Whitney Houston – Saving All My Love For You – YouTube.
E’ trascorso un anno esatto dalla sua scomparsa. Sembrerà assurdo, ma a me manca. Non di certo la persona, magari l’avessi incontrata almeno una volta: vivere per un tot di anni sullo stesso pianeta non è stato sufficiente a far incrociare le nostre esistenze. Forse avrei dovuto bazzicare di più Beverly Hills e dintorni, ma la Toscana mi è sempre sembrata una residenza più chic. Scherzi a parte, un filino di nostalgia la provo. E non solo quando leggo ovunque che la celeberrima I will always love you è stata decretata dagli innamorati statunitensi, secondo un sondaggio commissionato dalla Sony Electonics Home Audio, la canzone più bella di tutti i tempi (http://qn.quotidiano.net/spettacoli/musica/2013/02/08/842743-canzone-amore-san-valentino-whitney-houston.shtml). Una scelta così ovvia, da apparire perfino banale (motivo per cui il brano che qui allego non è l’inflazionatissima colonna sonora di The Bodyguard ma il ben più raffinato successo d’esordio Saving all my love for you, del 1985). Il fatto è che per me Whitney c’era, sempre. Suo il mio primo disco acquistato, quando, dodicenne, guardando le Olimpiadi di Seoul del 1988 sognavo un futuro da sportivo (ebbene sì, è successo. E ho anche più di 29 anni). Sue le canzoni che tentavo di imparare a memoria, da adolescente, con un inglese irripetibile, ascoltandole un migliaio di volte in loop nelle cuffie del mio walkman (l’ipod è stato inventato mooolti anni dopo). Sue le frasi struggenti che sembravano calzare a pennello quando mi si è spezzato il cuore, quando mi sono reso conto che quella volta, forse sì, era vero amore, quando mi tormentavo cercando di capire qualcosa in più di me stesso e quando, inebetito e al settimo cielo, provavo la forza di un sentimento straordinario e travolgente. In ogni passaggio importante della mia vita c’era la sua voce a tenermi compagnia, nelle nottate trascorse tentando di finire il programma di qualche esame all’università, compilando e cestinando (sempre di notte) i miei primi lavori che nessuno avrebbe mai letto, soprattutto in quei momenti cruciali passati a meditare sui miei errori e sul mio futuro. Perché tra quei vocalizzi cristallini, tra quelle note imprendibili per la maggior parte degli esseri umani, tra quegli acuti acrobatici e infiniti saltavano sempre fuori parole che parevano cucite addosso a ciò che stavo vivendo in quel preciso istante. Ecco ciò che mi manca di più: quella sensazione inspiegabile, stupida e appagante che nelle canzoni di Whitney ci fosse sempre un po’ di me. E che da un anno a questa parte non c’è e non ci sarà più.