E’ soltanto un dubbio, ma forse, anche stavolta, si tratta della semplice realtà dei fatti: quello tra moda e tv, è, alla fine, un connubio infelice. Un matrimonio imperfetto, squilibrato, un’unione che genera spesso obbrobri, che mortifica la natura del variegato linguaggio dello stile, che non rende giustizia alle diverse potenzialità del mezzo televisivo. Basterebbe arrendersi all’evidenza che il piccolo schermo sia, tutto sommato, inadatto a narrare le trasformazioni e le dinamiche in fatto di tendenze, o forse siamo ancora lontani dal trovare una formula particolarmente appropriata che riesca a coniugare alla perfezione due mondi così distanti. Fatto sta che al momento i numerosi, spesso superficiali, talvolta scialbi programmi televisivi, in cui la moda è di frequente relegata, soprattutto in Italia, faticano a distinguersi per originalità, competenza, appeal. Inutile sottolineare che l’esempio più calzante è il modello Jo Squillo, un contenitore privo di una regia sensata, che indugia sulle prodezze di un ex-cantante pop anni ’80, riciclatasi da tempo come conduttrice, intenta a scorrazzare tra sfilate, backstage e parterre con una telecamera piazzata sulla fronte, come fosse una lampada da minatore, tra la perplessità generale e lo sgomento degli intervistati. Discorso a parte meritano i canali televisivi tematici, quelli che per fugare ogni dubbio sulla loro natura hanno sempre la parola Fashion nel proprio titolo (Fashion Tv, World Fashion Channel, etc), e che arrivano a sfinire anche il più accanito spettatore o appassionato della materia, sottoponendolo a ore interminabili di video istituzionali di migliaia di collezioni, provenienti dai quattro angoli del mondo, trasmessi tutti per intero. Altrettanto fastidioso è l’eccesso opposto: il montaggio incalzante di immagini, frammentate ai limiti dello schizofrenico, non di rado appannaggio dei servizi di vari tg, o delle trasmissioni che nel campo hanno fatto scuola (l’imitatissima Nonsolomoda, ad esempio), dove non si fa mai in tempo a distinguere un tacco, una fibbia, un occhio ed ecco che ti ritrovi già catapultato ai titoli di coda. Se a questo si aggiunge il rammarico per la momentanea e ingiustificata sparizione dal palinsensto de La7 dell’unico, longevo, programma confezionato con gusto e perché no, cultura, M.O.D.A, ideato e condotto dalla bravissima Cinzia Malvini, al cospetto del deleterio moltiplicarsi altrove di personaggi bizzarri e caricaturali, in più spacciati per esperti di costume, che ti propinano, dalle 8 del mattino, discutibili consigli su cosa indossare, il panorama comincia a farsi davvero desolante.
Avevo perciò atteso volentieri e guardato di buon occhio l’annunciato debutto di una nuova trasmissione televisiva, Fashion Style, in onda, dallo scorso Novembre, il lunedì sera su La5, che forse, vestendo i panni del “talent“, del programma cioè volto alla ricerca dell’astro nascente in quel settore – format già collaudato sulle più varie categorie professionali come cantanti/ballerini/chef e di recente, anche scrittori (se non l’avete ancora visto, vi consiglio Masterpiece, la domenica sera, su Rai 3) – poteva risultare un esperimento interessante. Ancor più degna di attenzione la presenza, tra i giurati deputati a valutare le qualità dei vari aspiranti fashion designer, make – up artist, hair – stylist e modelle selezionati nelle puntate, di Cesare Cunaccia, arguto scrittore e giornalista di moda, firma autorevole non così nota al grande pubblico perché di rado presente davanti alle telecamere. Peccato che nel suo delicatissimo e azzeccato ruolo Cunaccia sia affiancato dalla spigliata Alessia Marcuzzi, sempre brava e spiritosa, per carità, (nel caso specifico offuscata però da una luce innaturale, che le dona quell’alone da apparizione mariana a cui già da tempo ricorrono Lilli Gruber e Barbara d’Urso), ma che con la moda, francamente, c’azzecca quanto un mio eventuale ingresso da un parrucchiere. Decisamente più incomprensibile poi la terza giurata, Silvia Toffanin, smagrita ex – valletta, adesso presentatrice, imparentatasi poi con un senatore decaduto (è la compagna di Pier Silvio) che, soprattutto in un’occasione, dimostra di non conoscere il limite del senso del ridicolo, quando si rivolge poco garbatamente a una modella candidata con un “potresti fare la velina”, forse dimenticando che da quella schiera di fanciulle svestite e sgambettanti, in “ine”, proviene lei stessa (era una “letterina” di Gerry Scotti, insieme ad Alessia Fabiani e Ilary Blasi). Il tutto introdotto e commentato dai frizzanti interventi di Chiara Francini, giovane e graziosa attrice, un po’ troppo attenta a sottolineare sempre la sua “toscanità” (voglio dire, neanche la mia vicina ultraottantenne, cresciuta in pieno territorio fiorentino, è solita esprimersi con tutte quelle “c” e “g” strascinate) tra le, spesso importabili, creazioni, le acconciature, il trucco e il fisico dei “provinanti”, in una girandola di espressioni come trendy, glamour, stylish buttate lì a casaccio e risultati il più delle volte grossolani, pacchiani, da dimenticare. Impossibile infine non notare lo studiato tormentone che solerti, giuria e conduttrice, tendono, allo stesso modo, a ripetere all’infinito: “A Fashion Style non conta solo il talento”. E meno male, aggiungiamo noi: perché non sembra affatto comparire.