Se ne dicon di parole…

The Kings Speech – Last Speech – YouTube.

Chiamiamola pure deformazione professionale (anche se a 29 anni suonati, da un pezzo, non saprei esattamente come definire la mia professione) ma io faccio molta attenzione alle parole. Non soltanto a quelle che tento di scegliere con cura per esprimermi e per veicolare al meglio le mie opinioni, soprattutto in forma scritta: da ex – timido infatti, mediamente emotivo, decisamente istintivo, i miei pensieri arrivano sempre troppo in fretta alla bocca, spesso ancora avvolti su se stessi come gomitoli. Così, talvolta, vuoi per l’imbarazzo che mi coglie in certe situazioni, vuoi per la mia dialettica che reputo inadeguata, a causa dell’inflessione dialettale e del viziaccio di troncare tutte le desinenze dei verbi, le mie conversazioni possono assumere toni forse piacevoli, ma non sempre brillanti. Con la scrittura me la cavo un po’ meglio, perché posso prendermi invece tutto il tempo che voglio per riflettere (cosa che nel parlare faccio di rado), per districare poco alla volta quella massa informe che sono le mie idee alla nascita, per chiarire il più possibile cioè ciò che voglio dire con esattezza in quel momento. Ormai non conto più le persone, anche quelle che conosco da una vita, che durante i pochi mesi di vita di questo blog mi hanno riempito di complimenti ripetendomi quanto siano rimaste sorprese o spiazzate dal contenuto dei miei post. Eppure sono sempre io: ma dal vivo evidentemente le mie parole non raggiungono l’altezza dei miei scritti, portandomi seriamente a considerare l’ipotesi di dover andare in giro con dei cartelli per fare più bella figura. Tutto questo preambolo per sottolineare come il contorno non verbale di una conversazione o di un discorso, inclusi il tono della voce, la mimica facciale, la gestualità, l’assenza di esitazioni o di inciampi nella pronuncia, abbia un suo peso sulla ricezione di un messaggio orale, che va al di là della parola stessa. Ci riflettevo proprio in questi giorni perché non faccio altro che leggere, ad esempio, quanto il nuovo pontefice Francesco I, da poco eletto, sia piaciuto incondizionatamente (anche a me, sia chiaro), soprattutto per la semplicità delle parole pronunciate nel suo primo discorso. Eppure il suo saluto d’esordio dalla facciata di S. Pietro alla piazza gremita è stato “Fratelli e sorelle, buonasera”: semplice, d’accordo, ma fino a prova contraria, formale. Non ha detto “ciao a tutti”, “uè, bella lì”, o cose del genere, ha scelto una formula educata, corretta, che si addice soprattutto a situazioni in cui si ha ancora poca confidenza con luoghi o persone. Diciamo “buonasera” al dirimpettaio che non conosciamo per nome, ai presenti in coda dal dottore che ci faranno fare tardi, al commesso del negozio in cui entriamo per la prima volta, che se non replica con uguale gentilezza, non ci vedrà mai più. Ecco, il “buonasera” è piuttosto un test di valutazione, un chiedere permesso per affacciarsi nello spazio altrui (non a caso se ne sono appropriate le annunciatrici televisive quando irrompono dallo schermo): a renderci simpatico il neo-papa non è stato tanto perciò la scelta del saluto in se’, quanto l’averlo condito con un sorriso affabile, con dei modi pacati, con un bagaglio umano che va oltre la formalità e il distacco dell’espressione usata. Non so se sia stato un caso, ma a poche ore di distanza dall’elezione del pontefice, in tv passava un magnifico film del 2010 rivisto con piacere, Il discorso del re (video allegato), con un superbo Colin Firth che ti tiene inchiodato fino alla fine, nei panni di re Giorgio VI alle prese con i suoi problemi di balbuzie da combattere per far fronte alle apparizioni pubbliche che il suo ruolo impone. Impossibile non parteggiare per il sovrano che negli ultimi minuti della pellicola, via radio, è costretto ad annunciare alla nazione il suo ingresso in guerra: con un discorso retorico, solenne, dal linguaggio desueto e altisonante. Ma il cui valore umano, che sa di vittoria sulle difficoltà personali, è del tutto svincolato dal significato delle parole stesse.

N.d.r. Per un crudele scherzo del destino, nel momento in cui scrivevo questo post, mi arrivava la terribile notizia della scomparsa di una persona, a me molto cara, che proprio della balbuzie aveva fatto il suo punto di forza. Permettetemi perciò di dedicarglielo, come ultimo affettuoso saluto. Ciao Ninnarello.

4 pensieri su “Se ne dicon di parole…

  1. mi sto già pentendo della mia bontà, ma ti devo dire che la tua proprietà di linguaggio (lasciando sta’ alcuni vizietti che son più vezzi o abitudini e che aggiungono solo colore e non distraggono dai contenuti), il tuo linguaggio del corpo e l’attitudine gentile che poni nelle comunicazioni ti rendono un ottimo comunicatore. purtroppo nella società della velocità che stiamo vivendo mai come prima vale la regola verba volant. solo la lettura obbliga ad isolarsi dalla frenesia del contesto in cui viviamo (o forse meglio sarebbe dire duriamo fatica). mentre leggi non puoi pensare al cane da pisciare (contraiamo anche quello che dovrebbe essere un piacere) alle pulizie da sbrigare, agli appuntamenti che stanno arrivando…
    la lettura è una sfera di cristallo che ci costringe ad assaporare e soppesare gli smeraldi che un’altra persona ci regala, ed ecco la sorpresa… dagli smeraldi nascono i fiori, se da parte di chi scrive c’è sufficiente coscienziosità nell’esporre concetti pregnanti in una forma perlomeno decente!!!

    perciò, non ti crucciare se ti sembra che i tuoi conoscenti non valorizzino il tuo eloquio, se un papa basta che dica tre cazzate e assurge ad un livello di considerazione ingiustificato (a me sinceramente non dice nulla per ora e mi fa specie che anche il più disinteressato bestemmiatore mi venga a dire che “mi piace il papa nuovo”?!?), tieni conto dei deliri collettivi, tieni caro invece della ricchezza degli inceppi di Ninnarello che pur senza stola bianca e scarpette di Prada probabilmente conteneva tutti gli smeraldi del mondo…

    oddio la glicemia alle stelle… vabbè, la prossima volta ti corco di mazzate, no te preocupe… ;)

    • Ecco, e ora che ti rispondo? Mi hai messo in imbarazzo, accipicchia, complimenti, in pochi ci riescono…vabbè, grazie, scherzi a parte non credo di essere un grande comunicatore, e non per finta modestia…è che quando parlo vado al cuore delle cose, senza tanti giri inutili, funziona anche quello…riconosco però di non essere un grande oratore, in più il mezzo scritto mi da’ la possibilità di non metterci la faccia, e con la mediazione di un foglio o di uno schermo mi è tutto più facile (rimasugli di timidezza)…anyway se poi chi mi legge si sorprende ma comunque mi segue perché trova piacevoli le mie boiate, felice lo stesso…tra i bestemmiatori a cui piace il nuovo Papa ero incluso? L’impressione non è pessima, non che me ne freghi un granché, però c’ha la faccia buona…magari poi è una serpe, vallo a sapere…aspetto le mazzate di commento al prossimo post, intanto grazie di nuovo e buon week-end :)

  2. Carissimo…
    Ma io ti adoro anche quando parli… Solo che non ti vedo mai, e quindi ultimamente apprezzo moltissimo questo blog, che ci permette comunque di stare in contatto..
    Sei adorabile con la tua inflessione dialettale e con il troncare le desinenze dei verbi: credo che siano una tua caratteristica: quando questa estate abbiamo lavorato quei 2 o 3 giorni insieme, alla fine del turno, parlavo anch’io come te.. ;-)
    Felice come sempre di averti letto, perché ribadisco, scrivi benissimo. Un bacione…

    • Ma sono io che adoro te! Come farei senza i tuoi complimenti quotidiani, che stanno diventando una piacevolissima abitudine! Grazie, per tutto…già,al lavoro ti avevo perfino contagiato con la pessima consuetudine di “taglià” i verbi…spero ricapiti presto! Un abbraccio, di cuore, non immagini il piacere che mi faccia leggerti ogni volta!!!