C’è chi arriva dalla lontana Corea del Sud, e in poco tempo, grazie a un ritornello orecchiabile, divenuto subito tormentone, e a una coreografia simile a un buffo rodeo, accessibile per fortuna anche a chi è totalmente digiuno di danza, diventa un star planetaria. Un motivetto facile facile, cliccato da circa un miliardo e mezzo di persone su YouTube, cioè un quarto dell’intera popolazione mondiale: questo solo per dare un’idea dell’enormità del successo riscosso da Psy, discutibile nome d’arte (non sarà un’abbreviazione di Psycho?) scelto dal cantante 35enne Park Jae-sang, l’ormai celeberrimo e onnipresente (dalla Casa Bianca alla tappa newyorkese del tour di Madonna) interprete del ballatissimo Gangnam Style. Il quale, forse per non essere accantonato come l’ennesima meteora transitata sulla scena musicale, o forse per regalare nuovi momenti di leggerezza al proprio paese, minacciato dalle aspirazioni guerrafondaie del giovane e paffuto dittatorello nordcoreano Kim Jong-un, ci riprova lanciando proprio oggi il suo nuovo singolo, dall’autocelebrativo titolo di Gentleman (http://www.corriere.it/tecnologia/cyber-cultura/13_aprile_12/psy-gangnam-gentleman-tormentone_27205f92-a358-11e2-a571-cfaeac9fffd0.shtml). In attesa di verificare se Psy riuscirà nella difficile impresa di bissare l’impressionante record di ascolti, e la relativa scalata alle più ambite classifiche internazionali, raggiunti con il precedente brano, per adesso ci basti constatare la sua (o della sua etichetta) accresciuta astuzia in materia di marketing. Se infatti il Gangnam Style si è trasformato in un imponente fenomeno musicale quasi suo malgrado, perchè propagatosi in maniera capillare solo grazie alla rete e ai social network, senza il bisogno quindi di campagne pubblicitarie massicce o invasive, per il lancio del nuovo pezzo l’artista ha scelto invece la strada dell’ambiguità e della provocazione. Pare infatti che la canzone dovesse originariamente intitolarsi Assarabia, parola che in sudcoreano corrisponde press’a poco alla nostra “pelle d’oca”: ma la stessa espressione, in inglese, suona invece come l’equivoco accostamento di “ass” (fondoschiena, sennò poi dite che scrivo troppe parolacce) e Arabia. Ma Psy, già vivi con le armi nucleari puntate sulla testa dal tuo poco pacifico vicino, non ti basta? Che bisogno hai di andare pure a stuzzicare qualche permaloso integralista islamico?
Ma non servono poi grandissimi numeri per diventare un piccolo caso. Perché c’è anche chi, più modestamente, ma con altrettanto, efficace e tagliente umorismo, riesce a farsi notare mettendo in rima la propria vita sullo sfondo di una ricca cittadina di provincia. Proprio come è successo a Blebla, al secolo Marco Lena, rapper toscano dal faccione simpatico e dal ritmo coinvolgente, che, senza raggiungere le cifre da cardiopalma del collega sudcoreano, è riuscito però a piazzare il video della sua hit Prato (video allegato) tra i più visti in Italia su YouTube, sfiorando, in pochi mesi, la rispettabile quota di quasi 500.000 visualizzazioni. Merito di una graffiante ironia che si snoda attraverso i 4 minuti del brano, un originale ed esilarante condensato di tutti i più noti motti, i luoghi comuni e i tratti linguistici propri del centro toscano, un viaggio inusuale tra la storia, i vizi e le virtù dei suoi concittadini, apprezzato ed apprezzabile perché fedele, scanzonato, intelligente. Come il video, che, con uno stile immediato e brioso, resituisce alla perfezione una moderna cartolina della stessa città di Prato, grazie alla “comparsa” di edifici e luoghi simbolo come il Duomo e piazza Mercatale, il Castello e il museo Pecci, ma anche all’acuto spirito di osservazione retrostante la superficialità del pezzo. Viene così ugualmente esaltata e sbeffeggiata la sua fama di più estesa chinatown nazionale (irresistibile il passaggio con il ragazzo dai lineamenti asiatici), il suo glorioso passato di importante centro tessile e industriale, e ancora l’esistenza di vie dedicate ai suoi personaggi illustri. Un piccolo e beffardo capolavoro dunque, che rimbalzato poi di social in social, è diventato, per merito di un fitto passaparola (a proposito, grazie a Silvia per l’ennesima segnalazione) un po’ il nostro, più intimo, Gangnam style. Un tormentone in salsa toscana, insomma. O se preferite, di soia.