Escludendo una breve, memorabile e destabilizzante parentesi romana (la capitale è un magnifico labirinto sovraffollato, inadatto alla mia anima tutt’altro che metropolitana) vivo ormai a Firenze (o giù di lì) da quasi due decenni, da quando cioè vi approdai come un giovane studente con qualche sogno (e capello) in più e con qualche consapevolezza (e chilo) in meno. Da allora, vuoi per la mia risaputa sbadataggine, vuoi per un vezzo divenuto nel tempo una radicata abitudine, giro per le vie del capoluogo toscano quasi esclusivamente a piedi (in auto per di più m’inferocisco dopo pochi minuti), trasformando così i miei necessari spostamenti in piacevoli passeggiate di cui approffitto per rilassarmi, schiarirmi le idee, osservare incuriosito passanti, negozi, edifici. A voler essere sinceri fino in fondo, possiedo inoltre un senso dell’orientamento degno di un criceto appena sceso dalla sua ruota: non memorizzo le strade, neanche quelle che percorro più frequentemente, men che mai i nomi delle stesse vie, e quando sono in altre città mi ritrovo spesso a rigirare un’incomprensibile piantina come se fosse una pizza nel piatto, per poi arrendermi alla mia evidente imbranataggine e chiedere indicazioni al primo malcapitato di turno. Il tutto, manco a dirlo, al contrario del mio amore, al quale, in qualunque posto del pianeta ci possiamo trovare al momento, sono sufficienti due rapide occhiate ai lati della testa per affermare con decisione “Di qua!”: ed è sempre la direzione giusta, circostanza che spesso mi fa sorgere il dubbio che abbia già girato il mondo a mia insaputa, forse in compagnia di innumerevoli ed altrettanto misteriosi amanti.
Tornando all’argomento principe di questo post, che non sono le assurde fantasie impregnate di gelosia del blogger, ma il suo sovente girovagare, talvolta senza meta, con la mente distratta e il naso all’insù, da pochi anni a questa parte le mie camminate distensive si sono arricchite di un’ulteriore pratica, che si va ad affiancare alla già stramba consuetudine di soffermarmi a leggere tutti gli eventi, i nomi e gli anni presenti nelle targhe commemorative poste sulle facciate dei palazzi (fatelo anche voi, si imparano un sacco di cose). Si tratta questa volta di una sorta di piacevole caccia al tesoro, indirizzata a scovare, anche negli angoli più perfiferici della città, gli interventi di Clet, un artista francese attivo in Italia già dai primi anni ’90, che dal 2005 risiede proprio a Firenze e che, unicamente armato di fantasia e di un’idea brillante, ha ritoccato il volto più ordinario di questo come di altri centri, in Italia e all’estero, disseminando un po’ ovunque i suoi originali lavori (foto allegata). Che altro non sono che comunissimi cartelli stradali, reinterpretati con l’applicazione di alcuni stickers, e trasformati così in ironiche o amare scenette, popolate di personaggi stilizzati, indaffarati in azioni epiche o al contrario quotidiane, che si affacciano beffardi, spensierati o malinconici, silenziosi eppure eloquenti, da uno degli oggetti di uso più comune (e spesso più ignorato) della nostra realtà urbana. Un’operazione arguta ed efficace, troppo spesso e troppo semplicisticamente liquidata come “arte da strada”, che invece dimostra come la contemporaneità possa riuscire ad appropriarsi di nuovi mezzi e di nuovi spazi anche in quei luoghi in cui risulta difficile arginare l’ingombro di una tradizione culturale vecchia di secoli. Interventi che esemplificano inoltre come il fine ultimo dell’arte ai nostri giorni non sia unicamente quello di provocare, scioccare o aggredire lo spettatore, ma di spingerlo, con garbo e leggerezza, ad una più pacata riflessione, facendogli semplicemente volgere lo sguardo appena sopra di se’. E perchè no, di strappargli un sorriso.