La verità è che sono troppo buono. Sbuffo, mi lagno, bofonchio, non riesco a tacere se una determinata cosa non mi va bene, devo necessariamente sottolineare come la penso se sono in disaccordo e soprattutto riuscire ad avere, sempre, l’ultima parola. Ma questa apparente ruvidezza di modi è l’equivalente del tanto fumo che circonda il poco arrosto del proverbio. Perché non so essere cattivo; sottilmente perfido, talvolta, ma cattivo proprio no. Rimango un bonaccione travestito da insensibile. E per questo finisco sempre per impelagarmi, a mio discapito, in slanci di generosità che accontentino gli altri, all’origine di situazioni imbarazzanti di cui poi mi pento amaramente. Come è accaduto in questa occasione, quando la mia amica ed ex-collega Cecilia mi ha mandato un’e.mail chiedendomi una mano per un servizio televisivo da realizzare nel programma per cui lavora. Come potevo dirle di no? Ma solo in un secondo momento vengo a sapere, quando ormai ho accettato la sua richiesta, che il mio compito sarebbe stato quello di cucinare, davanti alle telecamere e seguendo le istruzioni di un pasticcere professionista, dei dolcetti tipici di Carnevale. Io. Che da quando ho memoria non ricordo di essermi mai cimentato, neanche per scherzo o per errore, nel preparare un qualsiasi dolce, anche il più banale, che so, un tiramisù o un budino. L’unico tentativo culinario del genere, peraltro fallito, risale a milioni di anni fa, quando a casa della mia amica Sara, dove ho trascorso la maggior parte dei miei pomeriggi da teenager fingendo di studiare e inventando invece ogni giorno una valida alternativa ai libri, tentai di realizzare la copertura di meringa per una torta alla crema da lei infornata. Il risultato fu un intruglio ripugnante dall’aspetto brodoso e viscido, che neppure la Clerici o la Parodi bendate o sotto alcolici sarebbero mai in grado di riprodurre e che trovò la sua più giusta e immediata collocazione nella spazzatura, senza riuscire nemmeno a salutare il dolce per cui era nato. Non che ai fornelli sia una frana in tutto, intendiamoci. Però non amo cucinare, lo faccio solo perché costretto dalla sopravvivenza, non mi spertico nell’allestimento di piatti particolarmente elaborati o succulenti, e se a tavola siamo più di due per me la questione diviene già drammatica. Perché, per fortuna, all’organizzazione delle cene, quelle con la C maiuscola, con tanto di ospiti da deliziare e soddisfare, ci pensa il mio amore, capace di improvvisare all’ultimo minuto un pasto abbondante e memorabile, per più persone, anche se nel frigo disponiamo solo di una carota, una cipolla e una melanzana (lo so, adesso mi invidiate. Me lo sono scelto con cura, che credete?). Io, con gli stessi ingredienti, richiudo indignato lo sportello e scendo in rosticceria. Comunque, per concludere, il risultato della mia giornata da “valletto” al fianco di un vero pasticcere (che ho chiamato tutto il giorno Dario, per poi scoprire dal suo camice chiamarsi David) è questo video che vi allego, tra lo spassoso e il ridicolo, che spero apprezziate, senza insultarmi troppo dopo. Ricordandovi infine due cose: la tv ingrassa, le frittelle di Carnevale pure.