timore che una donna con la barba possa turbare i sonni dei bambini (già traumatizzati dalla scoperta che mamma e papà possano in teoria donar loro una quindicina tra fratelli e sorelle, come nel caso della superfamiglia ospitata la prima sera), ogni genere musicale però, dal melodico – pop al rap passando per la canzoncina stupida e irriverente (ce n’è una ogni anno), viene, più o meno degnamente, rappresentato. Compreso quello, non certo originalissimo, de Il Volo: che possiede invero tutto il sapore posticcio di un prodotto preconfezionato e fin troppo studiato per il solo mercato estero (non a caso il loro manager è quel Michele Torpedine, già fautore del successo riscosso quasi per intero fuori dai nostri confini da Andrea Bocelli). Dove, questo va precisato, i tre piccoli fenomeni, finalmente più maturi ed esteticamente più gradevoli rispetto a quando andavano gorgheggiando brani di Claudio Villa o di Massimo Ranieri nella trasmissione Rai Ti lascio una canzone che li ha lanciati (quella con la Clerici in vestitoni improbabili circondata da baby – cantanti dalla voce adulta), hanno già raggiunto obiettivi impressionanti per la loro giovane età: esibizioni applauditissime ai quattro angoli del mondo, duetti con mostri sacri della musica internazionale (da Placido Domingo a Barbra Streisand), ospitate in talk show da ascolti record (intendo il Tonight show di Jay Leno, non di certo Porta a Porta che ogni tanto si preoccupa di invitarli), concerti che hanno registrato il tutto esaurito in luoghi sacri come il Radio City Music Hall di New York. Basterà questo a garantire loro il raggiungimento della medesima fama anche qui in Italia? Dubito. Perché noi, al contrario della romantica ma distante concezione che in terra russa o americana paiono tutt’oggi possedere al riguardo, abbiamo fortunatamente una visione più complessa, concreta, disillusa della nostra sfaccettata realtà da tradurre in musica. Perché l’Italia vista da dentro è molto più affascinante ed enigmatica di quel cliché attardato, tutto pizza, mandolino e O’ sole mio che Il Volo si ostina ancora a voler esportare. Perché consapevoli delle magnifiche contraddizioni e della costante incertezza del nostro Bel Paese, al Grande Amore da urlare a perdifiato preferiamo di gran lunga quei “silenzi per cena” sussurati con l’apparecchio per i denti da Malika Ayane.