Diana Vreeland: The Eye Has To Travel – OFFICIAL TRAILER – YouTube.
Riduttivo definirlo documentario, impossibile etichettarlo semplicemente come un film. Però vi basti questo: è la cosa migliore che mi sia capitata di vedere da tempo. Diana Vreeland, The eye has to travel (anche se nella versione italiana, per una magia quasi incomprensibile, quell’azzeccata perifrasi “l’occhio deve viaggiare” che sigla il titolo originario è stata rimpiazzata da un ben più banale “l’imperatrice della moda“) assume piuttosto le forme, stravaganti e scanzonate, di un ritratto, intimo ma non troppo, della più celebre e celebrata giornalista di moda del Novecento. Nata a Parigi nel 1903 da una famiglia dell’alta società americana, nel pieno quindi del fermento culturale della Belle Epoque, la Vreeland ha attraversato quasi per intero, con la sua vita mondana e cosmopolita, divisa tra Francia, Londra e New York, con le sue intuizioni geniali, dettate da uno spirito sagace e anticonformista, un secolo di trasformazioni, stili, tendenze. Le stesse che proprio lei ha raccontato per decenni, nelle pagine patinate delle riviste più importanti del settore, Harper’s Bazaar prima e Vogue poi, radicalmente innovate dal suo contributo e da quell’invidiabile, unico e riconosciuto talento nell’individuare, prima della sua esplosione mediatica, il personaggio giusto, la modella giusta, il fenomeno giusto. La Vreeland è infatti colei a cui va riconosciuto il merito di aver consacrato, prima di ogni altra, la fama di artisti come Mick Jagger, i Beatles, Barbra Streisand, Cher, colei che ha lanciato indossatrici come Twiggy, Jean Shrimpton, Veruschka, Marisa Berenson, colei che ha compreso e sottolineato l’importanza di possedere un’immagine forte quanto la sostanza, cogliendo ogni volta la profondità dietro la superficie e dandole la forma più adeguata. E proprio come l’altra grande fashion icon del Novecento, Coco Chanel, sua amica di vecchia data, che si era reinventata per l’ennesima volta nell’industria della moda a 70 anni, Diana Vreeland si ritaglia una nuova carriera, quando, licenziata da Vogue perché disposta a spendere troppo per i suoi servizi fotografici, approda nel 1971 come curatrice e consulente tecnico per il Metropolitan Museum di New York. E’ un nuovo trionfo: le sue mostre, seppur prive di quel puro rispetto filologico tipico della storia del costume, richiamano folle di visitatori in quanto coraggiose, atipiche, attuali, come quella allestita nel 1983 e dedicata, circostanza mai verificatasi in precedenza, a uno stilista ancora in vita, Yves Saint Laurent. Il tutto raccontato con un ritmo coinvolgente e incalzante, dato dai filmati di repertorio, estratti da alcune sue irresistibili interviste televisive, in cui la Vreeland mischia divertita realtà e finzione, intervallati da anedotti e testimonianze di stilisti, attori, modelle (c’è mezzo jet set internazionale) che nel tempo hanno avuto la fortuna e il privilegio di affiancare una donna così vulcanica, irriverente, leggendaria. Un mito, ancor oggi inimitabile.