Dopo aver attentamente seguito con i suoi fratelli, dall’alto della cancellata che sovrasta il parcheggio, quelle due o tre manovre svogliate e audaci con cui finisco per posteggiare l’auto sempre e solo dal lato sinistro (d’altronde soltanto così mi riesce), il primo a rivolgermi la parola è Davide, 7 anni, occhi enormi e indagatori, i capelli venati di un simpatico colore rosso, proprio come il manto di certi scoiattoli che talvolta si vedono scendere giù dagli alberi. “Me lo dici come ti chiami?” gli faccio io subito dopo averlo raggiunto, ricambiando quel suo sguardo liquido e dubbioso, ed eccolo finalmente allargarsi in un primo, disarmante sorriso, per rispondere con prontezza inaspettata alla mia domanda “No!”. Appunto. “Lui è Mister No!” esordisce d’un tratto Giancarlo, un anno più piccolo, stessa aria svelta e furba del fratello, di chi ha imparato troppo presto a cavarsela da solo, mascherata però da un aspetto più mite e angelico, corredato di capigliatura biondissima ed occhi chiari e scintillanti. “Io mi chiamo Renata” aggiunge infine, con una dolcezza irresistibile, l’unica femminuccia del gruppo, sorella di entrambi e gemella di Giancarlo, come conferma l’identico sguardo luminoso e felino, incorniciato da un viso lievemente più paffuto, su cui svetta un piccolo tocco di civetteria, un minuscolo fermaglio a scostare dalla fronte qualche ciuffo di capelli. La temuta fase di presentazione, penso io, è andata meglio del previsto: tenuto a bada quel capriccioso groviglio di emozioni, causa di improvvise e inarrestabili lacrime che spesso si affacciano nei momenti meno opportuni, faccio finalmente la conoscenza della nuova, numerosa e scoppiettante, formazione familiare dei miei amici Silvia e Marco. Tra le pochissime e insostituibili persone su cui posso fortunatamente contare nella vita, di quelle che potresti svegliare nel cuore della notte certo che accorrerebbero senza porsi troppe domande, Silvia è senza dubbio la più indipendente, la più imprevedibile, quella dotata di una risata così fragorosa e coinvolgente da riuscire a trascinare chiunque in ore e ore di singhiozzi incontrollabili e divertiti. “Ho conosciuto un uomo interessante” mi confessò all’improvviso una sera d’inverno di qualche anno fa, lei che non aveva mai apertamente incluso la vita di coppia tra le sue priorità, “E? Dimmi di più!” la incalzai, “Beh, è riservato, ironico, molto piacevole…forse brutto!” “Brutto? Come brutto? Tipo Danny de Vito?” “Direi più Giancarlo Magalli!”. Ovviamente Marco, quell’uomo speciale di cui Silvia era rimasta allora così colpita, non assomiglia neanche lontanamente (e per fortuna) al nostro Magalli. Ovviamente, dopo poco più di un anno da quell’episodio, mi ritrovai piuttosto brillo e forse ancora incredulo a brindare al loro felice matrimonio.
Qualche mese fa, con la stessa consueta naturalezza con cui pochi minuti prima a tavola, durante una delle loro superbe e ipercaloriche cene che spesso preparano per me e il mio amore, ci avevano rivolto frasi cordiali del tipo “Prendi pure dell’altro arrosto. Vuoi ancora un po’ di vino?” Silvia e Marco ci confidarono, quasi all’unisono, dopo un breve sospiro: “Abbiamo deciso di adottare dei bambini!”. Silenzio. Stupore. Stavolta piango. “Bambini? Plurale? Più d’uno, quindi?” riuscii, non so come, a balbettare. “Sì, tre!”. Di nuovo silenzio. E mille parole saltar fuori all’improvviso e rincorrersi tra le pareti della testa. Coraggio. Incoscienza. Attesa. Follia. Amore. Soprattutto amore. Perché non credo esista un’altra e più plausibile ragione che possa spingerti ad affrontare mesi, forse anni, di lungaggini e asperità burocratiche, di continue e concrete speranze spesso rinviate o disattese, di momenti stancanti e precipitosi in cui sei chiamato a rivoluzionare tutta la tua vita per far spazio alle esigenze affettive e materiali di chi d’ora in poi diventerà tuo figlio. E poi tutte le domande, i dubbi, le paure talvolta paralizzanti con cui chi si appresta a diventare genitore deve fare necessariamente i conti, complicate da quel periodo delicatissimo e imprescindibile di contatto, conoscenza e confidenza da dover consolidare in un lungo soggiorno nel paese d’origine dei bambini, spesso uno Stato lontano, di cui è facile ignorare la lingua come le abitudini più elementari. “Stanca? No, perché?” fu la risposta immediata e serena di Silvia, contattata via Skype la prima volta, in una situazione che avrebbe fiaccato chiunque alla sola vista, i tre bambini a scorrazzare su e giù per casa e a salirle in braccio a turno, di sottofondo un escalation di richieste alla rinfusa, immancabilmente concluse con un emozionante coro di “mamma, mamma”! “Sono bellissimi, gioviali, ubbidienti e impazziscono per le bolle di sapone” fece inoltre in tempo ad aggiungere: un’informazione importante a cui sono ricorso per il mio primo regalo, tre coloratissime pistole sparabolle a pile, corredate di tre lacci per maxi-bolle, più una buona scorta di sapone. Risultato: dopo solo venti minuti dal nostro primo incontro, Davide, Giancarlo e Renata non solo avevano i capelli fradici, le mani tremendamente appiccicose e gli abiti pieni di aloni ma avevano soprattutto sepolto il giardino di casa sotto un infinito e surreale tappeto di bolle. “La prossima volta cerca di presentarti con un peluche” mi fa Silvia con un sorrisino sarcastico, incrociando complice lo sguardo di Marco in un puro momento di felicità. Perché diventare genitori è sempre un’esperienza speciale: in qualche caso, semplicemente, un po’ di più.