Diavolo d’un ambasciatore

Premessa: visto che ci siamo svegliati ancora una volta in questo mondo, stiamo tutti bene, (oddio, tranne per qualche acciacco dovuto all’età o alla stagione, ma via, non ci lamentiamo), in fin dei conti poi non c’avevamo creduto più di tanto (anche se Roberto Giacobbo in qualche puntata di Voyager era sembrato così convincente), direi che posso tranquillamente evitare un post sulla mancata e tanto strombazzata fine del mondo, sui Maya, le cavallette o altri eventi apocalittici (come per esempio il Natale, ma non è detto che non scriva qualcosa al riguardo).

Barack Obama, il 44esimo presidente degli Stati Uniti da poco riconfermato in carica, quello che il più grande comico italiano degli ultimi 20 anni (chi altri?) aveva definito “carino e abbronzato”, pare stia pensando proprio a lei. Lei è la temibile Anna Wintour, potente e spigoloso direttore di Vogue America, modi dispotici e capelli irrigiditi in un eterno caschetto geometrico – da far invidia alla Carrà - su un volto più bruttino che banale. Secondo rumors da settimane sempre più insistenti la signora Wintour, che tanto si è prodigata nell’organizzare raccolte fondi ed eventi in perfetto american – style per la rielezione dello stesso Obama, sarebbe in lizza per il prestigioso ruolo di ambasciatrice Usa in Francia o forse nel Regno Unito (destinazione più probabile, data la sua originaria nazionalità inglese). Lei smentisce con freddezza, la stampa la incalza, le indiscrezioni serpeggiano (solo qualche giorno fa le più recenti http://www.theatlanticwire.com/politics/2012/12/ambassador-anna-wintour-rumor-refuses-go-away/60159/) e la pubblicità, soprattutto a vantaggio di sua altezza della moda, aumenta. Che sia solo una studiatissima e ben riuscita operazione di marketing? Può darsi. Fatto sta che il mio augurio è che ambasciatrice lo diventi sul serio, liberandoci così dalla sua ingombrante presenza nel fashion system. Anna Wintour è difatti colei per cui si riscrivono interi calendari di settimane di sfilate (soprattutto in Italia), fissati da tempo immemore, solo per assicurarsi la sua occhialuta e arcigna presenza in prima fila ad ogni show. Colei che ha notoriamente ispirato la perfida figura di Miranda de Il diavolo veste Prada, ma che se provate ad osservare al lavoro nel documentario The September Issue del 2009 (vivamente consigliato) noterete affaccendata ad offuscare altre e ben più talentuose presenze al suo fianco. Colei che decine di emule – in confronto alle quali anche la protoclonata pecora Dolly spiccava per originalità – convinte che basti un atteggiamento platealmente spietato e un culo secco per essere considerata un’autorità in materia, scimmiottano in ogni redazione del settore, anche la più sfigata.  Colei che se finalmente decidesse di farsi da parte, forse, anzi di sicuro, non cambierebbe proprio nulla, ma almeno potremmo cominciare a sperare, nel giornalismo di moda, nel gradito ritorno di un po’ di autenticità.

Il terrore dell’inizio

Un altro blog. Ce n’era proprio bisogno? Ovviamente no, sarebbe la risposta più giusta per la maggioranza degli utenti del web. Per tutti, in sostanza, o quasi. Perché invece c’è chi necessita della libertà di questo spazio: me stesso. E’ una premessa esplicitamente egoistica, me ne rendo conto. Però va sottolineata, sin dal principio. Perché questo blog vede la luce solo grazie alla personalissima esigenza di dare finalmente corpo a tutti quei pensieri che il mio corpo (o meglio, la mia testa) riesce a malapena a contenere. E che neppure la mia pagina Facebook – strettamente riservata agli amici intimi – probabilmente sopporta più (di Twitter poi non parliamo, 140 caratteri io li esaurisco in 7 secondi netti). Insomma, qui troverete soltanto le più dirette considerazioni del sottoscritto, spesso ironiche o brutalmente sincere, spero comunque sempre interessanti, su tutto ciò che ruota intorno alle mia vita con le sue grandi passioni (in primis, la moda), che di volta in volta riterrò sia il caso di postare. Ed è proprio qui che entrate in scena voi: voi che mi auguro vogliate condividere, commentare, perfino criticare o disprezzare (andateci piano, mi altero facilmente…scherzo…non troppo) quanto scriverò e pubblicherò. Non so dove mi condurrà questo esperimento, né quanto durerà. Magari tra un mese la mia proverbiale pigrizia avrà preso il sopravvento e mi sarò già annoiato di questo attrezzo. O forse rimarrò talmente offeso dalla penuria di commenti e di visitatori che, amareggiato, tornerò a riempire pagine di diari da lasciare ai nipoti (e che neanche loro leggeranno). Però adesso sono qui, ansioso di cominciare. Cercando di evitare di concludere questo primo post con la banalità di una frase del tipo “e chi mi ama, mi segua”. Semmai il contrario: seguitemi, e forse, col tempo, mi amerete.