Giulia, mia nipote, ha poco più di un anno, il sorriso impertinente di sua madre, un vocabolario di circa 15 parole (due delle quali, “zia” e “ovo”, usate indifferentemente per chiamarmi), occhi enormi azzurro cielo, pelle e capelli chiarissimi, da scandinava, così lontani dal mio incarnato “arabeggiante”, da farmi temere spesso di leggere negli sguardi altrui il dubbio che l’abbia rapita in qualche supermercato. Ieri, per Natale, insieme a un mega – puzzle di Winnie the Pooh (con cui mi ha tenuto occupato gran parte del pomeriggio) un simpatico telefono – macchinina e qualche altra diavoleria “spaccatimpani”, Giulia ha ricevuto due abitini fatti interamente a mano, uno di un grazioso tessuto rosa a fiorellini, l’altro di maglia viola lavorata ai ferri. Felicissima per l’improvviso incremento del suo guardaroba, complice la sua civetteria acerba, ha continuato a specchiarsi e a pavoneggiarsi (ecco il dna Guasti che emerge) con addosso i suoi nuovi regali, incurante delle loro piccole imperfezioni e della chiara assenza di un’etichetta. Ultimamente, alle mie collaborazioni, si è aggiunta quella, gradita e impensabile, con una nuova rivista di moda per bambini (che non nominerò, non perchè trovi scorretto farmi pubblicità sul mio blog, ma perchè, forse, dopo questo post, preferiranno fare a meno di me): vengo così a sapere che il childrenwear è l’unico segmento dell’industria di moda fortemente in ascesa, come testimoniano le inaugurazioni in tutto il mondo di megastore e fiere dedicate all’universo dei più piccoli, il lancio di linee kid e junior da parte di grandi firme del settore, a cui si affiancano i dati di numerose aziende specializzate, che riescono a chiudere l’anno con il bilancio in attivo (ebbene sì, succede ancora). In conclusione, in tempi di manovre “lacrime e sangue”, di festività in cui si preferisce rinunciare al cenone di Capodanno e ai regali, magari riciclando quell’orrenda camicia a righe mai indossata, pare sia difficile fare a meno di acquistare per i nostri (cioè, i vostri) figli maglioncini griffati e stivaletti numero 14 all’ultimo grido. Possibile? E soprattutto, perché? I bambini, (o fa eccezione mia nipote?), badano davvero alla costosissima marca dell’abito che indossano o non importa forse più loro la libertà di correre, sporcarsi, divertirsi, essere insomma bambini fino in fondo? Già, perché il dubbio che mi assale è proprio questo: non è che questa rincorsa (superflua?) al brand e al tutto griffato sin dalla culla finisce semplicemente con lo snaturare la loro stessa infanzia? A volte ho l’impressione di trovarmi di fronte nient’altro che bambini travestiti da adulti. Lo penso guardando e riguardando le foto delle campagne pubblicitarie che continuano ad arrivarmi per lavoro, zeppe di pose artificiose, sguardi ammiccanti e altre piccole mostruosità. Tra cui la nascita di nuove (baby)star: come Romeo, 10 anni, secondogenito di David e Victoria Beckham (se non vi fossero sembrati abbastanza onnipresenti sui media i genitori), protagonista della campagna per la prossima collezione primavera/estate di Burberry (che trovate nel video qui allegato). Probabilmente mi sbaglio, anzi, me lo auguro. Ma soprattutto mi auguro che Romeo, come farebbe un qualsiasi altro bambino, possa aver rovesciato, sopra il suo trench impeccabile, un bel frullato al cioccolato.
love
Bravo Ale, concordo in pieno!!!! Quei bambini sono solo delle caricature!!!! Teniamoli fuori da quel mercato finché si può….Un bacio alla bellissima Giulia ed al bellissimo zio…;-)
Oh, mi fa piacere leggere qui il tuo parere di mamma, molto prezioso!!! E grazie anche x i baci, che ricambio a te e alla splendida famigliola!!!
per le nostre generazioni il “mio figlio non dovrà patire le rinunce che mi hanno rovinato l’infanzia” constava nel non far mancare istruzione e dolci. man mano che si avanza con le generazioni l’asticella si alza: Licia che ha 9 anni meno di me non è riuscita ad integrarsi con le sue amiche fino a che non ha iniziato ad indossare benetton e best company; mio nipote che ha appena raggiunto la maggior età aveva jeans che costavano come la somma delle spese in vestiario di due o tre anni miei; di questo passo abbiamo divorato tutti i risparmi di generazioni e ora ci stupiamo di non aver più un € da spendere…
poi i genitori si stupiscono che la media del primo rapporto sessuale si sia abbassata verso i 12 anni… stiamo allevando una generazione di scrofe (indistintamente bimbe e bimbi!!)
ps ho visto ieri un film fantastico, la principessa Mononoke di Miyazaki: fantastico!!!!
oggi è il giorno delle ripetizioni… sarà l’ingolfamento festivo??
A me lascia un po’ perplesso che il dare alle generazioni nuove quello che non hanno avuto le precedenti si riassuma solo in abiti costosi, a un’età in cui poi dell’aspetto e del look non dovrebbe importare granché, lo trovo un filino superficiale (e cmq, rileggendo il mio post, mi rendo conto che sto diventando un vecchio brontolone)! Sai che di questo film non ne so nulla? Ora m’informo
bah! son cose che non sopporto, la bimbetta che all’asilo vien con le trine, quella che sbraita perchè i collant la inguainano troppo e il pargolo ingessato in pantaloni con le piega che mal si sposa col pannolone…le varie firme e marche che fanno lievitare i costi di vestitini che verranno indossati al massimo qualche mese, follia. e pensare che linee di vestitini “giusti” ci sono ma non per tutte le tasche…
Bene, il parere di un’altra mamma (e che mamma)! Senza polemizzare ulteriormente, capisco il desiderio di qualità nella scelta degli abiti per i pupi, ma stare troppo attenti a una marca piuttosto che a un’altra per quella fascia di età mi pare un filino prematuro!