Marmellata per tre

“Provi a metterlo a pancia in giù” mi suggerisce, con inconfondibile accento sardo, la signora seduta al tavolo accanto in gelateria, mentre assiste sbigottita all’inconsueto e probabilmente comico spettacolo di me alle prese con il pianto di un bambino di due mesi che non ne vuole sapere di placarsi tra le mie braccia. “Dice così?” Ha ragione, ha smesso!” “Visto? Non si preoccupi, anche mio marito ha imparato col tempo” “No, vede, io non…” ma prima che possa spiegarle che, per fortuna, madre natura si guarderebbe bene dal regalarmi un esserino di cui non riuscirei a fermare le lacrime per giorni interi, si è già dileguata, lanciandomi un ultimo sorriso più compassionevole che comprensivo. Adesso, per chiarire il perché mi trovassi con una creatura così minuscola a disturbare un caldo (e raro) pomeriggio di sole ad alcuni turisti in relax davanti a coppe stracolme di crema e cioccolato, occorre fare un piccolo passo indietro. Fabiana è la mia amica con cui condivido la mia discutibile passione per la moda, il piacere per la scrittura, oltre a qualche collaborazione per magazine spesso in ritardo nei pagamenti e soprattutto quella dura (e apparentemente infinita) gavetta nel mondo del giornalismo. Dopo anni di inquieto e inevitabile girovagare tra numerose e importanti redazioni del settore, fatto di opportunità meritatissime ma anche di discreti sacrifici, Fabiana, che sa comporre testi con una naturalezza e una piacevolezza invidiabili, decide di dirottare il proprio indubbio talento verso nuovi settori, con lo zampino, o meglio la complicità, dell’amore.

Perché Fabiana incontra Matteo, creatività dirompente tipica dei Pesci, gusto raffinato per le immagini, inclinazione per la tecnologia e soprattutto singolare entusiasmo nel buttarsi in nuovi progetti, lo stesso con cui ho deciso di rinascere anch’io nella mia prossima vita. Complementari e diversissimi, teneri e in qualche modo buffi quando si punzecchiano e si rimproverano a vicenda, i due decidono di fare coppia fissa, nella vita come nel lavoro, unendo le proprie differenti qualità per dar vita così a un’agenzia di comunicazione, la Jam Brainstorming Shop (http://www.jambrainstormingshop.com/). Attività che guarda caso contiene già nel nome la parola jam, marmellata, altra loro passione ma anche gradito dono di cui mi omaggiano ogni volta che per lavoro o piacere si fermano a rallegrare la sperduta località toscana in cui vivo da quasi due anni. Com’è successo anche stavolta: con una piccola differenza però, che i due, da poco, sono diventati anche i genitori di Edoardo, o meglio Edo, splendido, gioviale e pacifico bambino che ha ereditato gli occhioni espressivi della mamma (per tutto il resto assomiglia al papà, ma è bene non stare a ricordaglielo troppo). E che soprattutto, tra i numerosi amici e parenti già transitati in questa casa, è l’ospite più piccolo, e quindi con cui ho più difficoltà, paura e curiosità a relazionarmi. Ecco perché Fabiana, come appunto l’altro giorno in gelateria, mi mette continuamente alla prova, lasciandomelo in custodia per alcuni interminabili minuti, anche quando si tratta di salire le scale, mentre lei è intenta a manovrare con consumata disinvoltura il passeggino/transformer. “Ma se poi mi cade?” le domando sempre semiterrorizzato io, e dallo sguardo diretto e fiducioso con cui ogni volta mi risponde, capisco che per essere bravi genitori, come loro, forse non conviene porsi troppe domande.

Bye bye Beauty

Bellezza che viene, bellezza che va. Dovremo farcene una ragione. Lo so, ormai era diventata una gradita abitudine, il dispiacere perciò sarà tanto, forse perfino insopportabile. Non rimane che sperare in un improvviso cambiamento di decisioni ai vertici Rai, o nel tentativo necessario di un accordo tra le parti, che al momento pare inesistente. E se ancora non vi è chiaro di cosa vada oggi blaterando, è perché probabilmente vi è sfuggita la notizia assai triste, di quelle che ti prende il nodo in gola e il magone allo stomaco per giorni, dell’incomprensibile e sempre più certa cancellazione di Miss Italia dai palinsesti della tv di Stato (http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/04/14/miss-italia-non-andra-in-onda-costa-troppo-e-rende-poco/560571/). Ma come, dopo 25 anni in cui il deprimente arrivo dell’autunno viene, guarda caso, scandito dalla messa in onda dello show che incorona la più bella del bel Paese, colei che avrà la fortuna, per un anno, di dover indossare, ovunque vada, una fascia che non ne vuol sapere di star su su una spalla, e soprattutto di veder finalmente concretizzata l’opportunità di una fulgida carriera nello spettacolo, a pubblicizzare, per secoli, l’acqua che fa fare tanta “plin plin”, e ce lo togliete così, senza preavviso, senza una spiegazione plausibile? Non tanto per noi, che forse, a malincuore, riusciremo però a rimpiazzare con l’ennesimo film di Bud Spencer su rete 4 la visione di adolescenti ambiziose che sfilano in costumi degni di una vecchia zia, con un numero di riconoscimento ben appuntato sul cuore (chissà se arrivano a strapparsi i capelli per evitare il 17?), tutte, a loro dire, ragazze semplici, con dei veri valori, speranzose nella pace nel mondo e in un futuro da supermamma/scienziato/mito del cinema (tra 30 anni mi vedo con 6 figli/laureata in fisica subnucleare/come Sofia Loren). Quanto per Patrizia Mirigliani, figlia del patron del concorso, che ha ereditato dal papà questa bella gatta da pelare spacciata per bene nazionale, che compare in tv solo una volta l’anno con quel faccino puntuto, sempre attenta a tenersi a distanza dalle Miss più alte di lei di almeno mezzo metro, e che immaginiamo già costretta in futuro a riciclarsi in qualche reality, magari rotolandosi nel fango, in una sperduta isola caraibica, con altri volti noti dello schermo tipo Maria Teresa Ruta o la gallina della spot di Banderas. Non sarebbe giusto. Per rispetto soprattutto a quell’attesissimo e gustoso momento di televisione, quando, tra le due ultime finaliste, avvinghiate tra loro come liane agli arbusti, con l’aria di chi è appena reduce da una battaglia sanguinosa, ma con il sorriso, ormai stanco, sempre ben indirizzato alla telecamera, viene finalmente decretata la vincitrice, che non è mai la tua preferita. Quando non fai in tempo a vederle spuntare quelle due mezze lacrime di circostanza dagli occhi, che, ecco, te la ritrovi schiacciata dall’ondata violenta e scomposta delle altre partecipanti al concorso, tutte asserragliate alle sue spalle, da una buona mezz’ora, come ai blocchi di partenza, e ti sembra quasi che sognassero anche loro quel momento, ma per un’altra ragione, cioè il desiderio di poterla brutalmente urtare e investire. Volete davvero lasciarci orfani di questo, ormai abituale, spassoso siparietto? Come faremo senza? Perchè, al confronto, per quanto talvolta altrettanto morbosamente trash, non c’è alcun reality che tenga. E neppure gag di Bud Spencer.

Lasciatemi cantare

BLEBLA – PRATO – YouTube.

C’è chi arriva dalla lontana Corea del Sud, e in poco tempo, grazie a un ritornello orecchiabile, divenuto subito tormentone, e a una coreografia simile a un buffo rodeo, accessibile per fortuna anche a chi è totalmente digiuno di danza, diventa un star planetaria. Un motivetto facile facile, cliccato da circa un miliardo e mezzo di persone su YouTube, cioè un quarto dell’intera popolazione mondiale: questo solo per dare un’idea dell’enormità del successo riscosso da Psy, discutibile nome d’arte (non sarà un’abbreviazione di Psycho?) scelto dal cantante 35enne Park Jae-sang, l’ormai celeberrimo e onnipresente (dalla Casa Bianca alla tappa newyorkese del tour di Madonna) interprete del ballatissimo Gangnam Style. Il quale, forse per non essere accantonato come l’ennesima meteora transitata sulla scena musicale, o forse per regalare nuovi momenti di leggerezza al proprio paese, minacciato dalle aspirazioni guerrafondaie del giovane e paffuto dittatorello nordcoreano Kim Jong-un, ci riprova lanciando proprio oggi il suo nuovo singolo, dall’autocelebrativo titolo di Gentleman (http://www.corriere.it/tecnologia/cyber-cultura/13_aprile_12/psy-gangnam-gentleman-tormentone_27205f92-a358-11e2-a571-cfaeac9fffd0.shtml). In attesa di verificare se Psy riuscirà nella difficile impresa di bissare l’impressionante record di ascolti, e la relativa scalata alle più ambite classifiche internazionali, raggiunti con il precedente brano, per adesso ci basti constatare la sua (o della sua etichetta) accresciuta astuzia in materia di marketing. Se infatti il Gangnam Style si è trasformato in un imponente fenomeno musicale quasi suo malgrado, perchè propagatosi in maniera capillare solo grazie alla rete e ai social network, senza il bisogno quindi di campagne pubblicitarie massicce o invasive, per il lancio del nuovo pezzo l’artista ha scelto invece la strada dell’ambiguità e della provocazione. Pare infatti che la canzone dovesse originariamente intitolarsi Assarabia, parola che in sudcoreano corrisponde press’a poco alla nostra “pelle d’oca”: ma la stessa espressione, in inglese, suona invece come l’equivoco accostamento di “ass” (fondoschiena, sennò poi dite che scrivo troppe parolacce) e Arabia. Ma Psy, già vivi con le armi nucleari puntate sulla testa dal tuo poco pacifico vicino, non ti basta? Che bisogno hai di andare pure a stuzzicare qualche permaloso integralista islamico?

Ma non servono poi grandissimi numeri per diventare un piccolo caso. Perché c’è anche chi, più modestamente, ma con altrettanto, efficace e tagliente umorismo, riesce a farsi notare mettendo in rima la propria vita sullo sfondo di una ricca cittadina di provincia. Proprio come è successo a Blebla, al secolo Marco Lena, rapper toscano dal faccione simpatico e dal ritmo coinvolgente, che, senza raggiungere le cifre da cardiopalma del collega sudcoreano, è riuscito però a piazzare il video della sua hit Prato (video allegato) tra i più visti in Italia su YouTube, sfiorando, in pochi mesi, la rispettabile quota di quasi 500.000 visualizzazioni. Merito di una graffiante ironia che si snoda attraverso i 4 minuti del brano, un originale ed esilarante condensato di tutti i più noti motti, i luoghi comuni e i tratti linguistici propri del centro toscano, un viaggio inusuale tra la storia, i vizi e le virtù dei suoi concittadini, apprezzato ed apprezzabile perché fedele, scanzonato, intelligente. Come il video, che, con uno stile immediato e brioso, resituisce alla perfezione una moderna cartolina della stessa città di Prato, grazie alla “comparsa” di edifici e luoghi simbolo come il Duomo e piazza Mercatale, il Castello e il museo Pecci, ma anche all’acuto spirito di osservazione retrostante la superficialità del pezzo. Viene così ugualmente esaltata e sbeffeggiata la sua fama di più estesa chinatown nazionale (irresistibile il passaggio con il ragazzo dai lineamenti asiatici), il suo glorioso passato di importante centro tessile e industriale, e ancora l’esistenza di vie dedicate ai suoi personaggi illustri. Un piccolo e beffardo capolavoro dunque, che rimbalzato poi di social in social, è diventato, per merito di un fitto passaparola (a proposito, grazie a Silvia per l’ennesima segnalazione) un po’ il nostro, più intimo, Gangnam style. Un tormentone in salsa toscana, insomma. O se preferite, di soia.

Una prof per amica

La prima volta che c’incontrammo, non fu esattamente per caso. Successe a Roma, qualche anno fa, quando 29enne (anche allora, ma per la prima volta) riuscii a dare l’ennesima spallata al mio già tortuoso e poco comprensibile percorso professionale, rifiutando, con un briciolo d’incoscienza, un lavoro che detestavo, per seguire invece un corso di giornalismo di moda. Lei, Adriana Mulassano, sarebbe stata una delle mie insegnanti: o meglio, l’Insegnante, il vero motivo della mia assurda decisione, la ragione principale della scelta di aggiungere anche la mia faccia, 4 giorni alla settimana, per 6 mesi, alla moltitudine di volti assonnati tipici dei pendolari. Di lei sapevo tutto o quasi. Della sua straordinaria carriera, cominciata a New York sotto l’egida di Richard Avedon, proseguita di lì a Parigi e quindi di nuovo in Italia, agli inizi degli anni ’60, nella redazione di Amica prima e al Corriere della Sera poi, dove rimane circa vent’anni, per approdare infine nell’ufficio stampa di Giorgio Armani (così, tanto per non farsi mancare nulla). Della sua fama di penna tagliente, capace di decretare in sole due parole la riuscita o il fiasco di una collezione, dei suoi giudizi schietti e per questo temuti, dell’aura di rispetto e forse venerazione che era riuscita a conquistarsi in un ambiente spesso dipinto come ostile e spietato. Del suo impareggiabile fiuto nell’individuare nella moda cambiamenti e nuovi talenti prima che diventassero fenomeni planetari, com’è accaduto con la nascita del prêt – à – portér italiano, che ha descritto prima e meglio di ogni altro nel suo libro I Mass Moda del 1979. Provate a immaginare quanto potessi essere allora intimorito, affascinato, addirittura turbato dall’idea di sottoporre i miei scritti a lei, io che, a un’età non proprio da debuttante, avevo soltanto collaborato nella sezione “cronaca e spettacoli” di due sconosciuti giornali locali mentre facevo di tutto (e tutt’altro) per sbarcare il lunario.

“Molto lieto” riuscii soltanto a dirle quando mi presentai, da solo, nell’aula vuota, perché arrivato, causa molteplici ansie, con una buona mezz’ora di anticipo sulla prima lezione (e su tutti i miei futuri compagni). “O sei abituato ad essere sempre puntuale, o abiti qua vicino” mi disse Adriana, fissandomi per un po’ coi suoi occhi vividi e cangianti, che sembrano scrutarti l’anima. “Dietro l’angolo. A Firenze” risposi io, con l’ironia che di solito uso per togliermi da qualsiasi impaccio o imprevisto. Funzionò anche quella volta: perché il sorriso sincero che ne seguì fu soltanto il primo di una lunga serie che corona, ancora oggi la nostra, ormai duratura, amicizia. Già, perché nonostante l’enormità di differenze tra noi, soprattutto caratteriali (e se mi azzardo ad aggiungere anagrafiche mi toglie la parola), Adriana si è trasformata nel tempo dall’insegnante scrupolosa che mi ha inculcato l’importanza di scegliere parole esatte, semplici, lievi, abbandonando il piglio serio del saggista, alla preziosa confidente a cui ricorro quando ho bisogno di un parere onesto e sfrontato. Prima di essere infatti una professionista dalla cultura sterminata, capace di spaziare nella stessa conversazione da Proust al blog di Selvaggia Lucarelli, è soprattutto una donna di un’umiltà, di uno spirito e di un temperamento fuori dal comune, che preferisce pranzare in una modesta trattoria col sottoscritto, a dividerci le olive nel piatto, piuttosto che bazzicare pseudo – intellettuali dal linguaggio paludato, che rifugge come la peste. Proprio com’è successo l’ultima volta che ci siamo visti, pochi giorni fa, durante la presentazione del libro Progetti di scuola, edito da Skira, (http://www.skira.net/progetti-di-scuola.html), volume sull’intensa e poliedrica attività del maestro Alberto Lattuada, che Adriana ha omaggiato con uno dei suoi soliti, superbi, interventi. “Un grande personaggio non ha alcun bisogno di dimostrare niente” ha affermato con decisione, davanti a tutti, riferendosi all’amico stilista. Ma, chissà perché, quelle sue stesse parole mi sono subito suonate così adatte anche a lei.

Piccole Ruby crescono

HOLLYWOOD by Zahia featuring Eric Roberts Directed by Alix Malka (HD Official) – YouTube.

La sua storia, più che una moderna versione della favola di Cenerentola, a cui spesso è stata paragonata, ricorda forse la trama di Pretty Woman, se non altro per l’equivalenza del mestiere svolto in principio dalla protagonista, che poi è il più antico del mondo. Ma senza scomodare l’immaginario fiabesco o cinematografico, la vicenda di Zahia Dehar, 21 splendidi anni e un passato da escort, accompagnatrice o qualsiasi altro eufemismo vogliate usare per descrivere la vecchia attività della signorina, divenuta in pochi anni un personaggio da copertina nonché uno dei numerosi cloni di Paris Hilton, soprattutto alle orecchie di noi italiani dovrebbe suonare piuttosto familiare. Di origine nordafricana, giunta bambina a Parigi dall’Algeria al seguito della madre, Zahia nel 2010 viene arrestata nella capitale francese per taccheggio: basterà poco per far saltare fuori la sua vera “professione” e soprattutto il suo giro di clienti, tra cui spiccano nomi illustri, come quelli dei calciatori Karim Benzema e Franck Ribery, entrambi attaccanti della Nazionale francese (l’ho appena letto su Wikipedia, di calcio cosa volete che ne sappia) che adesso rischiano fino a tre anni di carcere per presunte “frequentazioni” (è l’ultimo eufemismo che uso anch’io, prometto) all’epoca in cui la fanciulla era ancora minorenne. Ma se da un lato è perfino sin troppo facile accostare le vicissitudini personali e giudiziare della giovane e biondissima Zahia con quelle che qui in Italia hanno finito per travolgere un anziano ex – premier con il debole, a suo dire, per il burlesque, le analogie con il Rubygate finiscono però qui.

Perché, a differenza della arcinota (da noi) cubista (avevo detto niente più eufemismi?) marocchina, che ha impresso una poco credibile e scontata svolta borghesuccia alla sua esistenza, condita di matrimonio e maternità in tempi record, che si affanna a leggere sulle scale del Palazzo di Giustizia un suo (?) comunicato scritto in un italiano impeccabile, da Zanichelli, in cui ci tiene a ribadire che non è mai stata una prostituta (e voi cattivoni ad averlo pensato), Zahia non ha mai rinnegato niente del suo passato. Anzi, si è sempre assunta le sue responsabilità: confessando, ad esempio, di avere mentito lei stessa, durante quei bollenti incontri, sulla sua età, spingendosi addirittura a scrivere una lettera di suo pugno all’allora allenatore della nazionale francese (non pretenderete che sappia chi sia, vero?) perchè, in prossimità dei Mondiali in Sud Africa, non escludesse dalla convocazione i due giocatori impelagati nello scandalo. Fatto sta che per maggiore furbizia, fortuna, o semplicemente perché meglio consigliata, la Ruby d’Oltralpe si è saputa reinventare una nuova carriera, mettendo opportunamente a frutto il suo momento di notorietà, dando vita, tanto per cominciare, a un proprio brand di lingerie (http://www.zahia.com/). Debutto che le ha permesso di diventare, in breve tempo, la nuova e controversa it – girl della moda, contesa da fotografi del calibro di David LaChapelle o Pierre&Gilles, conquistando così stilisti raffinati come Karl Lagerfeld, anima di Chanel, comparendo addirittura in esclusiva su Vanity Fair in un video sexy, al fianco di un attore di tutto rispetto come Eric Roberts (video allegato), con un look che ricorda la Charlize Theron degli esordi in un celebre spot (http://www.youtube.com/watch?v=OW5QY347dnI). E’ riuscita quindi a  riciclarsi, in maniera quasi elegante, senza pretendere però di far passare per eleganti le cene o gli ambienti che era solita frequentare un tempo. E senza neppure la ridicola necessità di doversi inventare uno zio presidente in Egitto, o altrove.