Ma in fondo poi, perché?

Viva La Libertà – Trailer Ufficiale – YouTube.

“Mi aspettavo un tuo post su S. Patrizio. Non eri stato per un po’ in Irlanda?” “Ale, domani è la festa del papà, di sicuro avrai già qualcosa in mente per il blog”. “Anch’io come te ho cominciato il countdown per l’inizio della primavera. E per il tuo pezzo al riguardo” “Allora, hai visto questi grillini che combinano, che ne pensi?” “Eleggono il nuovo Papa e me lo liquidi così, due paroline e nessun commento acido?”. Avere dei lettori, pochi (ma non pochissimi) e affezionati, è allo stesso tempo impegnativo e gratificante, ti ripaga degli sforzi fatti per confezionare qualcosa di leggibile e che vorresti stimolante, ma ti richiede subito dopo nuove energie, curiosità, tempo (soprattutto tempo) per tirar fuori un altro argomento, un’altra storia, un altro post, che ti auguri possa deliziare e far riflettere chi ti segue. E’ in quei momenti, a volte eterni o al contrario rapidissimi, spesi a individuare nell’oceano di notizie che sguazzano in rete l’articolo più adatto, l’avvenimento più intrigante, l’informazione più appropriata alla natura del tuo blog (che non è di certo il massimo della serietà) e al suo pubblico (variegato, fedele ed esigente…aggiungerei bellissimo, ma sconfinerei nell’adulazione sfacciata) che arrivi a porti milioni di domande. Piacerà? Non piacerà? Sarà una delusione? Un successo? E ancora: cosa ne so io e cosa potrei aggiungere? Perchè un intero spazio da gestire cucito a misura su di te è un’arma a doppio taglio: tu scegli, tu scrivi, tu dai la tua impronta e la tua opinione (già, ad avercene, sempre una!). Facile fin qui. Poi tutto quello che pensi, rielabori, di cui ti appropri dandogli una nuova forma, un nuovo volto rinfrescato dalle tue parole, non diventa solo più tuo: decidi di condividerlo, di esporti, di metterti in gioco, sapendo bene che un po’ di te rimarrà appiccicato addosso a quelle frasi, di fronte alle quali non sai mai come potrà reagire chi sceglie di leggerti. Se sceglierà di leggerti: ecco, magari credi o speri di aver imboccato la strada giusta, e invece, forse è proprio la volta in cui verrai addirittura ignorato e snobbato. Circostanza che, per fortuna, non si è mai verificata, almeno non del tutto; voglio dire, momenti di bassa o scarsissima affluenza ce ne sono stati, ci mancherebbe, di assoluto e mortificante deserto, ancora (e speriamo anche in seguito) no.

E se adesso vi dicessi che non ricordo come sono arrivato qui? Non solo “qui” inteso come filo del ragionamento, evidentemente perso diciamo al secondo rigo di questo post e mai più recuperato (perché i miei scritti rivendicano spesso una propria vita autonoma, che li porta a svilupparsi lontano da dove avevo immaginato), ma “qui” visto come punto di evoluzione del “progetto” blog, che della mia vita recente ne è un po’ lo specchio. Mi trovo a pensarci spesso in questi giorni di frenesia meditativa dovuta al cambio di stagione, quando rimango in attesa degli effetti benefici del sole sulla mia ombrosità, e ottengo invece in regalo una periodica allergia e raffiche infinite di starnuti mattutini, nottate insonni a rigirarmi nel letto come fosse una graticola, improvvisi e catastrofici sbalzi di umore. Perché ho dato vita a un blog, perché seguirlo, aggiornarlo, dedicarmici con quotidiano impegno quando potrei fare altro, distrarmi, uscire, anche solo dormire o scoprire un nuovo interesse, magari insospettabile, tipo per il giardinaggio o la cucina? La risposta, come in genere accade, mi è arrivata mentre facevo altro; la sera dell’ennesimo giorno di pioggia, trascorso ripiegato su qualche pensiero di troppo, la mia amica Claudia mi propone un film, al cinema, Viva la libertà (nel video allegato il trailer), motivata dal suo debole per Toni Servillo, che ne è il protagonista. Non ne so nulla in proposito, se non che forse lo guardiamo in ritardo sulla tempistica, essendo una pellicola decisamente appropriata al clima elettorale. Mi ricredo: è una commedia amara e universale sulla vita, sull’illusorietà dei suoi inganni, sulle beffe dei sentimenti. Sulla PASSIONE. Mi piove così d’un tratto in testa come una tegola la parola che cercavo, la ragione che mi sfuggiva, il motore di tutte le mie scelte passate e le mie azioni presenti, giuste o sbagliate che siano. Il perché di questo blog, del desiderio mai sopito di scrivere, della direzione impressa alla mia esistenza. Di intere giornate, proprio come questa, trascorse barricato dietro a uno schermo a pigiare freneticamente una tastiera, nella speranza che qualcuno legga e apprezzi quanto ho da dire.

Inspieg – abilmente

Reduce da un mini tour de force, in cui ero riuscito ad incastrare, in poco meno di 24 ore, una visita improvvisata al mio paese natìo, comprensiva di passeggiata al mare, saluto e cena a sbafo dai miei, una bevuta e due chiacchiere con la mia amica Loredana (divenute, velocemente, ben più di una bevuta e ben più di due chiacchiere), ma soprattutto 300 km di strada, da solo, sotto una pioggia ininterrotta, tornavo finalmente a casa. Ad accogliermi il caloroso saluto del mio amore “Allora domani andiamo a Vicenza?!” “Cioè, avrei potuto dormire direttamente in auto?!” “Dai, andiamo con Gabriella, poi me l’avevi promesso. Anche a Valentina!”. Già, gliel’avevo promesso. Gabriella, per fortuna, è la sua collega che l’indomani si sarebbe sobbarcata le 3 ore di guida che separano Vicenza da Firenze. Valentina invece è la “madrina” di questo blog. Colei a cui sono ricorso, sopportandosi buona parte dei miei piagnistei, quando mi sono scontrato con parole allora misteriose, come WordPress, hosting, plugin, nel tentativo di ritagliarmi questo mio spazio online. Valentina, nella vita, crea bellissime bambole completamente handmade, dall’aspetto  tenero e dal nome mitologico, Pandora, (http://www.pandoracreazioni.it/  http://www.pandoracreazioni-ilblog.it/  foto allegata) resistenti perfino alle botte e ai morsi di mia nipote di un anno (già testate). Si trovava a Vicenza, per aver vinto un concorso su internet, ad esporre le sue creazioni alla mostra – atelier della manualità creativa Abilmente (http://www.abilmente.org/nqcontent.cfm?a_id=1764) conclusasi proprio ieri. Ora, portare me, che ho il senso pratico di un invertebrato, a una fiera del genere, è come invitare Brigitte Bardot a una battuta di caccia al cinghiale. Ma ormai era troppo tardi per riuscire a svincolarsi dalla mia doppia promessa. Irrimedi – abilmente.

Tralasciando le prodezze al volante di Gabriella, che smentiscono il luogo comune delle donne imbranate alla guida ma confermano invece la loro capacità di fare più cose in contemporanea, facevamo il nostro ingresso trionfale alla mostra. Tre padiglioni enormi e labirintici, deputati ad illustrare in decine di stand, ogni tecnica, anche la più impensabile, del vasto mondo del “fai da te”, dal patchwork al tricot, passando per migliaia di tipi di decorazione d’interni, e poi i bijoux, il cake – design, il punto a croce, e un’infinità di altri mondi paralleli, a me sconosciuti. Tutti presi d’assalto da plotoni di signore, d’ogni età, provenienza e look, scatenatissime e agguerrite, spesso armate di trolley in cui ammassare i numerosi e voluminosi acquisti. Perché se c’è una cosa che salta subito all’occhio è la maggioranza femminile schiacciante: pochi gli uomini, ancor meno quelli che appaiono motivati. Gli altri, di sicuro accompagnatori, hanno l’aria spaesata e rassegnata, e talvolta si abbandonano ai lati degli stand a gesti di trattenuta disperazione, la testa tra le mani, lo sguardo fisso in alto, o interrogativo in basso, verso i sacchetti che trascinano, tentando inutilmente di intuirne il contenuto. Anche di bagni per uomini sembra non ce ne sia traccia, mentre, quelli per signore, sono ben segnalati, ovunque, da enormi cartelli in cui continuavo a sbattere. “Dovrò far pipì in mezzo ai gomitoli o ai bottoni” temevo, fino a che Valentina, forse leggendomi nel pensiero, mi ha accompagnato nell’unico bagno con la minuscola insegna “Men”, piuttosto nascosta. Ho però imparato un sacco di cose interessanti: come ottenere uno zerbino per acquaio da una busta di plastica tagliata a strisce, per esempio, o che per lavorare una borsa di fettuccia ci vuole l’uncinetto numero 9, tozzo quanto il mio dito mignolo; che esiste la cera in petali, la cui utilità non mi è ancora molto chiara, e una serie di riviste dai nomi suggestivi come “Cucire semplice” “Stencil e trapunte” “La lana cardata”. Ho girovagato, frastornato dalle potenti gomitate ricevute, tra polveri glitter e manici di borse, timbri e cartamodelli, merletti antichi e originali dimostrazioni di decoupage, tenute da signore rassicuranti come una zia ma microfonate come Madonna in tour. “Ti sei divertito?” mi chiede infine la mia dolce metà “Tantissimo” rispondo, quasi sincero. “Bene. Quindi a Ottobre torniamo!” Irrevoc – abilmente.

Le bugie del laureato

The Graduate (1967) – “Mrs. Robinson, you’re trying to seduce me. Aren’t you?” – YouTube.

Non voglio infierire ulteriormente. Anche perché, sulla figuraccia di Oscar Giannino, giornalista (e questo al momento pare vero), candidato premier dimissionario nelle liste di Fare per fermare il declino (ma trovare un nome meno complesso no, eh?) che si ritira a pochi giorni dalle elezioni dopo lo scandalo dell’attribuzione di titoli accademici mai conseguiti, si è sparlato a sufficienza. Certo, rimane lo stupore per la promozione di un movimento che si fa portavoce della “trasparenza” e che poi mette a capo proprio chi ha favoleggiato, se non addirittura costruito dal niente un fantasioso apparato effimero, sulla propria carriera e sulla propria formazione, dando così un incomparabile esempio del predicare bene e razzolar male. Ma poi, quanto ci avrebbe guadagnato in stima e simpatia (già abbastanza precluse per quel look da pirata dei caraibi più che da dandy) se, anziché andare in tv a capo chino a pronunciare il suo mea culpa solo a sputtanamento avviato (scusatemi, non trovavo una parola altrettanto calzante) avesse ammesso l’inesistenza dei suoi studi all’inizio della campagna elettorale? Il fatto è che Giannino è inciampato su un errore e su un equivoco piuttosto diffuso e indicativo di un pensiero generale: la convinzione che una laurea alla parete ti dia maggiore credibilità e sia il più immediato sinonimo di intelligenza. Permettetemi di dissentire: e lo dico anche a mio discapito, spero senza far alterare tutti quelli che come me hanno speso gli anni migliori sui libri e talvolta rimbalzato a qualche esame per raggiungere l’agognata meta di un pezzo di carta (che poi, nel mio caso, ho lasciato marcire nella segreteria dell’Università per più di dieci anni). Abbiamo avuto la fortuna di poter studiare, a costo anche di discreti sacrifici economi delle nostre famiglie: il che non ci rende automaticamente più capaci di chi ha un titolo di studio diverso o inferiore, o di chi non lo possiede affatto. Conosco persone molto più brillanti e talentuose di me ma che hanno fatto scelte scolastiche diverse e seguito altri percorsi, così come incontro spesso laureati che sono chiaramente dei gran pezzi di cretini. Lo studio equivale forse a una maggiore preparazione e competenza in una tale disciplina o materia: l’intelligenza, nella vita, si misura con altri parametri. E possedere il titolo di dottore, credetemi, non ti cambia proprio niente, se non la dicitura su alcune raccomandate che ti arrivano per posta e il continuare a cercare qualcun altro dietro di te, con lo stetoscopio al collo, quando per caso ti apostrofano come tale in una conversazione formale. La coincidenza che trovo buffa è che proprio nei giorni del clamoroso autogol di Giannino sia venuta a galla un’altra ”bugia”, durata molti più anni, 46 per l’esattezza, che in qualche modo ha a che fare con una laurea. Si è scoperto soltanto adesso infatti che la gamba che compare nella locandina e nelle scene più hot della pellicola Il laureato (1967, video allegato) con Dustin Hoffman al suo primo ruolo importante, non appartiene alla protagonista femminile, la seducente Anne Bancroft/Mrs Robinson, ma a una controfigura, allora sconosciuta, di nome Linda Gray, ossia la famosa Sue Ellen di Dallas (http://d.repubblica.it/argomenti/2013/01/30/foto/linda_gray_laureato_gamba-1485551/6/). A rivelarlo l’attrice stessa, forse per rivendicare il suo indiscutibile contributo alla creazione di  un’immagine più che iconica, entrata di diritto nella storia del cinema. Il che, nell’opinione comune, vale tanto. Molto più di un millantato e fasullo master a Chicago.

Pasticcere per un giorno

La verità è che sono troppo buono. Sbuffo, mi lagno, bofonchio, non riesco a tacere se una determinata cosa non mi va bene, devo necessariamente sottolineare come la penso se sono in disaccordo e soprattutto riuscire ad avere, sempre, l’ultima parola. Ma questa apparente ruvidezza di modi è l’equivalente del tanto fumo che circonda il poco arrosto del proverbio. Perché non so essere cattivo; sottilmente perfido, talvolta, ma cattivo proprio no. Rimango un bonaccione travestito da insensibile. E per questo finisco sempre per impelagarmi, a mio discapito, in slanci di generosità che accontentino gli altri, all’origine di situazioni imbarazzanti di cui poi mi pento amaramente. Come è accaduto in questa occasione, quando la mia amica ed ex-collega Cecilia mi ha mandato un’e.mail chiedendomi una mano per un servizio televisivo da realizzare nel programma per cui lavora. Come potevo dirle di no? Ma solo in un secondo momento vengo a sapere, quando ormai ho accettato la sua richiesta, che il mio compito sarebbe stato quello di cucinare, davanti alle telecamere e seguendo le istruzioni di un pasticcere professionista, dei dolcetti tipici di Carnevale. Io. Che da quando ho memoria non ricordo di essermi mai cimentato, neanche per scherzo o per errore, nel preparare un qualsiasi dolce, anche il più banale, che so, un tiramisù o un budino. L’unico tentativo culinario del genere, peraltro fallito, risale a milioni di anni fa, quando a casa della mia amica Sara, dove ho trascorso la maggior parte dei miei pomeriggi da teenager fingendo di studiare e inventando invece ogni giorno una valida alternativa ai libri, tentai di realizzare la copertura di meringa per una torta alla crema da lei infornata. Il risultato fu un intruglio ripugnante dall’aspetto brodoso e viscido, che neppure la Clerici o la Parodi bendate o sotto alcolici sarebbero mai in grado di riprodurre e che trovò la sua più giusta e immediata collocazione nella spazzatura, senza riuscire nemmeno a salutare il dolce per cui era nato. Non che ai fornelli sia una frana in tutto, intendiamoci. Però non amo cucinare, lo faccio solo perché costretto dalla sopravvivenza, non mi spertico nell’allestimento di piatti particolarmente elaborati o succulenti, e se a tavola siamo più di due per me la questione diviene già drammatica. Perché, per fortuna, all’organizzazione delle cene, quelle con la C maiuscola, con tanto di ospiti da deliziare e soddisfare, ci pensa il mio amore, capace di improvvisare all’ultimo minuto un pasto abbondante e memorabile, per più persone, anche se nel frigo disponiamo solo di una carota, una cipolla e una melanzana (lo so, adesso mi invidiate. Me lo sono scelto con cura, che credete?). Io, con gli stessi ingredienti, richiudo indignato lo sportello e scendo in rosticceria. Comunque, per concludere, il risultato della mia giornata da “valletto” al fianco di un vero pasticcere (che ho chiamato tutto il giorno Dario, per poi scoprire dal suo camice chiamarsi David) è questo video che vi allego, tra lo spassoso e il ridicolo, che spero apprezziate, senza insultarmi troppo dopo. Ricordandovi infine due cose: la tv ingrassa, le frittelle di Carnevale pure.

Stili di vita Rtv38

Piume e pensieri

Priscilla Finally in Rome! – YouTube.

E dire che in prima elementare odiavo il “pensierino del lunedì”. Per “pensierino del lunedì” intendo quel compito che la maestra Paola (la stessa che per farmi vincere la mia timidezza di allora e socializzare di più coi miei compagni mi cambiava di posto ogni tre giorni) ci assegnava all’inizio di ogni settimana facendoci scrivere poche righe sgrammaticate su quello che avevamo combinato il giorno prima. Che poi, a pensarci adesso, cosa diamine dovrà mai fare un bambino di 6 anni la domenica? Così, se in genere gli altri si prodigavano nei loro resoconti dettagliati, sempre identici, del tipo “Mi sono alzato. Poi ho visto la tv. Poi ho pranzato…etc”, io davo luogo alla mia sottile e infantile ribellione descrivendo invece sul mio quaderno un animale diverso ogni lunedì. E ne conoscevo a centinaia, con tanto di nome scientifico in latino, perché a casa passavo ore a imparare a memoria le pagine dell’enciclopedia con la copertina rossa che tenevamo in bella vista in salotto, soprattutto durante le mie infinite sedute di aerosol (soffrivo di asma). Fino a quando la maestra, che forse dapprima aveva ingenuamente sperato in un più rapido scemare dell’elenco di animali a me noti, dopo qualche mese si stufò di leggere interi brani su fagiani e nottole e mi obbligò, al pari degli altri alunni, a raccontarle di domeniche trascorse a giocare nei vicoli del mio paese, tra un aerosol e l’altro. Vi porterei le prove di ciò, ma mia madre, qualche anno fa, in un dannoso impeto di pulizia casalinga, ha gettato via tutti i miei quaderni fino ad allora conservati. “Prendevano troppo spazio” mi ha detto lapidariamente “poi, erano così sprecisi. Ne ho lasciati solo tre o quattro, ma sono tutti di tua sorella” “Sai quanto potrebbe costarmi di analista tutto questo?” mi sono limitato a risponderle (Ora mamma si arrabbierà perché l’ho descritta come un mostro. In realtà è una donna molto presente e premurosa. Solo che non si affeziona agli oggetti. E così negli anni mi ha cestinato biglietti, pupazzi, lettere, abiti, foto…ricordi, insomma, che per sua e vostra sfortuna tengo invece tutti bene a mente). Da dove ero partito? Ah, sì, il pensierino del lunedì. Questo post ne è un po’ la versione aggiornata, diciamo ”da grandicello”. Comincia così:

Ieri, a coronamento di un magnifico week-end a Roma, fatto di visite ad alcuni amici ed ex-colleghi, di tonnarelli cacio e pepe, musica dal vivo a Testaccio e corse da un angolo all’altro della capitale per rispettare tempi ed appuntamenti, mi sono riempito occhi, orecchie e cuore con la visione di uno spettacolo divertentissimo ed abbagliante, “Priscilla, la regina del deserto”, (video allegato) in scena al Teatro Brancaccio fino al prossimo 3 Marzo. Un musical, tratto dall’omonima pellicola del ’94 vincitrice di un premio Oscar, che nel narrare le vicende di tre drag queen in viaggio nel deserto australiano a bordo di un bus (ribattezzato Priscilla, appunto), affronta con necessaria e dissacrante ironia pregiudizi, luoghi comuni e difficoltà che da sempre circondano l’universo gay. Insomma, tante piume, lustrini e paillettes, ma non solo. Musiche disco – vintage coinvolgenti (ancora adesso ballo), costumi iperbolici ad alto tasso di spettacolarità, cast azzeccatissimo e dal talento versatile, fra cui spicca la naturalezza e la bravura di Simone Leonardi, alias Bernadette, protagonista delle battute più taglienti e riuscite. Un consiglio: precipitatevi a vederlo.

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