E un anno se ne va…

▶ Righeira – L´estate Sta Finendo – YouTube.

Non esiste alcun rimedio, sarebbe inutile perfino tentare. Potremmo ricorrere alle scuse più banali, collaudate o assurde, sostenere che all’epoca eravamo troppo giovani, completamente all’oscuro di brani che non fossero cantati da Cristina d’Avena, o addirittura, appena venuti al mondo (seh, certo, e io ho davvero 29 anni). Potremmo spacciarci per raffinati cultori di musica italiana, di quelli che ci tengono a sottolineare, in ogni possibile conversazione, di seguire solo cantautori impegnati, che so, Battiato o De Gregori, forse Guccini, al limite Dalla ma solo gli album più vecchi, e poi invece, tengono nascosti in macchina insospettabili cd di Marcella Bella o dei Pooh, e quando, con una certa soddisfazione, arrivi a scoprirglieli, si affrettano a risponderti “no, certo che non è mio, chissà come è finito lì”. Potremmo infine negare di essere creature nostalgiche, perché gli anni sulle spalle ormai ci hanno reso immuni a certi stupidi languori sentimentali, e sentire il cuore restringersi improvvisamente è soltanto un segnale allarmante da chiarire con un elettrocardiogramma, mica roba da ascrivere alla tua vulnerabilità emotiva. Potremmo tentarle tutte, ma senza successo: perché da ben 28 anni alla fine non è mai sbucata altrove nessun’altra canzone così calzante di quella sottile malinconia da arrivederci post-spiaggia, così paradigmatica del dolore da vacanza agli sgoccioli, così fedelmente adatta alla serpeggiante tristezza di cui è intriso il clima di Settembre, al pari de L’estate sta finendo dei Righeira (video allegato). Si, proprio quel motivetto finto spensierato, che rimane accucciato, attento a non farsi scorgere, anche solo per essere distrattamente fischiettato, per undici lunghi mesi l’anno, per poi uscire d’un tratto, allo scoperto, quando meno te l’aspetti, mentre stai ancora tentando di goderti l’ultimo pallido sole per esempio, o magari sei in balìa di quel meritato relax che ti ha strappato alla fatica dei giorni lavorativi, ed ecco che lui è lì, immancabile, a ricordarti che tutte le estati prima o poi volgono irrimediabilmente al termine. E per quanto si possa a fatica ricordare poco o nulla dei suoi interpreti, a parte il fatto che non si riusciva mai a distinguere la voce dell’uno da quella dell’altro, che spesso ostentavano un look eccessivo e carnevalesco, al cui confronto anche Lady Gaga potrebbe sembrare una sobria collegiale, il brano rimane ancora un’insuperabile carrellata di immagini che restituiscono alla perfezione, fotogramma per fotogramma – gli ombrelloni, i gabbiani, i “la – languidi bri – brividi” – l’incalzante malinconia di fine stagione. Certo, come ha di recente ricordato la stampa, ai due, che si erano autoribattezzati con gli improbabili nomi di Michael e Johnson per coprire, in entrambi i casi, un molto più comune Stefano, si deve soprattutto l’invenzione del “tormentone” estivo, del brano cioè dal ritornello insidioso e martellante, onnipresente per mesi in ogni locale, stabilimento o chiosco, operazione che proprio gli stessi Righeira hanno sdoganato trent’anni or sono con l’altrettanto celebre hit Vamos a la playa (http://video.repubblica.it/spettacoli-e-cultura/righeira-vamos-a-la-playa-compie-30-anni-il-videoremix-dei-successi/137177/135722). Ma in tutta onestà credo si debba principalmente riconoscer loro il merito di aver tradotto, in una canzonetta inossidabile, ciò che ognuno forse prova quando si chiude definitivamente il sipario sull’estate, quando l’autunno alle porte sembra richiamarti alla gravità dei tuoi obblighi, dei tuoi doveri, dei tuoi compiti, giustamente accantonati per far spazio alla spensieratezza e alla levità delle vacanze. Di aver dato voce, insomma, a quell’universale e illogica sensazione di ricominciare, ogni volta, a Settembre, un nuovo anno, con nuovi progetti, nuove aspettative, nuovi buoni propositi da non rispettare; di aver soprattutto riassunto, in meno di dieci parole, la solita, perenne, inadeguatezza alla vita adulta: “Sto diventando grande. Lo sai che non mi va”.

A fin di bene

▶ Freddie Mercury – The Great Pretender (Single Version) – YouTube.

Facciamo finta che questo sia un blog di spessore e perciò seguitissimo. Facciamo finta che il suo autore sia una stimata personalità in qualche campo, che le sue opinioni siano spesso illuminanti, argute, condivisibili, che ad ogni rigo che riuscite ad ultimare aggiungiate un sospiro esclamando “mio Dio, come ha ragione”. Proviamo a fingere che quella che avete davanti sia una pagina autorevole, densa di spunti intelligenti, di riflessioni originali, di idee così brillanti che sia del tutto impossibile staccarle gli occhi una volta iniziata la sua avvincente lettura. Se ci riuscite, provate anche a fingere che compaia lì accanto una sua versione in inglese, come ogni blog che si rispetti dovrebbe possedere, ovviamente con una traduzione impeccabile, mica di quelle automatiche e approssimative che si trovano il più delle volte su internet, circostanza che presuppone l’esistenza di un pubblico ampio e internazionale, come del resto la rinomata qualità del blog stesso meriterebbe. Fatto? Bene. Adesso fingete che questo post, ma in fin dei conti anche tutti gli altri, contenga una critica sottile e ben argomentata, un lucido ed esaustivo excursus sull’argomento, perché il suo autore, che abbiamo detto essere un serio esperto del settore, mica un improvvisato, nossignore, sa sempre cosa dire e come dirlo. E nonostante la sua sfolgorante carriera, fatta di numerosi impegni gravosi che talvolta non gli lasciano neanche il tempo di respirare, lui, l’autore, che sa far fronte ad ogni evenienza, che sa organizzarsi benissimo e non è mai stanco né tantomeno privo di energie, puntuale riesce ad aggiornare il suo diario online, regalando ogni volta ai suoi lettori pagine dense di parole appassionate. Perché alla fine sarebbero capaci tutti di colmare il vuoto creato dalla mancanza evidente di un post buttando lì a casaccio una canzone, seppur bellissima, (video allegato) adducendo la banale motivazione che calza a pennello con il più volte qui ripetuto verbo fingere, che anzi ne è l’apologia, e che come la maggior parte dei brani dello stesso cantante è stata formativa durante l’adolescenza del blogger, come poi ogni cosa lo è a quell’età in cui tutto ti si insinua sotto pelle per non abbandonarti mai più (neanche a 29 anni suonati). In fondo, volendo, sarebbe una colonna sonora perfetta se continuassimo a fingere che sia una serata perfetta, di una giornata perfetta, in un’estate perfetta, una in cui, ad esempio, di colpo non esistessero più le zanzare, oppure gli zampironi servissero finalmente a qualcosa, senza spezzarsi di continuo nel centro, che poi ti tocca inventare mille modi per farli stare in equilibrio, operazione impossibile quando hanno ormai assunto quella forma di spirale tronca. Non nella nostra fittizia serata perfetta, senza un difetto, in cui fingiamo di ascoltare le note della canzone citata, per poi fingere di poggiare dolcemente la testa sulla spalla della persona amata, con il brusìo del mare in lontananza e migliaia di stelle luminose a fare da sfondo, e lo stomaco pieno di insalata di polpo, quella del tuo ristorante preferito, che sa davvero di polpo fresco, mica come l’ultima che ho mangiato in città, che aveva invece la consistenza del polistirolo. Ok, facciamo finta che non abbiate letto queste ultime frasi deliranti dell’autore, che è stanco, disorganizzato, imperfetto, come d’altronde lo è il suo blog, la sua serata, o se vogliamo la sua estate, piena di di difetti, di parole inutili e di punture di zanzara (maledetti zampironi!).

Nostalgia canaglia

Eurythmics – I Saved The World Today – YouTube.

Scommetto che è capitato anche a voi. Di essere rimasti improvvisamente colpiti, a un certo punto della vita, senza per forza una ragione necessaria, da una canzone, magari non proprio in linea con i vostri soliti gusti, ma non per questo meno attraente alle vostre orecchie. Di averla poi cercata, appigliandovi agli scarsi indizi che avevate (due parole che ricordavate del ritornello, la voce del cantante forse già sentita), finalmente individuata e ascoltata di nuovo, e poi ancora riascoltata all’infinito, amata a tal punto da sembrarvi in quel momento così irrinunciabile che non uscivate di casa al mattino senza la certezza di poterla risentire almeno un numero tot di volte di seguito nelle cuffie. E nonostante la crescente familiarità con le parole e la melodia, che in poco tempo recitavate a memoria meglio di tutte le poesie imparate faticosamente a scuola, arrivare, chissà poi come, a dimenticarla del tutto, per accantonarla a lungo in un angolino remoto della testa. Fino a che, un giorno, per caso, ne riassapori di nuovo il piacere dell’ascolto, scoprendo a poco a poco che quel motivo non è poi svanito dalla tua mente come pensavi, anzi, ti si ripresentano di nuovo nitidi, non solo il ritmo e il testo di quel brano che non cantavi da anni, ma perfino tutti i ricordi ad esso legati. Proprio come oggi, quando, per ben due volte, la radio, col volume sempre sintonizzato, a causa delle mie numerose manie e fissazioni, su un numero pari compreso tra 8 e 12 (mai 9 o 11), passa questo splendido brano degli Eurythmics I saved the world today datato 1998 (video allegato) lo stesso che mi ha tenuto compagnia per un intero, gelido, inverno. Il motivo della sua assidua (e poco fantasiosa) presenza sulle emittenti è in realtà l’odierna ricorrenza della Giornata della terra, (http://www.vogue.it/people-are-talking-about/l-ossessione-del-giorno/2013/04/giornata-della-terra-2013) evento nato 43 anni fa e tradizionalmente dedicato, in tutto il mondo, alla sensibilizzazione per la salvaguardia ambientale. Ma come spesso succede su questo blog, la sfera personale e la dimensione nostalgica hanno avuto di gran lunga la meglio sulla necessità di un post al riguardo.

Lasciatemi cantare

BLEBLA – PRATO – YouTube.

C’è chi arriva dalla lontana Corea del Sud, e in poco tempo, grazie a un ritornello orecchiabile, divenuto subito tormentone, e a una coreografia simile a un buffo rodeo, accessibile per fortuna anche a chi è totalmente digiuno di danza, diventa un star planetaria. Un motivetto facile facile, cliccato da circa un miliardo e mezzo di persone su YouTube, cioè un quarto dell’intera popolazione mondiale: questo solo per dare un’idea dell’enormità del successo riscosso da Psy, discutibile nome d’arte (non sarà un’abbreviazione di Psycho?) scelto dal cantante 35enne Park Jae-sang, l’ormai celeberrimo e onnipresente (dalla Casa Bianca alla tappa newyorkese del tour di Madonna) interprete del ballatissimo Gangnam Style. Il quale, forse per non essere accantonato come l’ennesima meteora transitata sulla scena musicale, o forse per regalare nuovi momenti di leggerezza al proprio paese, minacciato dalle aspirazioni guerrafondaie del giovane e paffuto dittatorello nordcoreano Kim Jong-un, ci riprova lanciando proprio oggi il suo nuovo singolo, dall’autocelebrativo titolo di Gentleman (http://www.corriere.it/tecnologia/cyber-cultura/13_aprile_12/psy-gangnam-gentleman-tormentone_27205f92-a358-11e2-a571-cfaeac9fffd0.shtml). In attesa di verificare se Psy riuscirà nella difficile impresa di bissare l’impressionante record di ascolti, e la relativa scalata alle più ambite classifiche internazionali, raggiunti con il precedente brano, per adesso ci basti constatare la sua (o della sua etichetta) accresciuta astuzia in materia di marketing. Se infatti il Gangnam Style si è trasformato in un imponente fenomeno musicale quasi suo malgrado, perchè propagatosi in maniera capillare solo grazie alla rete e ai social network, senza il bisogno quindi di campagne pubblicitarie massicce o invasive, per il lancio del nuovo pezzo l’artista ha scelto invece la strada dell’ambiguità e della provocazione. Pare infatti che la canzone dovesse originariamente intitolarsi Assarabia, parola che in sudcoreano corrisponde press’a poco alla nostra “pelle d’oca”: ma la stessa espressione, in inglese, suona invece come l’equivoco accostamento di “ass” (fondoschiena, sennò poi dite che scrivo troppe parolacce) e Arabia. Ma Psy, già vivi con le armi nucleari puntate sulla testa dal tuo poco pacifico vicino, non ti basta? Che bisogno hai di andare pure a stuzzicare qualche permaloso integralista islamico?

Ma non servono poi grandissimi numeri per diventare un piccolo caso. Perché c’è anche chi, più modestamente, ma con altrettanto, efficace e tagliente umorismo, riesce a farsi notare mettendo in rima la propria vita sullo sfondo di una ricca cittadina di provincia. Proprio come è successo a Blebla, al secolo Marco Lena, rapper toscano dal faccione simpatico e dal ritmo coinvolgente, che, senza raggiungere le cifre da cardiopalma del collega sudcoreano, è riuscito però a piazzare il video della sua hit Prato (video allegato) tra i più visti in Italia su YouTube, sfiorando, in pochi mesi, la rispettabile quota di quasi 500.000 visualizzazioni. Merito di una graffiante ironia che si snoda attraverso i 4 minuti del brano, un originale ed esilarante condensato di tutti i più noti motti, i luoghi comuni e i tratti linguistici propri del centro toscano, un viaggio inusuale tra la storia, i vizi e le virtù dei suoi concittadini, apprezzato ed apprezzabile perché fedele, scanzonato, intelligente. Come il video, che, con uno stile immediato e brioso, resituisce alla perfezione una moderna cartolina della stessa città di Prato, grazie alla “comparsa” di edifici e luoghi simbolo come il Duomo e piazza Mercatale, il Castello e il museo Pecci, ma anche all’acuto spirito di osservazione retrostante la superficialità del pezzo. Viene così ugualmente esaltata e sbeffeggiata la sua fama di più estesa chinatown nazionale (irresistibile il passaggio con il ragazzo dai lineamenti asiatici), il suo glorioso passato di importante centro tessile e industriale, e ancora l’esistenza di vie dedicate ai suoi personaggi illustri. Un piccolo e beffardo capolavoro dunque, che rimbalzato poi di social in social, è diventato, per merito di un fitto passaparola (a proposito, grazie a Silvia per l’ennesima segnalazione) un po’ il nostro, più intimo, Gangnam style. Un tormentone in salsa toscana, insomma. O se preferite, di soia.

Cielo grigio su

negramaro – “Sole” (videoclip ufficiale) – YouTube.

Vi assicuro che io ci metto tutto l’impegno. Per scrivere qualcosa di leggero, spiritoso, che ci rallegri la giornata, per non sconfinare nella malinconia dove spesso vanno a rifiugiarsi miei post, per non tediarvi con i racconti nostalgici della mia vita che neppure uno psicologo, ben pagato, vorrebbe più ascoltare. E’ solo che piove, da giorni. Grazie tante, una finestra ce l’abbiamo anche noi, potreste rispondermi a questo punto. No, dico sul serio, per me è un problema quasi insormontabile. Perché il mio umore s’ingrigisce di pari passo col cielo, portandomi spesso a pensare che nella mia vita precedente fossi un animale da letargo, più probabilmente una lucertola. Un rettile sì, di quelli che rimangono ben nascosti nella propria tana durante le stagioni buie e fredde, per poi uscire immobili per ore a godersi il minimo spiraglio di sole. Magari potessi farlo anche adesso. Invece mi trascino per casa ringhioso e incupito dalla pioggia ininterrotta, che ha il potere di tirare fuori il peggio di me, a partire dal look, i maglioni vecchi e sformati in cui mi abbandono per giorni, la barba che non ho la minima voglia di accorciare, così come i sedici capelli superstiti che si affacciano sulle tempie (ora che li guardo bene, un paio sono anche bianchi, uff). Tutto questo masticando nervoso le mie ultime scorte di cioccolato, dannoso rifugio consolatorio delle mie giornate grigie o di bassa autostima, mentre lo schermo del pc ancora bianco pare fissarmi anche lui in attesa di chissà quale illuminazione o stupidaggine incombente. Ma la mia meteropatia da guinness, la stessa che al mattino, appena sveglio, senza neppure inforcare gli occhiali (e sbattendo quindi a lampade e comodini) mi costringe come prima azione quotidiana ad aprire le imposte per fare entrare la luce (quando c’è), ostacola anche la voglia di scrivere le solite battute per risultare simpatico a tutti i costi sul mio blog. In questi casi dovrei, senza troppi inutili tentativi, semplicemente tacere, o lasciar perdere. “Ma in fondo mi conosco, sbaglio tutti i tempi” recita però questo magnifico verso, così appropriato, della canzone che vi allego, intitolata (guarda caso) Sole, dei Negramaro. Primo, perché quella di Giuliano Sangiorgi, il frontman del gruppo, è l’unica voce maschile a cui permetto di fare compagnia alla mia collezione discografica di regine, Mina, Whitney, Madonna (lo so, i miei gusti musicali sono decisamente pop e tutt’altro che raffinati…e allora?). Secondo, perché la sto riascoltando in loop da ore mentre aspetto che mi arrivi invano una qualche ispirazione per buttare giù due frasi sensate e soprattutto che torni un po’ di sereno nel cielo. Altrettanto invano. Come non detto. “Ci saranno altri silenzi e altri tempi da sbagliare”.