In principio fu The Sartorialist (http://www.thesartorialist.com/), blog nato quasi per caso (così vuole la leggenda), nel 2005, per iniziativa del newyorkese Scott Schuman, che, armato unicamente della sua macchina fotografica, di tanta buona volontà e probabilmente di tanto tempo libero, cominciò a girovagare per le innumerevoli strade della sua città fotografando sconosciuti con un certo non so che, diciamo un gusto personale e forse apprezzabile in fatto di abbigliamento. Ne scoppiò un caso, uno dei più fortunati che la recentissima storia del web ricordi: The Sartorialist divenne in poco tempo (ed è tuttora), il capostipite di milioni di emuli online, il primo esempio di un’irruzione anomala, capillare e preponderante dello street – style nei circuiti mediatici fino ad allora un po’ snobbati dalla moda ufficiale. Di più: essere fermati e fotografati da Scott Schuman – che nel frattempo raggiungeva con i suoi scatti i quattro angoli del mondo, ritraendo via via personaggi sempre meno ignoti – è divenuto, in pratica, sinonimo di consacrazione e apprezzamento del proprio stile nell’intero fashion – system, la riconosciuta promozione di un look tra quelli degni di essere recensiti, sia il soggetto immortalato un addetto ai lavori, una modella o un semplice imbucato alle settimane della moda (dove mr. Schuman ha nel frattempo maggiormente dirottato le sue fatiche). L’ho incontrato solo in un paio di occasioni, in quel turbinio di folla variopinta e schizofrenica che affolla le sfilate, dove talvolta avanza un invito anche per il sottoscritto (raramente, ma succede). Ricordo benissimo il continuo passargli tutt’intorno ad opera di personaggi eccentrici, per non dire bizzarri, che avrebbero dato volentieri chissà cosa pur di essere semplicemente notati dal blogger, il quale, con tutta probabilità abituato a certe bieche manifestazioni autopromozionali, pareva beatamente ignorare il 90% della folla intorno a lui. Ricordo benissimo anche altro: e cioè il suo fermo rifiuto, espresso con un sorriso gentile, per carità, ma ribadisco, con fermezza, a lasciarsi lui stesso fotografare da una mia amica, per altro inviata da un’autorevole rivista del settore, in quanto trattandosi di un evento piuttosto informale, Schuman mai e poi mai sarebbe voluto comparire su un magazine in vesti più casual. Un aneddoto a cui ho ripensato di recente, quando, decisamente divertito, ho ammirato le immagini di Eat the Kitsch (http://eat-the-kitsch.tumblr.com) un nuovo fashion blog di ironica perfidia, nato dall’obiettivo inclemente e dalla sagace intuizione di Beatrice e Francesca, amiche con la passione per la fotografia e il pallino per il web. Capovolgendo con efficacia il principio che ha fatto il successo di Schuman, infatti, le due neoblogger si soffermano a ritrarre errori ed orrori di moda, curiosando tra comuni turisti e passanti, colti in situazioni di assoluto e completo relax, quando cioè è più facile (e dunque, per il lettore, più esilarante) scivolare sulla classica buccia di banana in fatto di look. Il risultato è una galleria caleidoscopica, surreale e spesso, ai limiti del pensabile, di colori, fantasie, abbinamenti azzardati, capi o accessori di cui avresti voluto ignorare l’esistenza. Che riesce a far sorridere, se non quando inorridire, anche chi non è propriamente un autorità in materia: a meno che non vi riconosciate tra i malcapitati ritratti. Beh, in quel caso…
Archivio mensile:giugno 2013
Baby chi?
Baby K – Non cambierò mai ft. Marracash – YouTube.
In questi ultimi due anni, musicalmente funestati da drammatiche perdite che ci hanno privato, in maniera trasversale, di artisti diversissimi per genere, pubblico e look (secondo un ordine bislacco che va da Whitney Houston per giungere fino a Little Tony), le cattive notizie nell’universo della canzone paiono non voler finire. No, questa volta non si tratta, per fortuna, di un lutto inaspettato, anche se la vicenda potrebbe proprio assumere i contorni di un addio definitivo: quello annunciato, senza troppi giri di parole, da Chiara Iezzi, cioè la Chiara del pop-family-duo Paola e Chiara (che avevamo imparato a distinguere a fatica, dopo anni, perché chiara lo è anche di capelli…fosse stato il contrario, un dramma!) sulla sua pagina Facebook soltanto qualche giorno fa (http://www.style.it/star/musica/2013/06/04/paola-e-chiara-addio-alla-musica.aspx#?refresh_ce). Ma, al di là dei durissimo j’accuse mediatico scagliato online dalla maggiore delle due sorelline della dance italiana (“dopo 17 anni di musica nessuno crede in noi” ha tuonato…chiediamoci perché, mi verrebbe da aggiungere), che poi “ine” non lo sono più neanche tanto, dato che hanno raggiunto, rispettivamente, la significativa età di 39 e 40 anni, il fine ultimo dello scioccante (si fa per dire) post, scopriamo subito dopo, è quello di lanciare la loro ultima fatica discografica, Giungla (“probabilmente l’ultima” continua nel suo sfogo Chiara) in uscita il prossimo 11 Giugno. Ma come, hai appena scritto che sei stufa di essere bistratta dalla critica e dalle major, di essere etichettata come una cantante di serie B dalla stampa e dal pubblico, e invece di reagire con un moto di orgoglio, di sdegno, di superiorità, che so, orchestrando un abbandono della scena in perfetto stile Greta Garbo, silenzioso e d’effetto, mi lanci un disco nuovo? Un po’ come quel grottesco ex-premier, che messo alle strette in un paio di interviste televisive, ripeteva come un mantra “Vuole che me ne vada? Me ne vado?” e poi rimaneva sempre lì, ben piantato al suo posto.
Certo, a giudicare dalle classifiche di iTunes, dove il singolo Divertiamoci, primo estratto dall’album Giungla, sta sfiorando ogni giorno di più la vetta, è stata la mossa migliore; con il rischio effettivo che il motivetto, di un’innegabile e fin troppo studiata orecchiabilità, la stessa a cui le due sorelle ci hanno abituato da tempo, finisca per diventare il prossimo, soffocante, tormentone estivo. A contendergli l’ambito primato però potrebbe essere il nuovo pezzo di un astro nascente della scena musicale nostrana, Non cambierò mai, che porta la firma di tale Baby K (video allegato), all’anagrafe Claudia Nauhm, trentenne italiana cresciuta tra Singapore e Londra, artista prodotta da un altro nostro divo d’esportazione come Tiziano Ferro (con il quale ha duettato nella hit Killer), salutata un po’ ovunque come una ventata di freschezza perché rapper, tutta frasi cattive e ribelli, e soprattutto donna (http://www.grazia.it/Stile-di-vita/musica/migliori-dischi-canzoni-2013-cosmo-bowie-daft-punk-timberlake). Ora, se è pur vero che in Italia il rap sembra comparso all’improvviso solo da quando esiste Moreno, l’ultimo vincitore di Amici della De Filippi, che possiede almeno il pregio di discostarsi dal filone ragazza graziosa, voce graffiante e testi da pubblicità di automobile (leggi Emma Marrone ed Alessandra Amoroso), santiddio, fossi La Pina, che va snocciolando testi in rima più che apprezzabili da almeno 15 anni (prima cioè della sua sfavillante carriera televisiva e radiofonica), a sentirmi dire che una “rapper al femminile” qui da noi è una novità, mi salirebbe la pressione alle stelle. Ma tant’è: perlomeno Baby K dimostra più senso dell’umorismo, avendo scelto appunto quel nomignolo, Baby, che si confà perfettamente alla sua altezza non proprio da valchiria. Al contrario delle sorelle Iezzi, che già nel titolo del loro primo album, Ci chiamano bambine, parevano lagnarsi per lo stesso motivo. Insomma, che fossero due tipe permalose, potevamo capirlo sin dal principio.
Ma dalla noia, chi ci salva?
Vorrei poter dire che alla fine ne è valsa la pena. Di aver guadagnato spazio, a gomitate, tra migliaia di turisti asserragliati, come piccioni sui cornicioni, intorno Palazzo Vecchio, a Firenze, solo per riuscire a scattare una foto (quella allegata) ai piedi dell’enorme “R”, simbolo dell’iniziativa, per poi rassegnarti all’evidenza che la signorina giapponese di fianco a te non si toglierà mai dall’inquadratura, e non ti rimane che imitarne la posa, per tentare almeno di dare una qualche ironia allo scatto. Di aver atteso una buona mezz’ora sulle scale che conducono, all’interno dello stesso Palazzo, nel celeberrimo Salone dei Cinquecento, tra giovani fashion victim con addosso abiti che urlano la loro voglia di stupire e l’incertezza meteorologica, meno giovani radical chic, per fortuna vestiti più sobriamente, e la stessa signorina giapponese della foto che probabilmente si è persa e non trova più il suo gruppo. Di aver trascorso altri canonici quindici minuti, finalmente seduto al tuo posto, prenotato online con doveroso anticipo, nel brusìo sintomatico della curiosità generale, prima dell’attesissimo appuntamento che proprio oggi ha inaugurato, nel capoluogo toscano, il programma de La Repubblica delle Idee (http://racconta.repubblica.it/repubblica-delle-idee/2013/index.php?page=programma&ref=HRER3-1 ) – 4 giorni di incontri e dibattiti promossi dal noto quotidiano nazionale, con la partecipazione delle sue principali firme e di una ricca serie di scrittori e ospiti internazionali. Dicevo, un evento speciale quello di oggi (soprattutto per chi condivide i miei stessi interessi), dal suggestivo e dostoevskijano titolo La bellezza ci salverà, che prevedeva la doppia presenza di un mostro sacro del giornalismo nazionale come Natalia Aspesi (una che chiunque voglia fare questo mestiere dovrebbe studiare a memoria pezzo per pezzo) e Frida Giannini, direttore creativo di un brand di moda tra i più importanti al mondo, Gucci.
Ebbene, in un’ora scarsa di conferenza, mi sono addormentato. Per ben due volte. Non tanto per le domande tutt’altro che sciocche della Aspesi, che comunque difettavano in parte della solita vena pungente e di quell’invidiabile sottigliezza che la giornalista sfoggia nei suoi articoli, necessarie alla riuscita di una buona intervista (ma una signora di tale spessore, cultura e importanza l’avrei perdonata anche se avesse taciuto per tutta la durata dell’incontro). Quanto per le risposte dall’insistente ed eccessivo tono autocelebrativo fornite dalla Giannini, che hanno ribadito infinite volte l’impegno umanitario (lodevole, per carità) del marchio e la recente sfida lanciata dal progetto Chime for change (http://www.chimeforchange.org/) che vede la stilista schierata al fianco di due celebrità come Beyoncé e Salma Hayek per promuovere il diritto all’educazione e alla salute femminile nel mondo. E ancora il legame speciale tra Gucci e il territorio fiorentino, sottolineato dalla salvifica acquisizione del marchio stesso di un’azienda in difficoltà come la Richard Ginori (peccato per quell’ombra sulla regolarità dell’operazione gettata dall’apertura da parte della procura di un fascicolo al riguardo, neanche accennata) e dalla linfa vitale che il brand in teoria trarrebbe dalla sua città natale, Firenze (anche se fu proprio sotto la direzione di Frida, quattro anni fa, che il quartier generale di Gucci traslocò a Roma). Potrei continuare con i mille consigli forniti su come una giovane donna, che ricopre un ruolo leader a livello mondiale, possa conciliare il suo durissimo e impegnativo lavoro con la recente maternità (lo scorso Marzo è nata la sua primogenita, Greta): beh, per una che è alla direzione creativa di un’azienda con un fatturato annuo di circa 2 miliardi di euro deve essere piuttosto difficile, sì. Insomma, non c’è stato né contraddittorio, né una critica, né tantomeno un affondo su questioni che potevano essere trattate con maggiore obiettività e non come un noioso e superfluo spot del marchio. Che, guarda caso, possiede proprio lì accanto Palazzo Vecchio un museo a proprio nome. Dove, uscendo, almeno ho rivisto la mia amica giapponese ritrovare il suo gruppo.
Il senso di Milla per l’arte
Milla Jovovich performer alla Biennale di Venezia – YouTube.
Che sia bella, anzi bellissima, eclettica e trasformista, e soprattutto infaticabile, ormai è appurato da tempo. Ad appena 37 anni (che sono pochini, vero?) Milla Jovovich, supermodella da svariate copertine, attrice camaleontica per kolossal e film indie, ex – frontwoman in un gruppo rock, ex moglie del regista francese Luc Besson e attuale coniuge di un altro regista, il britannico Paul William Christian Anderson (quando si dice essere recidivi) si è misurata con una tale facilità, nella sua lunga e variegata carriera, nei più diversi settori, che un essere umano qualsiasi collezionerebbe forse simili traguardi in sette diverse esistenze. Del resto, per una che appena undicenne, quando le sue compagne di scuola passavano ancora i pomeriggi a pettinare le Barbie, già posava dietro l’obiettivo di un fotografo sofisticato come Richard Avedon, artefice della sua scoperta, e poco dopo veniva chiamata a raccogliere l’eredità di un’altra bambina prodigio del grande schermo, Brooke Shields, diventando la protagonista di Ritorno alla laguna blu – sequel di quel Laguna Blu che, a dispetto dell’evidente insulsaggine di trama, è diventato un film cult del cinema anni ’80 – c’era da aspettarselo. Da allora, in circa due decenni, Milla ha difatti prestato il volto (ma soprattutto il corpo), rispettivamente, prima all’enigmatica Leloo del fantascientifico Il quinto elemento, poi alla visionaria Giovanna d’Arco nell’omonima pellicola – lavori diretti entrambi dall’ex marito Besson – e ancora, ha incarnato per ben tre volte, in tutti i capitoli della saga, la spietata Alice, l’eroina di Resident Evil, film ispirato al conosciutissimo videogame. Nel frattempo, tra un set e l’altro, ha firmato contratti milionari divenendo testimonial per celebri brand di moda e case cosmetiche (come Dior, tanto per buttarvi lì un primo nome), ha percorso chilometri di sfilate e di red carpet (ma mai con addosso lo stesso abito per due volte), ha posato per un calendario (e chi non lo ha fatto?) ha lanciato perfino un suo marchio di abbigliamento (esperienza che non si nega a nessuno, fosse anche Valeria Marini). E se pensate che a questo punto le manchi solo un’incursione nel mondo dell’arte, vi sbagliate di grosso: proprio pochi giorni fa, in occasione della 55esima Biennale di Venezia, Milla è stata la protagonista della singolare performance Future/Perfect, (video allegato) installazione vivente dell’artista statunitense Tara Subkroff. La quale, speriamo non motivata da una comprensibilissima invidia tutta femminile, ha pensato bene di rinchiudere per qualche ora la nostra attrice in un’enorme scatolona abitabile di plexiglass, che veniva riempita, poco alla volta, da pacchi, sempre più ingombranti, di acquisti online. Un’opera, che nelle intenzioni, avrebbe dovuto spingere alla riflessione sulla realtà frenetica del consumismo su internet e sull’inutilità di accumulo degli oggetti superflui (così pare), ma che ha finito per soddisfare la curiosità dei presenti, accorsi per vedere la bella Milla alle prese con taglierino e cartoni. L’ennesima prova che solleticare l’istinto voyeuristico degli spettatori, meccanismo alla base del discutibile successo di Grande Fratello & simili, funziona ancora, così come l’ingabbiare qualcuno, per divertimento o provocazione, in uno spazio trasparente, alla mercé degli sguardi altrui. Operazione che in realtà, qui da noi, ha già fatto il suo tempo e soprattutto i suoi danni: ricordate la valletta chiusa sotto il tavolo in una trasmissione tv di qualche anno fa? Era Flavia Vento: la cui completa inutilità, da allora, continuiamo a sopportare.