The Addams Family TV Show Opening 1964 – YouTube.
Nella convulsa quotidianità di un adulto, definzione che in base a quella cifra incontestabile presente alla voce “data di nascita” sulla carta d’identità dovrebbe inculdere anche me, trovarsi a ripescare occasionalmente nella testa i ricordi un po’ offuscati della propria infanzia rappresenta in molti casi un piacevole e non sempre pianificabile passatempo, una distrazione placida e imprevista in cui immergersi quando la memoria ti coglie di sorpresa divertendosi a spalancare a casaccio alcune finestre sul tuo vissuto. Naturalmente è così anche per me: quel misto di tenerezza e imbarazzo che mi provoca rievocare la mia immagine di bambino perennemente sbrindellato, sudacchiato, un po’ selvatico, che rientrava a casa solo quando era impossibile continuare a ignorare i richiami via via più minacciosi di mia madre alla finestra, con i calzoni della tuta sempre macchiati d’erba e un’immancabile crosta di sangue al ginocchio sinistro, di cui conservo una simpatica cicatrice ancora oggi, si accompagna all’enigma mai risolto di come abbia fatto a trasformarmi negli anni in un esemplare di persona oggi comunemente ritenuta mite e piuttosto affidabile. Non che fossi un tipino poi così irrequieto e scavezzacollo: ma dietro quell’apparenza calma e assenata, frutto di un’indole quasi timida e di un rendimento scolastico medio – alto, dovuto al dono provvidenziale di una memoria da elefante che mi ha sempre garantito buoni risultati con il minimo sforzo, rimaneva da gestire un’energia anche fisica che talvolta finiva per essere incanalata in pericolosi svaghi, dal salire appena possibile sugli alberi nei giardini all’eseguire ovunque capriole e giravolte rischiose, con un’agilità poi purtroppo svanita chissà dove. Questo per chiarire maggiormente quale trauma possa aver rappresentato per me affrontare a circa 8 anni, di fronte a una platea di altri classi semiannoiate, il mio primo e unico ruolo ottenuto in una recita scolastica, la sola che le mie insegnanti ci permisero di mettere in scena, giustificando la propria evidente incapacità di tenerci a bada in simili occasioni con un banale “sono troppo vivaci”. Per di più, invece di legare l’evento, come da consuetudine, alla sentita tradizione religiosa, che prevedeva l’allestimento di uno spettacolino amatoriale verso Natale o Pasqua, con bambini in vesti rabberciate a mo’ di angioletti, pulcini, fiocchi di neve o fiorellini, le mie maestre, dimostrando senza dubbio originalità e un senso dell’umorismo un tantinello lugubre, decisero, forse ambiziosamente, di farci addirittura cimentare nella Famiglia Addams, il celebre telefilm che proprio questi giorni va compiendo 50 anni dalla sua prima messa in onda negli States (nel video, la sigla originale). E dato che Stefania, la mia compagna di classe colpevole di avermi dimostrato con troppo entusiasmo la sua cotta colpendomi con una sedia dritto sulla testa, era stata ritenuta perfetta per la parte di Morticia, ma un mio eventuale affiancamento nei panni di Gomez avrebbe messo a rischio ancora una volta la mia incolumità e i nervi già provati delle insegnanti, la soluzione migliore fu quella di tenermi a debita distanza da lei assegnandomi il ruolo assai gratificante di, udite udite, Mano. Il che significò che per tutto il tempo delle prove così come per la durata stessa della recita, percepita come infinita, sarei dovuto rimanermene accovacciato e quatto quatto sotto alcuni banchi accostati, coperti da una polverosissima tovaglia bordeaux con le nappe, sistemata per nascondere l’apertura strategica da cui avrei far dovuto fuoriuscire la mia mano che faceva così la sua magica comparsa sbucando da una scatola di scarpe ridipinta. Un gran debutto artistico, non c’è che dire. L’unica consolazione era sapere (perché di riuscire a vedere qualcun altro, là sotto, non se ne parlava) che “sul palco” ci fossero altri compagni ancor più pubblicamente ridicolizzati: Merygiusy (mi pare si scrivesse così) ad esempio, a causa dei suoi lunghi capelli lisci color miele, fu scelta per impersonare il cugino It e costretta dunque a recitare in ginocchio, di spalle al pubblico, con un paio di occhiali da sole indossati al contrario sulla nuca. Emanuela, data la sua corporatura gracile e il faccino pallido perennemente imbronciato, divenne, con pochi piccoli accorgimenti, una copia quasi fedele di Mercoledì, e dunque poi condannata a fare i conti con quel cupo soprannome per alcuni anni a venire. Perché va precisato: uno dei motivi per cui tutti ricordiamo volentieri il telefilm, oltre al quell’efficace humour nero e alla stravaganza di vicende, dalle quali nei primi anni ’90 è stata tratta una riuscita versione cinematografica e adesso anche un musical, è per averci soprattutto fornito un noto e riconoscibile campionario di tipi fisici e relativi nomignoli con cui etichettare o sbeffeggiare chicchessia. Quello che ho pensato proprio qualche giorno fa quando ho dovuto rinnovare il mio tesserino di accompagnatore turistico: una rapida occhiata alla nuova foto, ed ecco che la mia infanzia traumatica di Mano ha lasciato adesso il posto ad una più spettrale maturità da zio Fester.