Una prof per amica

La prima volta che c’incontrammo, non fu esattamente per caso. Successe a Roma, qualche anno fa, quando 29enne (anche allora, ma per la prima volta) riuscii a dare l’ennesima spallata al mio già tortuoso e poco comprensibile percorso professionale, rifiutando, con un briciolo d’incoscienza, un lavoro che detestavo, per seguire invece un corso di giornalismo di moda. Lei, Adriana Mulassano, sarebbe stata una delle mie insegnanti: o meglio, l’Insegnante, il vero motivo della mia assurda decisione, la ragione principale della scelta di aggiungere anche la mia faccia, 4 giorni alla settimana, per 6 mesi, alla moltitudine di volti assonnati tipici dei pendolari. Di lei sapevo tutto o quasi. Della sua straordinaria carriera, cominciata a New York sotto l’egida di Richard Avedon, proseguita di lì a Parigi e quindi di nuovo in Italia, agli inizi degli anni ’60, nella redazione di Amica prima e al Corriere della Sera poi, dove rimane circa vent’anni, per approdare infine nell’ufficio stampa di Giorgio Armani (così, tanto per non farsi mancare nulla). Della sua fama di penna tagliente, capace di decretare in sole due parole la riuscita o il fiasco di una collezione, dei suoi giudizi schietti e per questo temuti, dell’aura di rispetto e forse venerazione che era riuscita a conquistarsi in un ambiente spesso dipinto come ostile e spietato. Del suo impareggiabile fiuto nell’individuare nella moda cambiamenti e nuovi talenti prima che diventassero fenomeni planetari, com’è accaduto con la nascita del prêt – à – portér italiano, che ha descritto prima e meglio di ogni altro nel suo libro I Mass Moda del 1979. Provate a immaginare quanto potessi essere allora intimorito, affascinato, addirittura turbato dall’idea di sottoporre i miei scritti a lei, io che, a un’età non proprio da debuttante, avevo soltanto collaborato nella sezione “cronaca e spettacoli” di due sconosciuti giornali locali mentre facevo di tutto (e tutt’altro) per sbarcare il lunario.

“Molto lieto” riuscii soltanto a dirle quando mi presentai, da solo, nell’aula vuota, perché arrivato, causa molteplici ansie, con una buona mezz’ora di anticipo sulla prima lezione (e su tutti i miei futuri compagni). “O sei abituato ad essere sempre puntuale, o abiti qua vicino” mi disse Adriana, fissandomi per un po’ coi suoi occhi vividi e cangianti, che sembrano scrutarti l’anima. “Dietro l’angolo. A Firenze” risposi io, con l’ironia che di solito uso per togliermi da qualsiasi impaccio o imprevisto. Funzionò anche quella volta: perché il sorriso sincero che ne seguì fu soltanto il primo di una lunga serie che corona, ancora oggi la nostra, ormai duratura, amicizia. Già, perché nonostante l’enormità di differenze tra noi, soprattutto caratteriali (e se mi azzardo ad aggiungere anagrafiche mi toglie la parola), Adriana si è trasformata nel tempo dall’insegnante scrupolosa che mi ha inculcato l’importanza di scegliere parole esatte, semplici, lievi, abbandonando il piglio serio del saggista, alla preziosa confidente a cui ricorro quando ho bisogno di un parere onesto e sfrontato. Prima di essere infatti una professionista dalla cultura sterminata, capace di spaziare nella stessa conversazione da Proust al blog di Selvaggia Lucarelli, è soprattutto una donna di un’umiltà, di uno spirito e di un temperamento fuori dal comune, che preferisce pranzare in una modesta trattoria col sottoscritto, a dividerci le olive nel piatto, piuttosto che bazzicare pseudo – intellettuali dal linguaggio paludato, che rifugge come la peste. Proprio com’è successo l’ultima volta che ci siamo visti, pochi giorni fa, durante la presentazione del libro Progetti di scuola, edito da Skira, (http://www.skira.net/progetti-di-scuola.html), volume sull’intensa e poliedrica attività del maestro Alberto Lattuada, che Adriana ha omaggiato con uno dei suoi soliti, superbi, interventi. “Un grande personaggio non ha alcun bisogno di dimostrare niente” ha affermato con decisione, davanti a tutti, riferendosi all’amico stilista. Ma, chissà perché, quelle sue stesse parole mi sono subito suonate così adatte anche a lei.

Bugie spray

American Eagle Outfitters: AEO Skinny Skinny – YouTube.

No, purtroppo non si tratta di un pesce d’Aprile. A poterci tirare semmai un brutto scherzo potrebbe essere però il cielo: l’ipotesi di una minacciosa perturbazione che rovinerà la giornata a quanti speravano di trascorrere una rilassante Pasquetta al mare o in campagna pare infatti prendere sempre più corpo di ora in ora (ricordo che il sottoscritto non scrive in tempo reale, magari invece è già sbucato un sole abbagliante, e saremo tutti spiaggiati come cetacei, con buona pace delle previsioni del meteo). Altrettanto vera, purtroppo, la notizia che non si sia ancora formato un nuovo governo, mentre quello a tutt’oggi in carica verrà presto supportato da due commissioni di “saggi” (la cui saggezza poi, è stata misurata in base a cosa? età? esperienza? professionalità? poltrone già scaldate?), definite curiosamente task – force, soluzione che suona un po’ come un urlo disperato di un Paese in attesa, forse, come prossima mossa, dell’intervento di Superman o di un qualsiasi altro supereroe. Triste infine ricordarlo, ma in pochi giorni ci siamo giocati due personaggi come Enzo Jannacci e Franco Califano: perdiamo così due straordinari artisti, musicalmente agli antipodi eppure ugualmente amati dal grande pubblico, e non è che poi ci sia di grande consolazione sapere invece che ci rimangono  cantanti tipo quel Valerio Scanu, dispostissimo a regalarci più di un dettaglio sulla sua storia assai avvincente di un doppio intervento di liposuzione (e ne approfitto per ringraziare Silvia, il mio avvocato, per quest’ultima segnalazione). Insomma, nella variegata lista di avvenimenti più o meno lieti di queste ultime ore, molti quelli che oggi avremmo voluto leggere perché scaturiti dalla fantasia di qualche burlone in vena di festeggiare il 1 Aprile, giorno tradizionalmente dedicato alla bufala e alla ricerca di chi è disposto a crederci. A tal proposito, tra le news tarocche di recente diffuse in rete e risultate poi cliccatissime, da menzionare perciò in questa giornata, va necessariamente segnalata la presunta invenzione da parte del brand a stelle e strisce American Eagle del “jeans spray” (http://www.ae.com/web/browse/skinnyskinny.jsp?catId=cat6280060). Si tratta, in altre parole, di un video promozionale, dal contenuto ovviamente fittizio e giocoso ma spacciato per verissimo, uscito sul sito ufficiale del marchio stesso (video allegato), che pubblicizza la messa in commercio di uno spray, in due varianti di colore, da applicare direttamente sulla pelle, per ottenere un paio di jeans skinny skinny (aderentissimi). Poco più di trenta secondi, diventati in breve tempo uno spot cult, apprezzato e condiviso da centinaia di migliaia di utenti sulle proprie pagine web di social network e blog, che hanno fruttato all’azienda uno smisurato ritorno in termini di immagine e popolarità. Motivo che speriamo non spinga il brand a brevettare e lanciare sul serio la miracolosa vernice, sicuri che l’effetto nudo “seconda pelle”, come sottolinea appunto lo slogan del video, non doni poi granché a tutti. Di sicuro non a chi, seppur reduce proprio ieri dall’abbuffamento pasquale, tenterà di contrastare questa giornata uggiosa con un ulteriore overdose di cibo.

Il guardaroba del rampollo

Prima, importantissima, premessa: io lo capisco. Capisco il senso di inquietudine, l’irrequietezza, la smania che ti coglie a un certo punto della vita di combinare qualcosa di buono e di memorabile, da solo con le tue forze, impossibile da soddisfare se sei l’erede di cotanta dinastia. Pensateci bene: nasci Lapo Elkann, avrai molti privilegi, questo è fuori discussione. Ma qualunque cosa tu voglia inventare, qualsiasi idea brillante tu possa avere, qualunque sforzo disumano tu possa tollerare per dimostrare di valere un minimo come professionista e perché no, come persona, al di là del cognome che porti, niente da fare. Rimarrai sempre Lapo Elkann, il nipote di Gianni Agnelli, parentela ben sottolineata ogni volta che la tua faccia compare sui giornali. Non basta essere un imprenditore di successo, fondare holding a tuo nome, avere intuizioni poi dimostratesi vincenti come il rilancio del vecchio logo Fiat stampato sulle felpe che abbiamo visto ovunque, fino alla nausea, indossate da pizzaioli e benzinai di mezzo mondo. Non è sufficiente neppure farla da padrone sulle pagine di cronaca rosa, calcare i red carpet più in vista, farsi accompagnare da una girandola di vere e presunte fidanzate, attrici e stelline, amiche e cugine, metterci tutto l’impegno per dare scandalo, per consolidare la tua fama di playboybad boy, per creare e nutrire un personaggio all’altezza dei riflettori spesso puntati su di te. Macché: la famiglia d’origine, i genitori ma soprattutto il nonno, quel nonno così ingombrante e universalmente noto, sinonimo di mezza storia economica, politica e sportiva d’Italia, stai pur sicuro che verrà puntualmente nominato e ricordato accanto a te. Altra premessa: riconosco un suo stile. La moda è un terreno che gli è forse congeniale, come dimostrano le sue uscite pubbliche e private, a cui ci ha abituato da anni, sempre condite da un guizzo estroso, un dettaglio sgargiante, un colore imprevisto. Non reputo così malvagia perciò l’idea del lancio e della creazione di un suo proprio brand, Italia Independent, che perfettamente in linea con il suo gusto personale, punta in particolar modo su accessori fantasiosi e di misurata stravaganza. Del resto l’immagine che più si confà a Lapo è appunto quella di un neo – dandy, un giovanotto dal look curatissimo e spesso sopra le righe, fatto di piccoli azzardi e di nuances coraggiose. Interessante, forse. Elegante, concedetemelo, proprio no. Eppure deve aver pensato esattamente il contrario Frida Giannini, direttore creativo del marchio Gucci, dato che è ricorsa proprio al rampollo di casa Agnelli per una nuova collaborazione, dopo già il felice connubio che li aveva visti due anni fa impegnati fianco a fianco nell’ideazione della Fiat 500 by Gucci. Stavolta però non si tratta del restyling di un’auto ma della creazione di una vera e propria linea di abbigliamento, o meglio una capsule collection, dal nome esplicito, Lapo’s wardrobe, il guardaroba di Lapo, (http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/cultura/2013/03/14/Moda-Gucci-collezione-Lapo-wardrobe-_8400760.html) che verrà presentata il prossimo Giugno in occasione della settimana milanese di moda maschile. Un progetto che nelle intenzioni punta a ridefinire la visione di un gentleman moderno, raffinato, ma sempre con un occhio indirizzato alla tradizione e all’eccellenza dell’artigianalità italiana. Vuoi vedere che sarebbe tanto piaciuto anche al nonno?

Isn’t it ironic?

FASHION FILM (SFW) – YouTube.

Dentro c’è un po’ tutto: la mania dilagata in questi ultimi anni tra i marchi di abbigliamento, ossia i fashion brand, da Prada fino a H&M per capirsi, di pubblicizzare le proprie linee attraverso la realizzazione di cortometraggi, anzi, short movie, perché quando si parla di moda l’inglese fa più figo, anche se si conoscono (o si ripetono) le solite tre parole. C’è la rivalutazione estetica di un’atmosfera vintage e rarefatta, la luce biancastra, le inquadrature finto – amatoriali e finto – casuali, i giochi di sfocature che danno un tocco romantico, tutti elementi riscontrabili con facilità nella maggior parte dei servizi di moda attualmente presenti su magazine e blog. C’è il sottofondo di una musica lieve, dalle sonorità retro, quasi una ninna nanna, che troveresti adatta alla voce di una cantante come Lana del Rey, e c’è il collaudato repertorio di frasi sussurrate, generiche e omologate, tipiche degli spot per profumi, di quelli con l’attore sex – symbol o il modello superscolpito, che passano ogni due minuti in tv nel periodo natalizio, e poi scompaiono per riaffiorare solo al cinema, in versione integrale, prima dell’inizio del film. C’è, soprattutto, tanta ironia, con cui si critica in modo beffardo e pungente il fashion system in toto, la sua natura elitaria e autoreferenziale, le sue icone e i suoi idoli, sempre e volutamente sconosciuti ai più; con cui si mette alla berlina il supposto talento versatile dei blogger, che in nome della creatività e del buon gusto si spacciano per scrittori, fotografi, opinionisti, presenzialisti, stylist e cool – hunter, portandoti a domandare quanto spazio ci sia mai nel loro curriculum o sulla loro carta d’identità alla voce “professione”. C’è voluto del coraggio insomma e un pizzico di genialità, per arrivare a confezionare un cortometraggio come questo (video allegato), con protagonista la brillante attrice Lizzie Caplan e targato Viva Vena, brand di abbigliamento americano, non certo tra i più noti, nato da una costola di Vena Cava, “contenitore” online di stili e tendenze. Perché con un’originale e riuscita operazione di scardinamento arriva ad appropriarsi dello stesso mezzo che schernisce, cioè un corto, per presentare gli stessi prodotti, cioè degli abiti. A dimostrazione che il non prendersi mai troppo sul serio funziona sempre, nella vita come nella moda.

Eva contro Eva

Avevo cominciato a sospettarlo già nel lontano 1994, quando, in vacanza con tre amiche a Londra, con il pretesto di imparare un po’ di inglese, ci ritrovammo nella City interamente tappezzata dalle gigantografie di un’ammiccante Eva Herzigova, ritratta a mezzo busto e vestita solo di biancheria intima nera, che implorava di guardarla negli occhi (allego una foto per chi non lo ricorda o all’epoca era troppo giovane, o forse non ancora nato). Era appena sbarcato in Europa il miracoloso Wonderbra, il reggiseno che prometteva curve da pin-up anche a chi usciva dal trauma di un’adolescenza mortificata da soprannomi crudeli come tavola da surf o da stiro, in un decennio in cui l’ideale estetico femminile si avvicinava molto di più a Jessica Rabbit che non alle Winx. Ricordo che nonostante la generale curiosità e la mia insistenza (odio fare shopping per me, ma se devo accompagnare un’amica butto via interi pomeriggi) non riuscii a convincere nessuna delle mie compagne di viaggio a provare, anche solo per scherzo, quel capo che prometteva risultati portentosi. “Guarda, neanche se mi trasformasse in lei” “Sembrerei una del Drive – In (n.d.r. trasmissione tv degli anni ’80)” “A me lì dentro non ne entrerebbe neanche mezza” furono più o meno le loro risposte, che ci fecero ripiegare su un altro programma, cioè un’incursione al Pizza Hut, pubblicizzata proprio da un altro manifesto lì accanto, con altre due top model, Linda Evangelista e Cindy Crawford, che invitavano a provare le nuove Margherita con la crosta al sapore di formaggio. Ora, a distanza di quasi venti anni, non avendo trovato alcuno studio scientifico in grado di spiegarmi perché il 90% delle mie conoscenze femminili non mangia la crosta delle pizze e le abbandona nel piatto, alla mercé del più goloso della tavola (vi sconsiglio comunque quelle al formaggio, non so se esistono ancora ma erano disgustose), mi sono però proprio oggi imbattutto in quest’altra ricerca che fa decisamente al caso mio. Si tratta di una scoperta firmata dell’Università britannica di Warwick (http://www.wbs.ac.uk/news/do-thin-models-and-celebrities-really-help-sell-to-women/), e riportata anche da numerosi siti nazionali come quello dell’AGI (http://www.agi.it/research-e-sviluppo/notizie/201303011218-eco-rt10105-studio_immagini_modelle_possono_compromettere_shopping) che evidenzia come le donne disprezzino in realtà le campagne zeppe di immagini di corpi femminili perfetti, e quindi i prodotti ad esse associati, preferendo invece accostamenti più velati e sottili. In altre parole, croste al formaggio sì, reggiseni no. Beh, forse può dipendere dalla comprovata complessità retrostante gran parte dei ragionamenti delle donne: gli uomini, macchine in genere più semplici, quando si sbilanciano in un “si, va bene” intendono proprio “sì, va bene”. La stessa frase, pronunciata da una bocca femminile, equivale a “Ti avrò anche detto che va bene, ma sai perfettamente che non è così, dovresti conoscermi e sapere cosa mi va bene e cosa no, anche se non te lo dirò mai!”. In parte però temo ci sia anche lo zampino della famigerata e perenne competizione, in ogni campo, tra le esponenti del gentil sesso; lavoro da anni in ambienti a maggioranza femminile, e della tanto sbandierata solidarietà fra donne ne avessi mai vista, anche lontanamente, la più pallida ombra. Più facile assistere a piccole cattiverie, ripicche, sgambetti, tutti mascherati da enormi sorrisi di circostanza, tra colleghe che fingono pubblicamente affetto e a fette poi ci si farebbero volentieri l’una con l’altra. La prima domanda è: perché? La seconda: Eva Herzigova adesso pubblicizza creme antirughe. Qualcuna le ha forse provate?