Chissà come andrà a finire. E non lo dico perché amareggiato o sorpreso, ma perché mosso da sincera e quasi divertita curiosità. Non provo alcuno stupore infatti di fronte ai recenti risultati elettorali, così come non mi lascia a bocca aperta la parola più abusata di questi giorni, “ingovernabilità”. Siamo un popolo che convinzioni politiche discordanti hanno sempre suddiviso nettamente in due, forse tre, fazioni, tra loro in perenne conflitto. Sai che novità: come se non l’avessimo già appurato a suo tempo alle politiche del 2008, del 2006, e più su si potrebbe risalire negli anni fino al referendum tra monarchia e repubblica del 1946. Di nuovo c’è soltanto che adesso il malcontento nei confronti della vecchia classe dirigente si concretizza nelle urla indignate di un comico che ha fatto proseliti girellando su e giù per l’Italia in camper (c’aveva provato anche Matteo Renzi, ma con meno successo), attraversando a nuoto qualche stretto e riempiendo le piazze più che a un concerto gratuito di Gigi D’Alessio. Non posso tuttavia negare di trovare affascinante la strategia comunicativa del Movimento 5 stelle: come quel netto rifiuto di andare in tv, troppo spesso e troppo semplicisticamente liquidato come dittatoriale, che invece riassume tutta la voglia di voltare le spalle a un sistema di fare propaganda basato sul riempire a qualunque costo qualunque schermo. Compresa l’ultima campagna elettorale: credo che manchino all’appello MasterChef, Ma come ti vesti? e le previsioni del meteo, poi tutte le altre trasmissioni in cui è stato possibile hanno ospitato il volto liftato e occultato da strati di cerone di un ex-premier in cerca di nuovi consensi. Senza parlare poi della mancanza di incisività e di efficacia delle azioni di un centrosinistra abituato a cantare vittoria sempre troppo presto, adagiato sugli allori di una misteriosa speranza di ricevere, stando immobile, quasi cadessero dal cielo come la manna divina, i voti dell’elettorato deluso dalle iniziative dei recenti governi. In questo scenario si muovono gli italiani: che non sono, come tanta stampa vuole credere e far credere, una realtà astratta, omogenea, abituata a spostarsi compatta da una parte all’altra come un gregge di mufloni, ma un insieme di milioni di esseri diversi, dotati ognuno di un cervello autonomo e pensante (anche se su questo punto talvolta ho dei dubbi), soprattutto concentrati su di se’. Perché se c’è una caratteristica che forse ci accomuna – e lo dico da nemico giurato delle generalizzazioni – è proprio l’individualismo. Gli italiani sono, o si sentono tali, cioè un popolo con gli stessi obiettivi, solo alla finale dei mondiali di calcio, quando ci arriviamo. Per il resto ignoriamo, o fingiamo di farlo, la lungimiranza di azioni comuni, il significato di bene collettivo, la necessità di un progetto condiviso; sostanzialmente ce ne freghiamo del prossimo, alle urne, come nella vita, pensiamo ognuno al proprio orticello, come la discreta percentuale di chi è ancora disposto a credere all’assurdità di certe promesse sparate come fuochi d’artificio prima delle elezioni ha dimostrato. Questo il mio personalissimo parere. Criticabile e disprezzabile, pieno di difetti e contraddizioni. Perché, come il vostro, profondamente italiano.