Che l’estenuante e non sempre fruttuosa ricerca di un testimonial ideale, il volto noto e forse inaspettato da immortalare in una campagna pubblicitaria, replicata poi all’infinito sulle pagine dei giornali come su migliaia di manifesti per strada, sia un sentiero ormai battuto da decenni dalla stragrande maggioranza dei brand di moda, non é più certo una novità. Curioso è semmai constatare come per la prossima primavera/estate si sia invece aperta una vera e propria battaglia tra gli eterni fautori, nelle foto patinate, del necessario binomio bellezza/giovinezza, stavolta ahimé surclassati per intuzione, coraggio e ritorno mediatico da marchi che hanno invece scommesso sull’originalità di visi e nomi solitamente ignorati dagli obiettivi più glamour, anche per motivi anagrafici. Insomma difficile far passare sotto silenzio la radicale trasformazione in atto, se non altro per quella singolare ventata di freschezza che, al contrario, pare non aver sfiorato alcuni colossi della moda, cristallizzati su scelte a questo punto più simili nei toni a repliche sbiadite di soluzioni già proposte in passato che a spiazzanti novità. Uno su tutti Calvin Klein, il gigante del ready to wear e dell’intimo a stelle e strisce, forse colpevole di averci ammaliato nel tempo con la bellezza acerba e imperfetta di Brooke Shields e Kate Moss o con la muscolatura da manuale di anatomia di Antonio Sabato jr e di Mark Wahlberg (in versione precinematografica, quando con lo strambo pseudonimo di Marky Mark tentava di farsi largo nel mondo del rap), e che questa volta ripiega con fiacchezza, tra il banale e il prevedibile, sul faccino imberbe del ventenne cantante canadese, idolo delle ragazzine, Justin Bieber. Lasciando svanire così nel nulla ogni accento sexy o provocatorio a cui ci avevano abituato, sin troppo bene, le sue storiche campagne in bianco e nero, l’ultima, quella con l’angelico e monoespressivo Bieber protagonista, seppur affidata alle mani esperte del duo fotografico Mert & Marcus. E se in tutta risposta brand come Givenchy e Versace hanno optato rispettivamente per il fascino più maturo, seppur altrettanto inflazionato, di due dive planetarie come Julia Roberts e Madonna, arriva però da Céline, storica masion francese dal 2008 capitanata dalla designer britannica Phoebe Philo, la più azzeccata e controversa scelta di questa stagione. Momentaneamente accantonati gli splendidi visi o i corpi scultorei di attrici e supermodel, lasciati ad altri l’uso massiccio di levigazioni innaturali da photoshop, sempre soprattutto in linea con quell’ideale di assoluta raffinatezza e zero concessioni al cattivo gusto, con quel mood sofisticato e un po’ snob che permea le collezioni del marchio, ha chiamato come testimonial la non più giovanissima scrittrice statunitense Joan Didion. Che, al di là della sua meritatissima e inarrivabile fama di penna colta e tagliente (è stata giornalista di Vogue negli anni ’60, autrice di saggi e romanzi pluripremiati, da Prendila così del 1970 a L’anno del pensiero magico del 2005) si è lasciata ritrarre, non senza un briciolo di coraggiosa ironia, dal fotografo Juergen Teller nella totale brutalità dei suoi ottant’anni appena compiuti (foto allegata); senza il bisogno di ricorrere a strati di make – up o a ritocchi digitali, ma con l’unico, studiato espediente di quei grandi occhialoni neri che ne occultano in parte il volto, aggiungendone, se possibile, un accento più chic. Sottolineando infine ciò che la moda sembra spesso purtroppo dimenticare: l’eleganza passa anche tra le pieghe del cervello, a qualunque età.