A message for Guy

C’è una scena piuttosto esilarante nel film Valentino: The Last Emperor (2008) di Matt Tyrnauer, documentario che tra spasso e commozione racconta gli ultimi anni di attività del couturier italiano prima del suo definitivo addio al mondo delle passerelle. Esattamente quando, alla vigilia della sua sfilata di alta moda a Parigi, Valentino perde le staffe, con il socio storico Giancarlo Giammetti prima e con un hair stylist dopo, per la scelta dell’acconciatura delle modelle ispirata agli scatti di Guy Bourdin. “Volevo una donna di classe, raffinata, con lo chignon” esclama infuriato “e mi ritrovo Guy Bourdin: una pazza!”. Aneddoto che la dice lunga su quanto l’immaginario del fotografo di moda francese, scomparso nel 1991 all’età di 62 anni, a distanza di tempo sia ancora considerato di una potenza espressiva  e di un’audacia fuori dal comune: in altre parole, semplicemente scandaloso. Non potrebbe essere altrimenti per Bourdin, nato nel 1928 a Parigi e cresciuto in pieno clima postbellico, sotto l’egida professionale di Man Ray e a diretto contatto col gusto dissacrante del surrealismo di René Magritte e Balthus; collaboratore per Vogue France già dal 1955, nella sua carriera ha realizzato innumerevoli servizi e campagne fotografiche per le più note riviste patinate e case di moda (Versace, Ferrè, Ungaro, Lancetti), tutte accomunate dalla medesima vocazione per l’ambiguità estetica, l’humour spiazzante, il rigore scenico e soprattutto per un erotismo di tono provocatoriamente giocoso. Adesso è una mostra, A message for you, inaugurata lo scorso 10 Gennaio durante l’ultima edizione di Pitti Uomo e visibile negli spazi del MNAF (Museo Nazionale Alinari della Fotografia) di Firenze fino al 10 Marzo, (http://www.mnaf.it/mostre.php) a indagare l’attività matura del maestro, attraverso una selezione di 75 intriganti immagini, risalenti agli anni ’70, spesso frutto della collaborazione con Nicolle Meyer, allora sua musa e modella, oggi collaboratrice di questo progetto, insieme a Shelly Verthime, curatrice dell’esposizione stessa. Un’occasione che si rivela un singolare viaggio nell’universo visionario di Bourdin, tra il fascino di soluzioni contraddittorie e  anticonvenzionali, tutte di innegabile e sorprendente modernità: come dimostra la costante sensazione di déjà vù che ti coglie, quando, di fronte ai suoi lavori, comprendi l’influenza che ancora oggi il suo occhio possiede sull’opera di fotografi e registi contemporanei come Miles Aldirdge (http://www.milesaldridge.com/) o Jean Baptiste Mondino (Madonna – Hollywood (Official Music Video) – YouTube). Un innovatore, da riscoprire.

Il bello dell’assurdo

MAN AW13 at London Collections: Men – YouTube.

Proviamo a spiegarlo con un paragone: se mi trovassi semplicemente a riassumere in poche righe la trama di un film pluripremiato e toccante, come Tutto su mia madre di Pedro Almodovar,  le mie parole sarebbero più o meno le seguenti. Dopo la morte accidentale del figlio, una madre va alla ricerca del padre del ragazzo, di cui gli aveva nascosto l’esistenza. Padre che è in realtà un trans, sieropositivo, che nel frattempo ha messo incinta una suora, contagiandola. Messa in questi termini avrei scoraggiato chiunque dal guardare quello che è in realtà (e non solo a mio parere) rimane uno dei capolavori della cinematografia contemporanea. Questo perchè la poesia con cui procede il racconto per immagini della pellicola giunge diretta a toccare delle corde emozionali che vanno ben al di là del rispetto della verosimiglianza della storia, la quale, come appena detto, condensata in poche parole, potrebbe apparire assurda e insensata. Nella moda accade spesso qualcosa di simile, in cui però il concetto di “verosimiglianza” è sostituito da quello di “portabilità”, concepito come capacità di un abito di essere indossato senza destare nei passanti il sospetto di essere appena fuggiti da un manicomio. E’ vero che quando si parla di abbigliamento il suo fine ultimo e più naturale dovrebbe essere proprio la vestibilità di un corpo. Non va dimenticato che la moda però è soprattutto un affascinante linguaggio non verbale, che si nutre di ricerca, di sperimentazione, di indagine alla scoperta di nuove forme, nuovi concetti o materiali, che sfidano spesso i limiti della “portabilità” per esplorare invece un terreno solo in apparenza altrettanto assurdo e insensato. Un ragionamento che mi è tornato in mente proprio oggi quando per caso mi sono imbattutto nella sfilata del giovane designer britannico Craig Green (video allegato da 0:45 a 1:35): diplomato soltanto lo scorso Febbraio alla prestigiosa Central Saint Martins di Londra, un paio di collaborazioni all’attivo con brand di tutto rispetto come Adidas e Bally, lo stilista ha mandato in passerella pochi giorni fa, per la settimana della moda maschile londinese, delle sorprendenti maschere di legno. Non proprio un romantico tributo all’Africa Nera, ma un accessorio a metà tra l’inquietante e l’ironico, simile nella forma a un’improvvisata scialuppa di salvataggio ottenuta con quattro assi  inchiodate. Importabile e bellissima. Perchè del tutto nuova, imprevista, cromaticamente rispettosa dell’opacità di fondo della collezione, di cui ne rispecchia altresì la ritmica di volumi destrutturati. Ancor più interessante perché, nel suo celare del tutto un volto, diviene negazione di un’identità: concetto che si ritrova anche nella altre collezioni di Craig (http://craig-green.com/) in cui il corpo è spesso imbrigliato come un ostaggio in creazioni dall’aspetto grottesco di giocattoli informi, impensabili nella quotidianità ma dall’indubbio merito di sondare nuove possibilità espressive. Perfettamente magnifiche nella loro assurdità.

A volte ritornano (2)

L’occasione è importante, quindi sarebbe doveroso parlarne. Anche se, girovagando in rete o leggendo sui giornali i titoli e i pezzi usciti in anteprima al riguardo, sembra di riavere tra le mani una di quelle poesie imparate a memoria a scuola: “Finalmente al via…da domani ritorna…questi i grandi numeri” e bla bla bla. E poi, se devo essere sincero fino in fondo, la moda uomo non è mai riuscita a entusiasmarmi più di tanto: difficile da innovare, molto più facile scivolare nel ridicolo. Però rimane una delle manifestazioni principali del settore al mondo, richiamo e attrattiva per tutto il popolo di stampa, buyer ed aziende che proprio dall’8 all’11 Gennaio si riverserà nei padiglioni della Fortezza da Basso di Firenze o nei vari punti della città che ospiteranno le numerose iniziative dell’83esima edizioni di Pitti Immagine Uomo. “Tanti gli eventi, le novità” (così sembra) “un calendario fitto di appuntamenti” (sto ancora prendendo in giro gli articoli letti ovunque oggi…peccato non aver conservato quelli dell’anno scorso, secondo me non cambia neanche la punteggiatura). Facciamo così: volete davvero sapere quello che succederà? Questo è il link del calendario tratto “pari pari”  dal sito ufficiale della manifestazione: http://www.pittimmagine.com/corporate/fairs/uomo.html. Inutile ripeterlo punto per punto, assumerebbe lo stesso fascino della mia rubrica telefonica. Inutile dirvi che non cambierà nulla neanche riguardo all’accoglienza che Firenze riserva due volte all’anno all’iniziativa: lamentele per il traffico immobile nelle strade interessate, le uniche due vie cittadine deputate allo shopping tirate a lucido, la solita processione di fashion  addicted (talvolta monster) che si snoderà dalla stazione Santa Maria Novella alla Fortezza stessa. Io comunque ci farò un salto. Forse. E se davvero dovesse sbucare qualche novità di enorme rilievo nei prossimi 4 giorni di Pitti, state pur certi che ne parleremo.

Iris fa il bis!

L’anno sta per concludersi e, a livello mediatico, è tutto un proliferare di (inutili?) classifiche, best moments, liste di avvenimenti (spesso catastrofici) e di volti che hanno scandito questi ultimi 365 giorni. Non fa eccezione il dorato mondo della moda, interessato nel 2012 dal singolare fenomeno della riscossa delle over 65, inattesa e più efficace risposta a chi sostiene che nell’ambiente a 25 anni vieni inesorabilmente considerata vecchia e ”scarto senza possibilità di recupero” appena passati gli anta. Un caso su tutti, quello dell’eccentrica interior designer statunitense Iris Apfel, classe 1921 (91 anni, se non riuscite a fare il conto in fretta) e occhiali da far impallidire la nostra Lina Wertmuller, onnipresente nelle top list di fine anno in tutto il mondo. Il motivo? Oltre ad essere segnalata come una delle donne meglio vestite del 2012 (anche secondo Fashion Tv, cfr video allegato) grazie al suo stile stravagante ed eccessivo, fatto di maxi – accessori di sapore etnico, colori squillanti e una buona dose di coraggio, la signora è riuscita a comparire, alla sua veneranda età, nella campagna pubblicitaria di uno dei colossi mondiali del make – up, la Mac, che le ha dedicato un’intera linea di prodotti, avvenimento tra i più memorabili degli ultimi 12 mesi di moda secondo la prestigiosa testata britannica The Guardian (http://www.guardian.co.uk/fashion/fashion-blog/2012/dec/18/2012-fashion-year-review). Una bella rivincita che dimostra quanto non siano poi così indispensabili quei temibili (e rari) privilegi chiamati bellezza e giovinezza, anche in un settore solitamente accusato di amplificarne e sopravvalutarne il mito, ma che talvolta si avvale dello spiazzante ricorso a donne vere e carismatiche, proprio come Iris. Chapeau!

Diavolo d’un ambasciatore

Premessa: visto che ci siamo svegliati ancora una volta in questo mondo, stiamo tutti bene, (oddio, tranne per qualche acciacco dovuto all’età o alla stagione, ma via, non ci lamentiamo), in fin dei conti poi non c’avevamo creduto più di tanto (anche se Roberto Giacobbo in qualche puntata di Voyager era sembrato così convincente), direi che posso tranquillamente evitare un post sulla mancata e tanto strombazzata fine del mondo, sui Maya, le cavallette o altri eventi apocalittici (come per esempio il Natale, ma non è detto che non scriva qualcosa al riguardo).

Barack Obama, il 44esimo presidente degli Stati Uniti da poco riconfermato in carica, quello che il più grande comico italiano degli ultimi 20 anni (chi altri?) aveva definito “carino e abbronzato”, pare stia pensando proprio a lei. Lei è la temibile Anna Wintour, potente e spigoloso direttore di Vogue America, modi dispotici e capelli irrigiditi in un eterno caschetto geometrico – da far invidia alla Carrà - su un volto più bruttino che banale. Secondo rumors da settimane sempre più insistenti la signora Wintour, che tanto si è prodigata nell’organizzare raccolte fondi ed eventi in perfetto american – style per la rielezione dello stesso Obama, sarebbe in lizza per il prestigioso ruolo di ambasciatrice Usa in Francia o forse nel Regno Unito (destinazione più probabile, data la sua originaria nazionalità inglese). Lei smentisce con freddezza, la stampa la incalza, le indiscrezioni serpeggiano (solo qualche giorno fa le più recenti http://www.theatlanticwire.com/politics/2012/12/ambassador-anna-wintour-rumor-refuses-go-away/60159/) e la pubblicità, soprattutto a vantaggio di sua altezza della moda, aumenta. Che sia solo una studiatissima e ben riuscita operazione di marketing? Può darsi. Fatto sta che il mio augurio è che ambasciatrice lo diventi sul serio, liberandoci così dalla sua ingombrante presenza nel fashion system. Anna Wintour è difatti colei per cui si riscrivono interi calendari di settimane di sfilate (soprattutto in Italia), fissati da tempo immemore, solo per assicurarsi la sua occhialuta e arcigna presenza in prima fila ad ogni show. Colei che ha notoriamente ispirato la perfida figura di Miranda de Il diavolo veste Prada, ma che se provate ad osservare al lavoro nel documentario The September Issue del 2009 (vivamente consigliato) noterete affaccendata ad offuscare altre e ben più talentuose presenze al suo fianco. Colei che decine di emule – in confronto alle quali anche la protoclonata pecora Dolly spiccava per originalità – convinte che basti un atteggiamento platealmente spietato e un culo secco per essere considerata un’autorità in materia, scimmiottano in ogni redazione del settore, anche la più sfigata.  Colei che se finalmente decidesse di farsi da parte, forse, anzi di sicuro, non cambierebbe proprio nulla, ma almeno potremmo cominciare a sperare, nel giornalismo di moda, nel gradito ritorno di un po’ di autenticità.