7 chili in…

…meno, innanzitutto, se proprio vogliamo cominciare puntualizzando il primo, vero, significativo traguardo faticosamente raggiunto in questo mio traballante e a tratti gratificante 2015. Ottenuto in tempi ovviamente più rilassati rispetto all’impossibile meta di 7 giorni, come prometteva il celebre film degli anni ’80 richiamato nel titolo di questo post, che mi è di certo arduo ricordare nei dettagli perché usciva nelle sale quasi in contemporanea alla mia venuta al mondo (avevo già confessato i miei 29 anni, giusto?). Dunque, dicevamo: fuori i primi 7 tenaci e odiosissimi chili di quei 10, poi divenuti 12, rapidamente accumulati nell’ultimo lustro e presto archiviati attorno al girovita come un antiestetico salvagente di ciccia, con la malvagia complicità di un indesiderato e persistente stress, di continui e gravosi scombussolamenti professionali e privati, della sottile e mai celata antipatia per il piccolo e scostante paesino in cui mi trovo a vivere, tutti fattori che hanno nel tempo contribuito a farmi preferire l’immediata gioia consolatoria del frigo a un po’ di necessario e salvifico autocontrollo a tavola. Cambiato registro, almeno per il momento: riprese in mano le redini di questo corpo sconsideratamente lasciato in uno stato di abbandono abbastanza prolungato, ho impiegato buona parte di questi ultimi mesi per tentare di rientrare nei miei vecchi panni, metaforici e non, seguendo pochi, semplicissimi passi che vado qui di seguito ad elencare, senza la presunzione di poterli indicare come precetti universali per riuscire a perdere peso (mettersi a dieta è affare molto più serio) ma utilizzandoli come invece come improbabile pretesto narrativo della mia recente (e non ancora ultimata) vittoria sui chili di troppo.

1) Individuare una qualche, anche assurda, motivazione: c’è sempre una causa scatenante, un punto estremo di rottura, un episodio che risuona come un improvviso risveglio di coscienza o uno schiaffo sonoro dato al tuo amor proprio sopito e che ti fa domandare d’un tratto “quand’è che sono diventato così?”. Il mio è, a dire il vero, piuttosto banale: tra le numerose foto che mia madre ogni tanto ripesca a casaccio dagli album di famiglia e che da decenni ritaglia e pieghetta a mo’ di origami, per riuscire ad incastrarle, chissà poi come, in microscopiche cornici di silver plate, riducendo di fatto l’infanzia mia e di mia sorella a una serie di ricordi penosamente sforbiciati in minuscole sagome, ha fatto la sua comparsa uno scatto che avevo, ahimè, dimenticato. Sono io, o meglio, una versione assai più giovane e snella di me, gli anni circa la metà, il doppio i capelli, mentre riemergo in costume da bagno, abbronzato e fluttuante, da uno scivolo in un non meglio identificato parco acquatico. Il riflesso della mia linea appesantita restituito al momento dallo specchio distava ormai troppo da quell’immagine da sirenetto, seppur datata, che non posso neanche sognare di replicare in questa vita, ma trattandosi comunque dello stesso soggetto, un qualche margine di miglioramento potevo, anzi dovevo, provare a prenderlo in considerazione.

2) Evitare i consigli disastrosi di amici e conoscenti: la mia gelataia di fiducia, furbi occhi orientali e marcato accento toscano, vista calare drammaticamente la mia presenza nei pressi del suo bancone, ha da subito compreso le mie intenzioni. “Sei a dieta, eh?” mi dice porgendomi il solito (piccolissimo) cono all’amarena che mi concedo almeno un paio di volte a settimana “questo dunque è il tuo pranzo?” “Il mio pranzo, vuoi scherzare?” “No, no, io l’ho fatto per un periodo, funziona, provaci” “Se provassi sul serio tra 5 minuti mi vedresti prendere a morsi i passanti!”. Christine, la studentessa americana di Denver che incrementa il suo curriculum scolastico con viste guidate gratuite nel posto dove lavoro e che quotidianamente sfinisco di domande assurde sul suo paese (“ma li avete i piccioni in Colorado?” “e un cucciolo di bisonte l’hai mai preso in braccio?”) mi suggerisce invece di andare, come lei, in palestra dall’1 alle 3 di pomeriggio “Sudi tantissimo e poi non c’è mai nessun altro!” “Ecco, e ti sei mai chiesta il perché?”. Niente rinunce drastiche o eccessi sportivi per me: solo un po’ di necessaria moderazione con il cibo (consigliabile i primi tempi una museruola) e un tragicomico corso virtuale di zumba, per ora fermo alla prima lezione, che in genere concludo maledicendo e insultando la mia troppo frenetica insegnante, Robbberta (non è un errore di battitura, lo pronuncia proprio così il suo nome).

3) Instaurare un rapporto amichevole con la bilancia: alla fine è un oggetto come un altro, inutile acquistare un apparecchio ipersofisticato, di quelli che rilevano anche se indossate o meno le lenti a contatto, altrettanto dannoso (soprattutto per la psiche) sfidarla ogni giorno imponendole la vostra stazza, nella remota speranza di aver perso anche solo quel paio d’etti dalla sera alla mattina. La mia ad esempio è un quadrato sottile in simil vetro verdastro, rigorosamente made in Taiwan, che esordisce facendo lampeggiare sul display un saluto sgrammaticato tipo HELO, introvabile in alcuna lingua conosciuta, e che alla seconda riprova consecutiva mi regala sempre quel mezzo chilo in meno rispetto a quanto annunciato nei trenta secondi precedenti. Forse poco attendibile ma di sicuro più confortante. Poi scegliete una farmacia di fiducia, posta al riparo da occhi indiscreti, che si trovi anche a tre, quattro quartieri più in là rispetto a dove vivete, in cui poter entrare con una scusa (comprare le Zigulì funziona sempre) per andarvi invece a pesare ogni 15 – 20 giorni. E ricordatevi di regalare le Zigulì al primo bambino che incontrerete uscendo.

4) Prendersi qualche silenziosa rivincita: studi approfonditi (condotti dal sottoscritto in un libro nero appositamente stilato) dimostrano che solo un terzo delle persone che nel tempo avevano malignamente sottolineato la vostra evidente fase espansiva con frasi carine del tipo “abbiamo messo su qualche chiletto, eh?”, troveranno poi il coraggio di notare in maniera altrettanto esplicita la vostra buona forma ritrovata. Il che non vuol dire che non ne se ne siano rese conto, anzi: anche perché poi, nel più dei casi, sono proprio gli stessi individui che ben più di voi necessiterebbero di una qualche mirata ristrutturazione fisica. Limitatevi a salutarli con il migliore dei vostri sorrisi, facendo scivolare lentamente il vostro sguardo sulle loro pancette o sui loro fianchi rotondetti ancora ben saldi al loro posto e ad aggiungere poi con tono innocente un “Tutto bene?”. E godetevi il momento.

List (of) Christmas

tonalita-marsala-pantone

L’episodio scatenante, che ha messo in moto la mia testolina già abbastanza incapace di sedare, anche di notte, i propri mille pensieri superflui, è stata l’inaspettata accoglienza al lavoro, qualche giorno di fa, da parte di Valentina, la mia tutor 27enne con una criticabile passione per Leonardo Di Caprio e un intenso sguardo fotogenico, da diva del muto; una collega, tra l’altro, che mi è impossibile detestare, fosse anche per la sua giovane avvenenza, perché, oltre ad essere estremamente competente, si dimostra anche estremamente gentile col sottoscritto (del resto, come potrebbe non esserlo?). Ebbene, la fanciulla, con un incantevole accento bolognese, che le affiora riconoscibile nel sibilo che accompagna le sue doppie “s”, mi trascina, appena metto piede in ufficio, davanti allo schermo del suo pc, dove inorridisco al cospetto dell’immagine che ha scovato e che mi mostra con fierezza, quella di un oggetto pensato come eventuale ed ironico (spero) regalo di Natale, aggiungendo “Guarda qua! Non è bellissimo?”: un costume da renna, con tanto di paio di corna belle svettanti, tutte realizzate in panno rosso. Ora, premesso che dubito esista chi non si porrebbe quelle due domandine in più nel ricevere e scartare non solo un obbrobrio simile, ma anche un misero portachiavi o altri inutili gingilli di tale forma, perfino semplicemente decorati con un cervide (che, lo sappiamo bene, non è mai stato proprio un simbolo di fedeltà), la domanda bislacca che mi ronza da allora in mente è: perché con l’approssimarsi delle feste, e quindi di tutti gli annessi e connessi, diventiamo più indulgenti al kitsch, e quasi soverchiati dall’atmosfera gaudente del Natale smarriamo buongusto e senso critico, che si concretizzano altresì in sfacciate porcherie da impacchettare e donare? Per tale, forse ingiustificabile, ragione mi permetto perciò di allegare qui la mia puntuale e semiseria lista di suggerimenti da seguire, quasi alla lettera, se siete ancora alle prese con la necessaria quanto scocciante parentesi dei regali da acquistare:

Per lui: bocciati, senza possibilità di appello dunque, animaletti di ogni sorta, renne e co., (che faranno sì tanto clima natalizio, ma che non sono consigliabili a meno che il lui in questione non sia vostro figlio undicenne da accompagnare per mano alla recita scolastica) per quanto simpaticamente campeggianti su maglioncini o accessori di ogni sorta. Se proprio siete propense/i all’acquisto di un capo di abbigliamento maschile, puntate su di un golf o un cardigan (meglio) a tinta unita, evitando però con accuratezza il rosso fuoco, colore troppo affine alla nota mise di Babbo Natale e irrimediabilmente sdoganato, pochi giorni or sono, dal nostro premier in persona (se l’avete già comprato, portatelo indietro, siete ancora in tempo). Approfittate anche del fatto che sia stato decretato come colore dell’anno 2015 il Marsala (foto allegata), un tono caldo e brillante che richiama appunto i riflessi del celebre vino liquoroso, assolutamente démodé fino a poco fa, quando ancora lo chiamavamo “vinaccia”, ma come si sa, basta azzeccare il nome giusto, et voilà, anche la nuance più disprezzata diventa miracolosamente di tendenza. Ah dimenticavo: in alternativa all’abbigliamento, provate con la tecnologia, scommettendo anche voi ad esempio sul drone, quel marchingegno diabolico che permette sensazionali riprese dall’alto. Questo anche nel caso il vostro lui sia notoriamente incapace di realizzare un solo scatto a fuoco perfino col proprio cellulare (e voi continuate a mortificarlo, facendoglielo notare spesso): ma come ogni volta succede quando un uomo si trova ad avere un telecomando in mano, da un qualsiasi apparecchio tv alla rimpianta macchinina che aveva da bambino, nient’altro purtroppo è così in grado di farlo sentire, ancora oggi, ai limiti dell’onnipotenza.

Per lei: niente di più semplice, basta fare attenzione e saper ascoltare. Perché ogni donna che si rispetti ha già pianificato con spaventoso scrupolo, degno di uno stratega militare, quella passeggiata apparentemente casuale in cui vi coinvolgerà (“amore, mi accompagneresti in centro, ho dimenticato di fissare l’appuntamento per le unghie?”) organizzata invece col proposito di mostrarvi, in una o più vetrine, qual è con esattezza scientifica quel paio di scarpe o quella borsa che si aspetta di ricevere sotto l’albero, fingendo poi, al momento opportuno, tutto il suo enorme e falso stupore. E badate bene, non si accontenterà di una borsa simile o di tutte le altre calzature che tenterete di acquistare, vorrà proprio ciò che vi aveva suggerito allora, quando vi aveva buttato lì con nonchalance due paroline per sorvolare sul prezzo spropositato dell’oggetto dei desideri (“hai visto che sogno quelle décolleté? E poi, solo 399 euro, praticamente regalate!), mente voi, in quel preciso momento, vi eravate distratti con l’immancabile sms di aggiornamento sulla formazione della partita in programma, o stavate fissando, di soppiatto, le chiappe della tipa passata lì accanto sul marciapiede. Evitate comunque di ripiegare, in extremis, su di un capo di abbigliamento intimo, tanto, in materia, è appurato, avete gusti diametralmente opposti, cari lettori uomini, che al riguardo vi vengono solo in mente i bustier strizzatette indossati dalle modelle di Victoria’s Secret o i più spericolati indumenti di Sasha Grey. (Doverosa parentesi: amiche mie, so che quest’ultimo nome alle vostre orecchie potrebbe suonare forse sconosciuto. A quelle del vostro compagno, vi assicuro, proprio no. Fate perciò questo piccolo test, poi riferitemi: chiedetegli direttamente se abbia mai sentito parlare, così, per caso, della tizia citata: al 99% balbetterà un no, deglutirà, arrossirà. Tutti indizi che sta mentendo spudoratamente, come ormai ben sapete. Poi andate su internet e cercate biografia e immagini della fanciulla: vi sarà chiaro anche il perché della sua menzogna). Evitate soprattutto di tamponare l’assenza del regalo perfetto, chiesto in anticipo ma non afferrato, con l’acquisto di un utensile da cucina, che so, una padella antiaderente o degli stampi da forno, anche se ne ricordate la diffusa presenza nel suo programma tv preferito: il gesto potrebbe purtroppo sembrare un, poco gradito, invito a rimanersene dietro ai fornelli per le feste. Vi concedo, al limite, di tentare con un coltello da panettone, oggetto più ricercato, più in sintonia con l’intero periodo in questione e soprattutto meno affilato. Anche perché, non so se ne siete al corrente, proprio a Natale paiono aumentare gli incidenti domestici e, guarda caso, il numero di feriti con le posate più varie: credete sia davvero solo per i lunghi preparativi del cenone?

Sì, lo voglio!

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Ecco, ci mancava pure il blindatissimo (solo 150 invitati, si dice) eppure strafotografato e onnipresente (sul web e non solo) matrimonio della nostra Elisabetta Canalis, colei che dopo aver collezionato nel tempo stuoli di amori vip, i cui dettagli hanno riempito per anni il palinsesto di tutte le trasmissioni di gossip e ogni edizione di Studio Aperto, ha deciso qualche giorno fa, in linea con quella che sembra ormai diventata l’ultima mania tra le star, di convolare frettolosamente a nozze, nella sua magnifica Sardegna (il fortunato però, spiacenti, non è affatto un volto noto, ma un chirurgo americano, Brian Perri, provvisto di quel profilo un po’ schiacciato che farebbe pensare più ad un pugile). Già, come se in questo ultimo scorcio d’estate, tutt’altro che avara di scoop, non ci avessero già abbastanza tediato prima con le insinuazioni e i sospetti crescenti, sostituiti poi dalla scioccante certezza, del fatidico sì pronunciato in terra francese dai due belloni di Hollywood per eccellenza, Angelina Jolie e Brad Pitt, i quali, sebbene per tutto il decennio della loro chiacchieratissima storia abbiano reso noto a mezzo stampa, sistematicamente, ogni singolo incremento di prole, tatuaggio o acquisto di qualche villa milionaria sparsa per il pianeta, si sono d’improvviso scoperti creature riservate e amanti della privacy, lasciando trapelare i particolari e gli attesi scatti del loro matrimonio solo a nozze avvenute. E siccome lo spirito di emulazione in questi casi è sempre presente, e per quanto vi preoccupiate di fingere disinteresse per l’argomento magari in fondo a quell’angolo imperscrutabile del vostro cuore un microscopico pensierino l’avete pur fatto, o forse al momento state davvero scalpitando in attesa che vi si concretizzi davanti agli occhi una sorta di proposta semidecente, eccovi la solita, insensata ma attendibilissima lista di brevi consigli finalizzati alla scelta dell’abito giusto per un eventuale, sospirato o più o meno realizzabile, matrimonio.

1) Per lei. Amiche mie, siete sempre così ipercritiche verso voi stesse, soffrite più o meno tutte di un leggero dismorfismo corporeo, che vi porta a scovarvi un’enormità di difetti inesistenti e a lasciare in balìa delle tarme un numero spropositato di capi sexy o costosi condannati per sempre alle tenebre dei vostri armadi. Come si spiega allora che nella ricerca estenuante dell’abito da sposa perdiate ogni cognizione del vostro fisico e vi ostiniate a provare tonnellate di abiti vaporosamente kitsch, dall’improbabile linea a sirena, nell’uno o nell’altro caso del tutto inadatti? Lasciate dunque alla Canalis o alla Jolie la ridicola prerogativa di milioni di balze e di ricami stravaganti, loro sarebbero apparse comunque gnocche anche con un sacco dell’immondizia annodato sulle spalle. Fate così: oltre alla mamma (so che non potete murarla a casa quel giorno, anche se lo desiderate) scegliete di farvi accompagnare negli interminabili e necessari giri per boutique proprio da quell’amica stronza (tutti ne abbiamo una), la stessa che da anni va narrando ad ogni cena le circostanze imbarazzanti dell’unica vostra ubriacatura colossale, la sola che appena uscite dal parrucchiere vi riporta a casa per mano per rifarvi uno shampoo e una messa in piega meno svettante. Quella. Il suo, credetemi, è il parere migliore.

Per lei 2: Se il vostro modello di riferimento vip per l’abito da sposa non è un’irragiungibile diva planetaria ma una bellezza più acqua e sapone, una fanciulla della porta accanto, insomma una celebrità casalinga del genere “sì, carina, ma ti vorrei vedere al mattino ancora struccata”, potete sempre ispirarvi all’altro strombazzatissimo matrimonio di stagione, quello celebrato qualche settimana fa a Capri tra la conduttrice Caterina Balivo ed il suo compagno, il manager finanziario Guido Maria Brera (e qui in genere la malignità si trova ad un bivio, se aggiungere un commento velenoso sul mestiere o sul nome di lui). La Balivo ha ripiegato (azzeccandolo abbastanza, ve lo concedo) su di un abito vintage originale anni ’50; se siete orientate ad una soluzione simile, vi ricordo che per vintage si intende esclusivamente un capo che abbia almeno venti anni di storia, meglio se rappresentativo dello stile della propria epoca di appartenenza. In tutti gli altri casi si tratta, senza tanti preamboli, di un abito vecchio, dismesso, di un banalissimo e non sempre in buone condizioni, usato: non azzardatevi ad acquistare o a spacciare per vintage un pezzo se non siete sicure della sua qualità o della sua provenienza. L’effetto “gattara” è quanto di più mortificante vi possa capitare al vostro matrimonio.

Per lui: Amiche, mi rivolgo sempre a voi, tanto, parliamoci chiaro, cosa volete ne capisca lui di abiti da sposo? Sapete meglio di me che il vostro futuro maritino sarebbe davvero in grado di presentarsi quel giorno all’altare in t-shirt, bermuda fiorati e ciabatte ai piedi (forse sulla comodità non avrebbe poi tutti i torti). Mi raccomando: non lasciatelo da solo nelle mani di quella che sarà vostra suocera, lei l’ha messo al mondo, lei è incapace di vederne i difetti, lei potrebbe sul serio consigliargli quel terribile completo di un tessuto verdino o blu elettrico con cui credevate potessero confezionare solo le tutine dei Power Rangers. Sostenetelo, incoraggiatelo e soprattutto non perdetelo di vista neanche un secondo: men che mai nelle grinfie dell’amica stronza di cui al punto 1. Nella scelta del vostro abito sarà pure fondamentale; per la rovina anticipata delle vostre nozze, un rischio troppo grande, da non correre.

(photo Miles Aldridge, Vogue Italia, Settembre 2011)

A Natale puoi…

▶ Bridget Jones Diary – Renée Zellweger, Colin Firth Reindeer Christmas Jumper OFFICIAL HD VIDEO – YouTube.

Non mi venite poi a fare i pignoli puntualizzando che il seguente post è stato probabilmente inserito nella categoria sbagliata, cioè “moDa”. Primo, qui c’è solo una persona, cioè il sottoscritto, deputata a sistemare le cretinate che scrive dove meglio crede, e se una categoria mi rimane alla fine un po’ sguarnita, è bene rimpolparla di contenuti. Secondo, il primo consiglio che andrà a comporre l’imminente lista di accorgimenti e strategie per affrontare la giornata di domani (è Natale, lo ricordavate, vero?), un modesto ma collaudato elenco di istruzioni finalizzate al “come sopravvivere al 25 Dicembre”, riguarda proprio l’abbigliamento, se non altro per la funzione spesso “catartica” dei capi che scegliamo, a cui affidiamo il compito di tradurre il nostro (pessimo) umore. Le prossime righe saranno perciò volte a illustrare pochi, semplici mezzi per poter neutralizzare le piccole e grandi scocciature di cui è costellato ogni santo Natale, secondo modalità ovviamente estranee a un’ipotetica persona di classe o buongusto, che d’altronde non si sognerebbe mai di seguire alla lettera i miei personali consigli (come tutto il mio blog, del resto). Bene, cominciamo:

1) Siate ridicoli: sì, avete capito bene. Indossate pure quel terribile maglione di lana tutto decorato con i cristalli di neve o il disegno di una renna dalle corna ramificate all’infinito, proprio come Mark Darcy/Colin Firth nel diario di Bridget Jones (video allegato). Tanto non c’è scampo: nessuno è immune dal regalo d’abbigliamento kitsch, che vogliate oppure no vi ritroverete comunque a scartare un paio di guanti con le dita a forma di faccina, una sciarpa simile a un animale morto o un’insalata troppo rigogliosa, un cappello fluorescente pieno di trecce o nappe. Siate superiori, ironici, coraggiosi: rivestitevi tranquillamente di tutte le brutture ricevute, e vi approprierete anche di un altro spirito, elegante no di certo, ma di sicuro più divertito.

2) Siate lenti: soprattutto nei preparativi personali, impiegate ore per eventuali depilazioni, rasature, trucco, parrucco, e abbondante profumazione. Tutto il tempo che spenderete nella cura di voi stessi, del vostro aspetto (che, a Natale, deve essere impeccabile, per far schiattare d’invidia chi vedete solo una volta all’anno per le feste) è tutto tempo risparmiato per la noiosissima parentesi “scambio di auguri e di regali”, che diventerà più veloce che mai (“sai, devo proprio andare, ho fatto tardi stamani” è una scusa che funziona sempre. Poi bacetto al volo, e scia di profumo da lasciare, rigorosamente.) Allenatevi inoltre a ripetere allo specchio “Beeeneee” con un sorriso convincente e naturale. Tra tutti i parenti, amici, ex – conoscenti che incontrerete – perché, tanto, a Natale nessuno è evitabile – salterà fuori senza dubbio la domanda che non vorreste mai sentirvi rivolgere in questo periodo (del tipo “e l’amore/il lavoro/la famiglia e/o la casa, dimmi, come va?”), a cui occorre replicare per forza con un entusiasmo inesistente, senza far trasparire dal volto imbarazzo o disagio. Ecco dunque aprirsi il collegamento con la terza regola che è…

3) Siate bugiardi. Sfacciatamente. Tanto non è mica inconciliabile con il classico “tutti più buoni”. Vi consiglio solo di mentire, come ho fatto ad esempio poco fa per non farvi beccare in contropiede dai quesiti più inopportuni. Oppure con chi si presenterà – perché, statene pur certi, succederà anche a voi - corredato di regalo costosissimo o realizzato interamente con le sue mani (anche il pacchetto, e ci terrà a dirvelo) e voi non ne ricordavate neanche l’esistenza sulla faccia della terra. Inutile rimediare, con questo genere di persone, con un pensiero last minute, da comprare dove, poi, la figuraccia ormai è andata e ogni rattoppo sarebbe superfluo. Per uscirne basta esordire candidamente con “ma come, ci eravamo ripromessi niente regali quest’anno, solo beneficienza (citate anche qualche ONLUS, se ne ricordate)” e perlomeno non sembrerete dei mentecatti o avrete comunque insinuato il dubbio nel vostro interlocutore che la sua memoria stia cominciando a fare cilecca. Se tutto questo non dovesse bastare, ultima e più importante regola

4) Siate ubriachi: niente fa trascorrere più velocemente il Natale come un doppio aperitivo consumato già dal mattino presto. Fidatevi. E tanti auguri.

(ri)Cominciamo!

Charlie Chaplin, Il grande dittatore – Discorso all’umanità – YouTube.

“Un buon attacco. Un inizio che sia accattivante, esplosivo, se non addirittura ipnotico. Parole che catturino da subito l’attenzione, che muovano la curiosità, che guidino il lettore, senza rivelargli ancora troppo, fino quasi alla metà dell’articolo. E poi, a quel punto, inserire la notizia. Raccontare i fatti, tutti, nei minimi dettagli. E dare necessariamente il tuo punto di vista. Mai troppo invasivo, la vicenda non va sovrastata. Le tue opinioni devono trasparire, fare capolino, sfiorare gli occhi dei lettori con la leggerezza di un soffio. Ma l’inizio, oh l’inizio, deve essere invece un urlo in pieno volto”. E’ quello che mi ripeteva ogni giorno Paolo, il direttore di un piccolo ma piuttosto conosciuto quotidiano locale che per primo,  inaspettatamente, mi diede (un bel po’ di) tempo fa l’opportunità di scrivere. Avevo poco più di vent’anni, un futuro pieno di stimoli e di incognite, tanti progetti ambiziosi e poca concretezza (e da allora temo di non essere cambiato molto, se non nell’età). Mi affidavo alla sua esperienza, ai suoi consigli precisi e appassionati che riportavo scrupolosamente su di un’agenda ancora oggi sul mio comodino, ai suoi modi schietti, un po’ burberi, in cui trovavano spazio una singolare sensibilità e una stima senza dubbio sincera. Mi chiamava tre, quattro volte alla settimana, mi proponeva le notizie più varie e assurde, concludeva le sue telefonate dicendo “Lo so, non farebbe per te…però, se vuoi provare” e sfidava di continuo il mio ego a misurarsi con la complessità dei più diversi fatti di cronaca, di politica, con la pesantezza di interminabili convegni di restauro o di medicina. Accettavo di buon grado l’inevitabilità dei suoi tagli e delle sue necessarie correzioni ai miei articoli, che ci teneva sempre a motivare con le dovute spiegazioni, trattenevo a stento l’entusiasmo quando finalmente mi affidava un pezzo di moda, di fronte alla sua faccia che si contraeva in una rassegnata espressione traducibile in “Contento tu!”. Ci siamo salutati a malincuore diversi anni fa, quando mi trovai costretto ad accettare un lavoro meno creativo ma più redditizio, ci siamo ritrovati soltanto ieri, per caso, al bancone affollato di un bar, entrambi provvisti di quei pochi minuti necessari per prendere un caffè. “Ciao…ti ricordi di me?” mi ha chiesto, dopo avermi riconosciuto, io semidistrutto dopo una mattinata da cardiopalmo, lui dietro la solita aria sorniona e severa, sul viso la stessa barba folta che ricordavo, solo un po’ imbiancata. “Certo, come stai? Che ci fai qui?” replico io, felicemente sorpreso dell’incontro “Niente, una sparatoria, qua vicino. Sai com’è. Scrivi ancora?”. “Non ho fatto altro. Ho anche aperto un blog” “Ah bene. Corro subito a vederlo” “Ehm, in realtà dovrei aggiornarlo. Ma…” “Ma? Non hai tempo?” “Sai, gli impegni, sempre di corsa” “Fallo stasera” mi risponde secco. “Ecco, stasera avrei un concerto. L’ho fissato da mesi” “Bene, puoi raccontare quello. Dall’inizio. E mi raccomando proprio l’inizio. L’inizio è tutto, te l’ho sempre detto. Adesso devo proprio andare” e si congeda. Ora, io non saprei dire esattamente il perché, forse perché condizionato dall’eccezionalità dell’evento, forse perché continuo ad avvertire la sua influenza come quella di un’importante autorità, ma ho davvero pensato tutto il giorno alle sue parole. E ho continuato a pensarci soprattutto la sera stessa del mio concerto, quello dei Negramaro, che avevo organizzato da tempo, che avevo voluto comunque mantenere pur in un periodo fitto di piacevoli imprevisti, che consideravo una meritata parentesi di relax in un momento della mia vita soggetto a un’improvvisa accelerata. Ma la sorpresa maggiore dell’agognato appuntamento canoro è stato appunto il suo inizio. La scenografia abbagliante, sei maxi – schermi a led tinti di blu, a illuminare una folla rapita dalle straordinarie parole che venivano diffuse, quelle tratte dal celebre monologo finale de Il grande dittatore di Charlie Chaplin (video allegato). Un discorso efficace, potente, quasi sconcertante nella sua indubbia modernità. Un inizio strepitoso, che vale la pena di lasciare qui per intero. Proprio come piacerebbe a Paolo.