Fake questions at the catwalks during Milano Fashion Week – YouTube.
Ecco, ci risiamo, uno (uno a caso, eh, non è mica detto che qui sopra vada parlando sempre e soltanto di me) impiega più della metà della propria esistenza tentando di acquisire competenze e credibilità in un settore, ad esempio quello della moda, perché lo ritiene più affine alla propria indole e alla propria (seppur limitata) gamma di interessi, sprecando fiato e tempo nella necessaria quanto titanica impresa di convincere per anni amici e parenti che al di là di una vacua e appariscente fuffa di contorno, di sicuro esistente in qualsiasi altro ambiente lavorativo anche se meno variopinta, ci siano invece anche fior di professionisti, esperti ineguagliabili in materia, personaggi di tangibile e smisurato talento. Diciamolo senza ipocrisie: risulta immensamente più facile tacciare di inconsistenza e superficialità l’intero fashion – system, per sua natura già connesso con l’idea di una superficie da arricchire, quella del nostro corpo, mentre di rado si tenta di superare i pregiudizi radicati che riducono ad una piacevole e abbagliante facciata il linguaggio della moda, il quale, per essere compreso a fondo, richiederebbe al contario una passione posta ben oltre le frivolezze da shopping, una discreta ed eclettica cultura, uno studio approfondito. Ma i tempi e le modalità con cui si comunicano le trasformazioni nel gusto, al pari delle stesse tendenze, mutano ormai a ritmi vorticosi, e se da un lato il recente e prepotente avvento di internet ha avuto il merito di favorire l’ascesa ed il successo di nuove tipologie di autorità mediatiche in materia, blogger in primis, neo-guru di un mondo, quello delle passerelle, ritenuto per decenni elitario e intoccabile, dall’altro l’illusione di democraticità del web ha di fatto reso possibile quasi a chiunque il potersi appropriare di un ruolo e di una visibilità altrove impensabili o negati. In altre parole: il rovescio della medaglia della facilità smisurata con cui ciascuno oggigiorno (sottoscritto compreso) può essere in grado di costruire uno spazio virtuale intorno alle proprie opinioni e/o previsioni su trend e abbigliamento, è il rischio del proliferare, soprattutto nei circuiti semiufficiali della moda, di personaggi patetici e caricaturali, dediti soltanto all’estenuante e vana ritualità di una propria immagine di forte impatto da dover costruire meticolosamente. Una vetrina autopromozionale reputata ormai indispensabile, che miri solo a ribadire il proprio esserci per essere riconosciuti, nel migliore dei casi notati e dunque fotografati, dati infine in pasto, dopo previa frammentazione in milioni di immagini-tassello condivisibili nei mosaici online di social network e piattaforme, al più vasto pubblico virtuale. Sviliti e svuotati i contenuti, rimane quindi l’inutile incomprensibilità della forma. A smascherare in parte il nulla più desolante su cui si fonda la ragion d’essere di questo simile e a tratti ridicolo, circo mediatico, è oggi un video pungente e dissacrante, una geniale intuizione realizzata dall’agenzia di comunicazione milanese Fasten Seat Belt: pochi minuti che riescono magnificamente a mettere alla berlina i limiti delle conoscenze in fatto di moda del variegato e originalissimo (almeno nel look) popolo accorso alle recenti sfilate milanesi. Il risultato? Tanta stravaganza, poca sostanza, insufficiente in ogni caso ad accorgersi che i diversi personaggi citati a sproposito nelle domande (storici, politici, etc.) non abbiano nulla a che vedere con la moda, a dispetto dell’innegabile prontezza di risposte degli intervistati. I quali, difatti, paiono solo preoccupati della propria (immeritata?) fama di grandi esperti e di non farsi magari beccare in contropiede, ignorando, ahimé, un principio basilare della comunicazione, a prescindere dal luogo o dal mezzo in cui avviene: ad un quesito di cui si ignora la risposta, per correttezza, educazione ed onestà intellettuale, occorre sempre e solo replicare con un sincero “Non lo so”.