Miku Hatsune – The World Is Mine – YouTube.
Una certa dose di coraggio, oltre ad un’apprezzabile inclinazione per le sfide (quasi) impossibili, l’aveva mostrata nuovamente non più di un mese fa in occasione del MET Gala, quando, sul red carpet inaugurale della mostra Manus X Machina al Metropolitan Museum di New York era riuscito nell’impresa, non certo facile, di far guadagnare per l’ennesima volta alla solita Madonna lo scettro di regina assoluta della trasgressione. Già, perché quell’abito nero tutto pizzo, pericolose trasparenze e lacci strizzamuscoli indossato allora da Miss Ciccone (criticatissimo sulla stampa di mezzo mondo perché lasciava in bella vista glutei e seni della diva quasi 60enne, ancorché sorretti da apposite e indispensabili stringature) e firmato Givenchy, altro non era che l’ennesimo colpaccio messo a segno da Riccardo Tisci, italiano e talentuoso direttore creativo della medesima maison di moda da oltre un decennio, non a caso recentemente inserito dall’autorevole rivista Time tra le 100 personalità più influenti del 2016. Che Tisci sia dunque, in virtù della sua straordinaria carriera e del suo curriculum impressionante per uno stilista poco più che quarantenne, uno dei creatori di moda più ambiti e richiesti ai quattro angoli del pianeta proprio dalle stesse star della musica internazionale, che sembrano letteralmente fare a pugni pur di accappararsi una sua collaborazione o un suo prezioso abito da sfoggiare in tour o su di un qualche tappeto rosso, non dovrebbe stupire più di tanto. A destare sorpresa è semmai l’invito lanciatogli dalle pagine di Vogue Usa, e prontamente raccolto dall’infaticabile designer, a vestire una cantante non troppo conosciuta in occidente ma, al contrario, già popolarissima in Giappone, la quale, a dispetto della sua giovane età (16 anni) riesce con la disinvoltura di una diva consumata a riempire stadi di fan deliranti e inneggianti il suo nome. Peccato solo non esista nella realtà. Perché Miku Hatsune, questo il nome della celebre stella della musica nipponica, dallo scorso Aprile impegnata in un tour promozionale negli States, è semplicemente un bacharu aidoru - come viene definita in patria dai suoi fedelissimi ammiratori intrisi di tecnologia e manga – vale a dire un essere virtuale, una sorta di gigantesco cartone in 3D, una creatura cioè animata da un software che ne riproduce fattezze e voce (quella, neanche troppo memorabile, con cui si esibisce, naturalmente modificata, appartiene alla cantante Saki Fujita, qui nel video di un suo brano recente The world is mine). E se da questa parte del mondo a fatica riusciamo a spiegarci il successo travolgente di un personaggio che a noi bambini degli anni ’80 ricorda eroine già viste in tante serie animate made in Japan (quelle, per intenderci, con occhioni giganteschi e luccicanti, capelli fluo e improbabile sigla finale da cantare con vocina stridula), per dare un’idea invece della fama raggiunta in estremo oriente da Miku, lanciata nel 2007 dalla Crypton Future Media anche come protagonista di una serie di videogiochi e fumetti, basti pensare che in pochi anni ciascun suo video ha raggiunto in rete una media di 5 milioni di visualizzazioni (cifre da far crepare d’invidia tante star in carne ed ossa), oltre all’onore di aver aperto un concerto di Lady Gaga e di aver duettato con Pharrell Williams in una clip realizzata dall’artista Takashi Murakami. L’unico dubbio rimane però sull’operazione “diva da rivestire”: il nome di Givenchy, passato alla storia anche perché legato alla bellezza senza tempo di un’icona come Audrey Hepburn, avrà fatto bene stavolta ad affiancarsi ai codini verdi e all’aspetto infantile e un po’ inquietante di Miku? E tra dieci, venti, trent’anni, ci sarà ancora chi si ricorderà di lei o parlando di star e moda torneremo a citare il tubino nero di Colazione da Tiffany?