Cuore, amore…rumore?

Ho deciso di prendermi, diciamo così, una licenza. Tanto il blog è il mio, e lo gestisco io, come meglio credo. Sperando che una decisione così categorica non vi dispiaccia. Anche perché sono stato combattuto fino all’ultimo se davvero valesse la pena, per questa volta, di evitarvi di inserire nella sezione “da ascoltare”, una delle solite canzonette pop che tanto mi ispirano commenti idioti e che soprattutto rivelano quanto di musica in realtà ne capisca meno di zero. Però, per onestà, devo ammettere che per un soffio questo post non ha degnamente ospitato l’ultimo singolo di una cantante eccelsa e raffinata come Paris Hilton, personaggio di cui avrei potuto scrivere fiumi e fiumi di complimenti e spendere migliaia di parole in lode. Ma la mia vena satirica ne avrebbe di gran lunga risentito, motivo per cui lascio alla vostra autonomia (e al vostro fegato, se ne avete) la gioia di scoprire di quale capolavoro della discografia vi abbia privato qua sopra (comunque, per gustarvelo, basta un clic al link qui accanto: http://www.youtube.com/watch?v=K1JMjwJG2UM). Al contrario, la licenza di cui vi parlavo nell’incipit consiste invece nel pubblicare e commentare, sempre a modo mio, ci mancherebbe, una notizia, che con l’ascolto è del tutto pertinente ma che non richiederà alle orecchie lo sforzo di sperimentare alcun nuovo suono (sempre che le vostre siano uscite integre dall’insensato tentativo di riprodurre sul serio il brano di Paris Hilton). Si tratta di uno di quegli studi, fondati su solida base scientifica, che al solito mi incuriosiscono e mi divertono perché tra l’altro facilmente testabili nella vita di ciascuno, a cominciare proprio dalla mia, anzi, talvolta così incredibilmente ovvi che il solo averne fatto oggetto di ricerca è il lato più spassoso di tutta la vicenda. Ad essere affrontato è quindi il serissimo esperimento che proverebbe come, nelle coppie collaudate, col tempo si tenda a ridurre inconsciamente la voce del partner a un rumore di fondo, un brusio indistinto, una sequenza di suoni trascurabili a cui non si presta la dovuta attenzione, perché la prolungata familiarità con la fonte ci porterebbe a isolarne forma e contenuti, e quindi a ignorarla. Insomma, finalmente la prova, o forse l’alibi, che non ascoltiamo quanto dovremmo – e di conseguenza, non siamo ascoltati – la nostra irritabile dolce metà (leggere per credere: http://science.time.com/2013/08/30/how-you-tune-out-your-spouse-and-why/?iid=sci-main-lead).

A questo punto credo che mi convenga scrivere di mio pugno una sentita lettera di ringraziamento agli studiosi canadesi della Queen’s University di Kingston, autori della singolare ricerca, che mi scagiona così d’un tratto dall’accusa che più spesso mi sono sentito rivolgere nella mia esistenza, e non solo dal mio pazientissimo amore: “ma mi stai ascoltando?”. No. Cioè, sì, fino a un certo punto. Ok, lo ammetto, poi mi sono distratto. In realtà mi distraggo dopo pochi secondi: con tutti, per un niente, ecco che mi deconcentro, perdo il filo, vago con la testa. Comincio a fissare il volto del mio interlocutore, chiunque esso sia, anche quando siamo a quattr’occhi, perché la mia attenzione si sposta altrove, su un particolare che mi colpisce, anche il più banale, i lineamenti irregolari del viso ad esempio, le orecchie non allineate, la forma del mento, che so, ed ecco che ho già perso quelle due, tre parole fondamentali per il proseguimento della conversazione. Ricordo che una volta, ad un colloquio di lavoro (ovviamente poi andato male) misi in imbarazzo il tizio che mi stava valutando perché possedeva due incisivi così sporgenti da formare un solco profondo sul labbro inferiore, dettaglio inquietante da cui non sono riuscito a distogliere lo sguardo per tutto il tempo dell’appuntamento. Certo, mi si potrebbe obiettare, perlomeno il volto del mio amore non dovrebbe essere più causa di distrazione, se non altro perché lo conosco in ogni sua piega, dati i quasi venti anni di relazione da cui ci sopportiamo reciprocamente. Eppure succede: al mare, ogni volta, quando si allontana e dice “vado a farmi una nuotata” e poi s’inabissa, non senza essersi infilato in un’attrezzatura degna del più evoluto 007. E dopo che io ho sonnecchiato, letto un paio di riviste, fatto tre bagni, familiarizzato con i vicini di ombrellone, valutato se sia il caso di avvertire la capitaneria di porto per la sua prolungata assenza, eccolo riemergere, quando ormai sulla spiaggia sono rimasto solo con due gabbiani atterrati in cerca di cibo. “Ho fatto tardi?” esordisce sempre con candore “Per il falò, intendi?”, “Ma no vedi…” e via che mi parte con tutto l’elenco dettagliato di pesci, molluschi, alghe incontrati durante la sua immersione, citandomi con precisione la posizione in mare di ciascuno. E io non l’ascolto, non del tutto almeno: guardo solo il rossore dell’impronta lasciatagli dalla maschera, le sue dita raggrinzite dal freddo, e la sua bocca che sta di sicuro pronunciando parole piene di entusiasmo. Ed è quello che mi basta, a farmi sentire fortunato.

Demolition girl

▶ Miley Cyrus – Wrecking Ball – YouTube.

A me suscita tanta tenerezza. Non sto scherzando, è davvero ciò che provo ad ogni sua apparizione. Ogni volta che le vedo sbattere, ad esempio, quegli enormi occhioni azzurri, strabordanti di mascara, nel goffo tentativo di restituirci una pessima imitazione di uno sguardo ammaliante o sexy. Quando osservo le sue foto, quasi sempre poco e mal vestita, mortificata da abiti di un eclatante cattivo gusto (mai pensato di licenziare lo stylist?) congelata in pose innaturali e volgarotte, maldestramente atteggiata sui red carpet di tutti i più noti eventi musicali, davanti ad obiettivi impietosi, che ne ritraggono la pressoché totale mancanza di sensualità. Non so come spiegarlo, ma mi prende un’incontenibile, quasi fraterna, voglia di raggiungerla, porgerle un accappatoio, sussurrarle “Dai, copriti, lo vedi che non è il caso”, darle un’amichevole pacchetta sulla spalla, due pizzicotti alle guance, suggerirle “adesso andiamo a casa, ti sciacqui il viso, ti rimetti quel grazioso vestitino a fiorellini e torniamo qua, contenta?”. Perché se ti è toccata in sorte la (s)fortuna di cominciare giovanissima la tua carriera in quella fucina di talenti a stelle e strisce che è il Disney Channel (lo stesso da cui poi sono partiti Britney Spears, Christina Aguilera, Justin Timberlake…l’equivalente, per numero di volti sfornati, del nostro Non è la Rai, ma con meno gnocca), se devi parte del tuo successo a quell’immagine di brava ragazza americana, un po’ in salute, tutta sorrisi bianchissimi e vitamine, non è che di colpo ti puoi improvvisare una trasgressiva bad girl e pretendere di risultare per giunta credibile. Eppure qualcuno dovrebbe spiegarglielo a Miley Cyrus (all’anagrafe Destiny Hope Cyrus, per chi pensava che certi nomi fossero solo appannaggio di Brooke di Beautiful), ventenne cantante/attrice/produttrice/già milionaria, figlia d’arte (papà Billy Ray è uno dei tanti, da noi sconosciuti, cantanti country capelloni), esplosa come fenomeno planetario nella serie tv Hannah Montana e ora in cerca di nuova gloria come più matura (e più svestita) icona pop. Non basta ossigenarsi o rasarsi a zero i capelli (azione peraltro già tentata, più fortunosamente, dalla stessa Britney in uno dei suoi impeti schizofrenici), ricoprirsi ovunque di numerosi e insulsi tatuaggi, simili a scarabocchi, leccare voluttuosamente un martello (un martello? ma ti sembra erotico?) e volteggiare in mutande o completamente nuda in groppa ad una palla da demolizione, che guarda caso, è anche il titolo dell’ultima hit (video allegato). Mi spiace, ma da tempo siamo abituati a ben altro: ai torbidi tweet di Rihanna intenta a rollarsi sigarette sospette, alla genialità di Lady Gaga tutta rivestita di braciole, per non parlare dell’insuperata Madonna, che da decenni va avvinghiandosi a crocifissi come a tizi nerboruti, che va mimando sul palco amplessi con donne/oggetti/pavimenti, e tu Miley vuoi scandalizzarci mostrandoci un po’ di lingua, mezza tetta e tre quarti di chiappa? Ma se perfino Cher, una che nonostante il triplo dei tuoi anni potrebbe farti ancora le scarpe, ma che insomma, un esempio di stile e raffinatezza non lo è mai stata, ti ha più volte duramente criticata, perché non darle ascolto? Perché purtroppo, nonostante l’impegno profuso per affrancarti dalla  precedente immagine di divetta acqua e sapone, questa svolta sexy nella tua carriera, la tua nuova canzonetta e il relativo video pseudointrigante, saranno forse ricordati, in futuro, solo per l’involontaria, rappresentativa, metafora. Una grande, pesantissima, palla.

E un anno se ne va…

▶ Righeira – L´estate Sta Finendo – YouTube.

Non esiste alcun rimedio, sarebbe inutile perfino tentare. Potremmo ricorrere alle scuse più banali, collaudate o assurde, sostenere che all’epoca eravamo troppo giovani, completamente all’oscuro di brani che non fossero cantati da Cristina d’Avena, o addirittura, appena venuti al mondo (seh, certo, e io ho davvero 29 anni). Potremmo spacciarci per raffinati cultori di musica italiana, di quelli che ci tengono a sottolineare, in ogni possibile conversazione, di seguire solo cantautori impegnati, che so, Battiato o De Gregori, forse Guccini, al limite Dalla ma solo gli album più vecchi, e poi invece, tengono nascosti in macchina insospettabili cd di Marcella Bella o dei Pooh, e quando, con una certa soddisfazione, arrivi a scoprirglieli, si affrettano a risponderti “no, certo che non è mio, chissà come è finito lì”. Potremmo infine negare di essere creature nostalgiche, perché gli anni sulle spalle ormai ci hanno reso immuni a certi stupidi languori sentimentali, e sentire il cuore restringersi improvvisamente è soltanto un segnale allarmante da chiarire con un elettrocardiogramma, mica roba da ascrivere alla tua vulnerabilità emotiva. Potremmo tentarle tutte, ma senza successo: perché da ben 28 anni alla fine non è mai sbucata altrove nessun’altra canzone così calzante di quella sottile malinconia da arrivederci post-spiaggia, così paradigmatica del dolore da vacanza agli sgoccioli, così fedelmente adatta alla serpeggiante tristezza di cui è intriso il clima di Settembre, al pari de L’estate sta finendo dei Righeira (video allegato). Si, proprio quel motivetto finto spensierato, che rimane accucciato, attento a non farsi scorgere, anche solo per essere distrattamente fischiettato, per undici lunghi mesi l’anno, per poi uscire d’un tratto, allo scoperto, quando meno te l’aspetti, mentre stai ancora tentando di goderti l’ultimo pallido sole per esempio, o magari sei in balìa di quel meritato relax che ti ha strappato alla fatica dei giorni lavorativi, ed ecco che lui è lì, immancabile, a ricordarti che tutte le estati prima o poi volgono irrimediabilmente al termine. E per quanto si possa a fatica ricordare poco o nulla dei suoi interpreti, a parte il fatto che non si riusciva mai a distinguere la voce dell’uno da quella dell’altro, che spesso ostentavano un look eccessivo e carnevalesco, al cui confronto anche Lady Gaga potrebbe sembrare una sobria collegiale, il brano rimane ancora un’insuperabile carrellata di immagini che restituiscono alla perfezione, fotogramma per fotogramma – gli ombrelloni, i gabbiani, i “la – languidi bri – brividi” – l’incalzante malinconia di fine stagione. Certo, come ha di recente ricordato la stampa, ai due, che si erano autoribattezzati con gli improbabili nomi di Michael e Johnson per coprire, in entrambi i casi, un molto più comune Stefano, si deve soprattutto l’invenzione del “tormentone” estivo, del brano cioè dal ritornello insidioso e martellante, onnipresente per mesi in ogni locale, stabilimento o chiosco, operazione che proprio gli stessi Righeira hanno sdoganato trent’anni or sono con l’altrettanto celebre hit Vamos a la playa (http://video.repubblica.it/spettacoli-e-cultura/righeira-vamos-a-la-playa-compie-30-anni-il-videoremix-dei-successi/137177/135722). Ma in tutta onestà credo si debba principalmente riconoscer loro il merito di aver tradotto, in una canzonetta inossidabile, ciò che ognuno forse prova quando si chiude definitivamente il sipario sull’estate, quando l’autunno alle porte sembra richiamarti alla gravità dei tuoi obblighi, dei tuoi doveri, dei tuoi compiti, giustamente accantonati per far spazio alla spensieratezza e alla levità delle vacanze. Di aver dato voce, insomma, a quell’universale e illogica sensazione di ricominciare, ogni volta, a Settembre, un nuovo anno, con nuovi progetti, nuove aspettative, nuovi buoni propositi da non rispettare; di aver soprattutto riassunto, in meno di dieci parole, la solita, perenne, inadeguatezza alla vita adulta: “Sto diventando grande. Lo sai che non mi va”.

A fin di bene

▶ Freddie Mercury – The Great Pretender (Single Version) – YouTube.

Facciamo finta che questo sia un blog di spessore e perciò seguitissimo. Facciamo finta che il suo autore sia una stimata personalità in qualche campo, che le sue opinioni siano spesso illuminanti, argute, condivisibili, che ad ogni rigo che riuscite ad ultimare aggiungiate un sospiro esclamando “mio Dio, come ha ragione”. Proviamo a fingere che quella che avete davanti sia una pagina autorevole, densa di spunti intelligenti, di riflessioni originali, di idee così brillanti che sia del tutto impossibile staccarle gli occhi una volta iniziata la sua avvincente lettura. Se ci riuscite, provate anche a fingere che compaia lì accanto una sua versione in inglese, come ogni blog che si rispetti dovrebbe possedere, ovviamente con una traduzione impeccabile, mica di quelle automatiche e approssimative che si trovano il più delle volte su internet, circostanza che presuppone l’esistenza di un pubblico ampio e internazionale, come del resto la rinomata qualità del blog stesso meriterebbe. Fatto? Bene. Adesso fingete che questo post, ma in fin dei conti anche tutti gli altri, contenga una critica sottile e ben argomentata, un lucido ed esaustivo excursus sull’argomento, perché il suo autore, che abbiamo detto essere un serio esperto del settore, mica un improvvisato, nossignore, sa sempre cosa dire e come dirlo. E nonostante la sua sfolgorante carriera, fatta di numerosi impegni gravosi che talvolta non gli lasciano neanche il tempo di respirare, lui, l’autore, che sa far fronte ad ogni evenienza, che sa organizzarsi benissimo e non è mai stanco né tantomeno privo di energie, puntuale riesce ad aggiornare il suo diario online, regalando ogni volta ai suoi lettori pagine dense di parole appassionate. Perché alla fine sarebbero capaci tutti di colmare il vuoto creato dalla mancanza evidente di un post buttando lì a casaccio una canzone, seppur bellissima, (video allegato) adducendo la banale motivazione che calza a pennello con il più volte qui ripetuto verbo fingere, che anzi ne è l’apologia, e che come la maggior parte dei brani dello stesso cantante è stata formativa durante l’adolescenza del blogger, come poi ogni cosa lo è a quell’età in cui tutto ti si insinua sotto pelle per non abbandonarti mai più (neanche a 29 anni suonati). In fondo, volendo, sarebbe una colonna sonora perfetta se continuassimo a fingere che sia una serata perfetta, di una giornata perfetta, in un’estate perfetta, una in cui, ad esempio, di colpo non esistessero più le zanzare, oppure gli zampironi servissero finalmente a qualcosa, senza spezzarsi di continuo nel centro, che poi ti tocca inventare mille modi per farli stare in equilibrio, operazione impossibile quando hanno ormai assunto quella forma di spirale tronca. Non nella nostra fittizia serata perfetta, senza un difetto, in cui fingiamo di ascoltare le note della canzone citata, per poi fingere di poggiare dolcemente la testa sulla spalla della persona amata, con il brusìo del mare in lontananza e migliaia di stelle luminose a fare da sfondo, e lo stomaco pieno di insalata di polpo, quella del tuo ristorante preferito, che sa davvero di polpo fresco, mica come l’ultima che ho mangiato in città, che aveva invece la consistenza del polistirolo. Ok, facciamo finta che non abbiate letto queste ultime frasi deliranti dell’autore, che è stanco, disorganizzato, imperfetto, come d’altronde lo è il suo blog, la sua serata, o se vogliamo la sua estate, piena di di difetti, di parole inutili e di punture di zanzara (maledetti zampironi!).

Scuse da blogger

Imany – You will never know | SK* Session – YouTube.

Va bene, ne avete tutto il diritto. Di sentirvi trascurati, forse un po’ abbandonati, per non dire addirittura traditi da quel vagabondo di blogger, che dopo avervi inseguito e pregato in ogni modo e con ogni mezzo per ottenere la vostra attenzione e approvazione, sparisce per quasi una settimana dalle pagine virtuali del suo stesso blog. No, non sono ancora in ferie (magari); sarebbe stata una piacevole spiegazione per la mia breve latitanza. Eppure di notizie che avrebbero solleticato la mia immaginazione e ottenuto (presumo) il vostro consenso ce ne sono e ce ne sarebbero state in abbondanza. Il fatto è che si è sempre trattato di avvenimenti per un motivo o l’altro protrattisi per le lunghe, ben oltre le energie e la pazienza di cui sono in possesso al momento. Insomma, di stare a vedere come sarebbe finita questa o quella volta, francamente, non ne ho avuto la minima voglia. Prendiamo ad esempio il caso del “royal baby”, il bambino più atteso e già più famoso del mondo, come solo stamani ripeteva l’ennesima conduttrice del tg dalla vocina stridula. Perfino la bisnonna, sua altezza Elisabetta II d’Inghilterra, è sbottata davanti ai microfoni ammettendo la sua comprensibile voglia di andare in vacanza (perché poi, a 87 anni, non sai mica quante altre estati rimangono da goderti) alla faccia del nipotino in arrivo. Figuriamoci chi come noi non possiede la benché minima goccia di sangue blu; l’infinita vicenda della nascita dell’erede di casa Windsor, a parte una blanda curiosità per il nome (ma solo perché la famiglia di lei vanta delle scelte raffinate come Pippa, non dimentichiamolo) non rientra esattamente tra le nostre priorità. Certo, tutto il chiasso intorno a quello definito come il “travaglio reale” mi ha divertito, lo ammetto; ma solo per l’accostamento, o meglio, l’accozzaglia linguistica di due elementi così dissonanti. Voglio dire: l’aggettivo “reale” non è che si presti sempre alla perfezione ad affiancare qualsiasi termine, sennò i prossimi mesi toccherebbe fare i conti con articoli mirati ad aggiornarci sui progressi del suddetto neonato come le ”puzzette reali” o i “ruttini reali”. La scelta poi di abbinarlo alla parola “travaglio” la trovo particolarmente infelice; un momento che in genere evoca urla e sudore, donne in preda a dolori lancinanti, intente a scagliare su mariti e compagni insulti degni della bambina dell’Esorcista, di reale, ditemi voi, cosa potrebbe mai avere.

L’altra storia che in questi giorni avevo provato sinceramente a seguire al fine di commentarne qui sopra l’evoluzione, per poi invece stancarmi al primo botta e risposta di troppo, è la nota bagarre scoppiata tra il Comune di Milano e gli stilisti Dolce & Gabbana. Per chi non la conosca, tento di riassumerla velocemente, senza riportare la noia che di fatto ha colto il blogger intento a documentarsi leggendosi tutti i pezzi al riguardo. I due fashion designer, che una volta, al pari di Brooke e Ridge, rappresentavano l’ideale di amore duraturo e smisurato (e doveva essere di certo amore, si diceva, perché uno così alto e belloccio non può stare con uno più basso, bruttino e calvo senza amarlo) subiscono un’ulteriore incrinatura della loro immagine, dopo la loro separazione sentimentale del 2005, per alcuni guai con il fisco, vicenda che si conclude lo scorso Giugno con la condanna a un anno e otto mesi per evasione e l’assoluzione per altre due ipotesi di reato. L’assessore al Commercio del Comune, Franco d’Alfonso, si lascia sfuggire pochi giorni dopo una frase infelice, del tipo “non si dovrebbero concedere spazi pubblici a marchi che si macchiano di crimini particolarmente odiosi” e da qui parte la reazione (spropositata?) degli stilisti prima su Twitter (“Fate schifo” scrive lapidario dal suo account Stefano Gabbana rivolgendosi al Comune di Milano, risparmiando, di fatto, 129 caratteri su 140) poi nelle loro boutique di Milano, rimaste chiuse al pubblico (“per indignazione” come spiega un cartello sulla saracinesca abbassata) per oltre 72 ore. A rincarare la dose ci si metteranno poi gli animalisti (“l’unica indignazione è per le bestie che avete ucciso” scriveranno fuori agli stessi negozi) il sindaco Pisapia in persona (“stanno esagerando”) la stampa e i colleghi scesi spesso e volentieri in appoggio dei due. Un fatto divenuto interminabile. Ogni giorno si aggiungeva un tassello. Avrò riscritto il post a riguardo una ventina di volte. Alla fine, mi sono stufato, del tutto. Perché poi, non sarò questo incomparabile esempio di virilità, ma in un aspetto sono maschio fino al midollo: riesco a fare una cosa sola alla volta. E neanche così bene. Sicché tra il lavoro, il caldo, la stanchezza, di aggiornarmi continuamente sulle tumultuose vicissitudini del marchio (che, come prodotto ed estetica non ho mai amato troppo) ne ho avuto le scatole piene. E ho mollato. Mi sono rilassato al ritmo della canzone che al momento preferisco (video allegato), e ho dormito. Tanto. Lasciandovi orfani del vostro abituale post. Adesso però sono pronto a ripartire. Almeno credo.

(Nelle ore in cui scrivevo queste righe è venuto finalmente al mondo il primogenito di William e Kate. Che Dio c’aiuti per la scelta del nome. E che salvi le vacanze della Regina).