Avrei un sacco di ottime scuse. Potrei ad esempio ricorrere, come le vecchie giustificazioni che firmavo a scuola, a volte anche rubandole dai libretti dei miei compagni (le mie finivano sempre così in fretta) ai classici “motivi di salute” o “familiari”, formule che poi comprendevano un po’ tutto, dal vero/ma più spesso finto mal di testa/denti/pancia al “mi è morto il pesce rosso e mamma ha tanto insistito perché gli facessimo un degno funerale!”. Potrei parlarvi di impegni improvvisi, catastrofi inevitabili, rapimenti alieni, e giù con tutto un repertorio di avventure incredibili che mi avrebbero impedito, cosa che ero riuscito a fare finora con una puntualità di cui sono il primo a stupirmi, di aggiornare a dovere questo blog (colgo l’occasione anche per ringraziare quanti oggi, più o meno carinamente, hanno lamentato l’assenza del post del lunedì). Dicevo, potrei, ma non voglio: ho già avuto un inizio di settimana che definire rocambolesco è poco, motivo per cui non mi va di lagnarmi o di perdere altro tempo per scovare poi chissà dove una ragione plausibile per il mio ritardo quotidiano, di cui mi dichiaro profondamente pentito, anzi, potessi allegherei un mio video con tanto di meritata fustigazione, ma non so quanto sarebbe poi gradito al pubblico del web (di sicuro, non a quello che frequenta questo blog). Ciò che forse risulta più grave, nella generale sconclusionatezza di questa giornata, sfuggitami di mano direi dopo solo 15 minuti dalla sveglia, è che stavo per dimenticarmi di una ricorrenza che invece ogni anno mi fermo a celebrare con il giusto e doveroso coinvoglimento: il compleanno della mitica Mina (il 73esimo per la precisione. Auguri). A questo punto diventa obbligatorio, nel post (ritardatario) di oggi, oltre a rinnovare le mie scuse, pubblicare un suo splendido brano, tra i miei preferiti, lo stesso che proprio l’altra sera a cena tentavo di spiegare a una mia conoscente, che replicava “Il titolo non mi dice niente, come fanno le parole poi?”. “Quali parole?”.