Canta che ti passa!

Sister act – I will follow him (HD) – YouTube.

La mia fortunatissima (c’è bisogno di spiegare il perché?) e riservata dolce metà, a cui avevo promesso, ovviamente mentendo, che non sarebbe più comparsa tra le pagine di questo blog per almeno un anno, è solita descriverla agli altri come une delle mie qualità più apprezzabili, insieme alla mia formidabile capacità di dimenticare qualsiasi suo suggerimento o biasimo in meno di dieci secondi e al mio sovente e fastidioso russare notturno. Si tratta di un’attitudine speciale, chiamiamolo pure un talento naturale, una peculiare e stramba inclinazione, che mi vien fuori senza sforzo alcuno, che consiste nello stringere immediata amicizia con persone dal carattere particolarmente estroso o bizzarro, o dal temperamento e dagli interessi curiosi o singolari. Senza girarci troppo intorno, chi nell’opinione comune spesso si merita la fama di “brava persona, forse un po’ alternativa”, talvolta di “picchiatello” o più raramente di “matto pieno”, con me ha da subito un incredibile e inspiegabile feeling; cioè, una spiegazione al tutto ci sarebbe pure, ma è proprio uno di quei casi in cui è meglio non porsi troppe domande (a questo punto, caro lettore, se nella vita siamo molto amici, faresti bene a chiederti anche tu se hai tutte le rotelle al posto giusto). Nella mia collezione di stravaganti quanto interessanti personalità conosciute nel tempo, un posto d’onore lo merita senz’altro Susanna, all’epoca del nostro primo incontro, avvenuto in un arrangiato e piuttosto economico corso d’inglese – che raggiungevamo con la sua malridotta Cinquecento bianca – brillante studentessa di matematica con l’irrazionale passione per l’astrologia. L’ultima volta che ci siamo visti invece, ormai qualche anno fa, alla sua vita semi-eccentrica aveva aggiunto un tranquillo lavoro da bancaria, una cultura da autodidatta nel sanscrito, un matrimonio con il suo fidanzato storico, vulcanologo, poi coronato dalla nascita di una splendida bambina, Deva (“perché è un nome sanscrito” mi spiegò allora, “mica per emulare Monica Bellucci”).

Durante la nostra saltuaria ma piacevole frequentazione, successe anche che la mia diffidenza alimentare verso il mondo vegetale, cioè la mia incapacità di toccare i cibi verdi senza sentirmi un ruminante, fu, soprattutto in un’occasione, una vera e propria salvezza. Declinato l’invito di Susanna ad una delle sue pittoresche cene in cui venivano serviti esclusivamente piatti a base di fiori, evitai così un’intossicazione a cui non scamparono invece tutti gli altri commensali, che si ritrovarono, senza conseguenze per fortuna, in massa a concludere la serata all’ospedale per un risotto alla ginestra poi scoperto velenoso (come del resto lo è la ginestra se cucinata). Altra avventura in cui più di una volta tentò di coinvolgermi, senza successo, fu il suo improvviso e deflagrante amore per il gospel; io, che non riesco a cantare neppure sotto la doccia perché mi entra l’acqua nel naso, che posso al limite massacrare qualche brano mentre sono al volante quando il rumore del traffico copre la mia voce, e che l’unico complimento canoro ricevuto negli anni è stato “sembri quasi Pupo” avevo deciso che non l’avrei mai seguita neanche in questo. Ma, solo per farla contenta, andai, un’unica volta, ad assistere con interesse alle prove del coro multietnico a cui aveva deciso di unirsi. “Sicuro non faccia per te?” mi chiese quella sera “in fondo sei del Leone, potrebbe giovare al tuo cuore”; frase che mi suonò misteriosa, che forse lì per lì accompagnai con il più scaramantico dei gesti, e che mi è tornata in mente questi giorni, quando, con mio enorme stupore, ho scoperto che la scienza (chi l’avrebbe mai detto) dà in pieno ragione a Susanna: cantare in un coro, farebbe sul serio bene al cuore. Questa la conclusione a cui è giunto uno studio svedese, che ha pubblicato di recente gli esiti della ricerca sulla rivista Frontiers in Neurosciences (http://www.frontiersin.org/Auditory_Cognitive_Neuroscience/10.3389/fpsyg.2013.00334/abstract) e che ha sottolineato come il cuore riesca a rallentare il suo ritmo, con tutta una serie di benefici sull’organismo, quando ci troviamo a cantare all’unisono con gli altri. Che aggiungere? Che forse, con l’avvicinarsi dell’autunno, tra i mille buoni propositi in programma (l’iscrizione in palestra, la dieta, risparmiare per quel famoso viaggio) sarebbe finalmente il caso di prendere in considerazione anche delle lezioni di canto collettive. Sempre che non preferiate un corso di sanscrito.

Ma l’estate no…

Dubito esista qualcun altro così scriteriato e cervellotico, al pari del sottoscritto (che, si sa, in quanto ad abitudini al limite dell’ossessivo e a gesti ed azioni maniacali potrebbe scrivere un intero saggio) da anni avvezzo a una simile pratica, forse meno singolare di quanto creda, se vogliamo un tantinello infantile, indubbiamente superflua come lo sono la maggior parte dei miei pensieri. Però, puntale ad ogni Agosto, per non disperdere con troppa fretta il ricordo della mia stagione preferita, cioè quella in corso, che col passare del tempo rischia di sovrapporsi e mescolarsi fumosamente con gli avvenimenti e le immagini relative alle 29 precedenti estati archiviate nella mia testa (perché, per quanto dotato di una memoria semi-infallibile, succede sempre più spesso che faccia cilecca nel datare con precisione questo o quell’evento) ho messo a punto un efficacissimo stratagemma. Basta riuscire ad individuare, tra tutto ciò che accade nell’arco dei tre mesi in questione, la circostanza più caratterizzante, il dato di maggior spicco, l’occasione o il fatto in grado di imprimere un indelebile e duraturo segno di riconoscibilità alla stagione stessa, così da poter risalire un domani, con estrema facilità, alla data di riferimento, semplicemente esclamando “Certo, l’estate 2013: era l’anno del…(e qui andrebbe inserito l’elemento di cui stavo parlando, non la parolaccia che forse vi è venuta in mente!). Si tratta di un indizio, un appiglio, un aiutino mnemonico, di natura differente e variabile, a cui poter ricorrere per districare la matassa che spesso confonde i ricordi passati; può esserlo di volta in volta un brano musicale (estate 1999, Mi chico latino di Geri Halliwell, estate 2002, Aserejè delle Las Ketchup…sempre canzoni impegnate, insomma), un dato atmosferico (estate 2003, caldo torrido record, il mio primo Agosto lavorativo in città, io che non batto ciglio di fronte alle alte temperature, sudavo anche dai gomiti nonostante due ventilatori perennementi piantati su di me), perfino un’occasione memorabile, personale o collettiva, che di colpo faccia aprire con precisione il cassetto della memoria alla determinata stagione da ripescare (vanno bene anche i grandi avvenimenti sportivi, Olimpiadi o Mondiali non importa, per il solo fatto che si succedono con ciclicità ogni tot anni, seppure nella vita quotidiana, come me, non muovete un muscolo neanche sotto tortura).

Il punto è, o se vogliamo, la ragione scatenante di questo post, che per quanto riguarda l’estate tuttora in corso, ancora non sono riuscito a mettere a fuoco il suo tratto saliente, ad estrapolarne cioè anche un solo aspetto o uno specifico punto, per quanto frivolo o  criticabile, che in futuro possa permettermi di ripensare con esattezza al suo piacevole svolgimento. Non una canzone onnipresente che possa ambire all’abusato titolo di tormentone (seppur inascoltabile, per lo meno l’anno scorso Il Pulcino Pio aveva furoreggiato un po’ ovunque), non una moda o un mania nell’abbigliamento che sia degna di tale nome (meno che mai quei terribili shorts inguinali di jeans, con le tasche interne che fuoriescono sulle cosce, da evitare se non vi chiamate Belén o se avete già compiuto il 21esimo anno di età), non una bizzarìa climatica, un accadimento straordinario, una notizia eclatante (si, vabbè, hanno finalmente condannato un grottesco ex – premier, mi rifiuto categoricamente di legare il mio ricordo estivo al suo nome). L’unico, generale, sentore, che pare accomunare le mie personali conoscenze e gli articoli più battuti in questo mese dai giornali è che stavolta, purtroppo, la parola d’ordine sembra essere per tanti “rinuncia”. Temo che la bella stagione 2013 verrà soprattutto ricordata per il numero imponente di persone che fanno o faranno a meno di concedersi quello che una volta era considerato un imprescindibile must o un sacrosanto diritto: le ferie d’Agosto. Certo, si può sempre simulare un finto snobismo e motivare la propria scelta di non abbandonare la città con una frase tipo “sai, io ad Agosto non vado mai in ferie, troppo affollato, scelgo sempre Giugno o Settembre”, che suona un po’ come chi ci tiene a precisare che preferisce la montagna al mare e poi incontri ogni week-end sotto l’ombrellone sulla spiaggia. Di fatto, tra il blogger che mai come prima si concede delle striminzite vacanze a singhiozzo (colpa mia, ho scelto una carriera disgraziata), i suoi amici nel commercio che decidono di non abbassare la saracinesca o si lamentano di continuo del numero sempre più scarso di clienti e della loro tircheria, i racconti degli habitué di mete esotiche e paradisiache che invece ripiegano sul litorale sotto casa, e, per finire, i dati serissimi e puntuali riportati dalle agenzie di stampa (http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/inbreve/2013/08/02/Estate-Coldiretti-67-italiani-casa-piu-servizi-citta_9108911.html) il panorama rischia di diventare seriamente sconfortante. Perciò il mio appello: indicatemi un valido, ottimistico, scanzonato motivo per ricordarmi di questa estate. O se preferite, anche solo un nuovo Pulcino Pio.

Troppa Grazia!

Premetto che non me l’aspettavo affatto. E prometto solennemente che non tornerò più sull’argomento. Anche perché questo blog (spero lo abbiate già notato) avrebbe una sua suddivisone tematica che da mesi, cioè dalla sua apertura, tento di rispettare a rotazione. Ma non posso fare a meno di commentare l’andamento più che soddisfacente del concorso a cui ho iscritto questo attrezzo, nato come mia valvola di sfogo sul web, mia croce e delizia, singolare passatempo e immane impegno, che grazie ai vostri voti, continuamente in ascesa, mi sta dando una delle più grandi soddisfazioni mai avute in tutta la mia esistenza. Il fatto è che da circa una settimana non riesco a pensare ad altro: ed anche quando sono in situazioni in cui la mia testa è assorbita dalla gravità di diversi pensieri (i grattacapi di un lavoro semisoffocante con le sue improrogabili scadenze, le ferie che quest’anno si annunciano risicatissime, la necessità di comprare un nuovo costume da bagno perché non entro più in nessuno di quelli vecchi…vi sembra poco?) ecco che puntualmente mi giunge una vostra chiamata, sms, e.mail, notifica di Facebook che mi aggiorna in tempo reale sull’andamento positivo delle votazioni, notizia che ogni volta fa gongolare e coccola il mio (già straripante) ego. Perciò sarebbe più che doveroso ringraziarvi uno ad uno. Chi al lavoro gira come una trottola tra i computer dei colleghi, in loro assenza, per cliccare il cuoricino accanto al mio nickname, così da assicurarmi i suoi 5/6 voti giornalieri (tranquilli, non farò nomi). Chi sottrae il telefonino a mariti, compagni, figli, o li obbliga (attendo delucidazioni sui vostri metodi di persuasione) a collegarsi al link dove compaio affiancato da centinaia di altri blogger. Chi mi messaggia ogni giorno, perché per professione si sposta tra più sedi, scrivendomi “oggi anche da qui hai ricevuto il tuo voto!”. Chi telefona a parenti e amici sparsi in tutta Italia promuovendo la mia candidatura in cambio di allettanti e impossibili ricompense. Chi si è rifatto vivo, dopo anni, perché imbattutosi per caso nella foto della mia calvizie online e ci tiene a farmi avere il suo appoggio e quello delle sue attuali conoscenze. Insomma, potrei continuare per altri tre o quattro differenti post; perché in meno di una settimana, da quando cioè, sotto affettuoso consiglio, come già vi spiegavo, mi sono buttato in questa singolare avventura, me ne avete raccontate di ogni. Se solo sapeste per quanto tempo ho rimuginato sopra l’idea di lanciarmi in un blog tutto mio, spronato dai consigli di amici e colleghi e rallentato dai milioni di dubbi che mi assalgono ogni volta che intraprendo una strada nuova (ci riuscirò? e sei poi fallisco? ma chi me lo fa fare?) vi fareste delle belle risate alle mie spalle. Perché qui sopra, al riparo dietro questo schermo e da solo con la mia consumatissima tastiera, mi sbilancio in opinioni decise, elargisco commenti acidi e pessime battute, dico la mia su ogni possibile, frivolo e criticabile avvenimento. Nella vita in realtà faccio i conti con ogni sorta di insicurezza e ripensamento, mi chiedo di continuo se abbia fatto la scelta giusta, se abbia commesso l’ennesimo passo falso, se la strada che intendo ad ogni costo percorrere sia davvero poi adatta a me. Ecco perché voglio ringraziarvi: perché non ho mai posseduto la completa certezza di essere riuscito, da solo con le mie forze, a combinare concretamente qualcosa di buono. I vostri numerosi e inaspettati voti invece, piovuti come per miracolo su questo blog, equivalgono, nella mia opinione, a un grande, inestimabile, sì.

(Adesso guai a voi se, dopo tutto questo sdilinquimento, non continuate a votarmi. Potete farlo cliccando il badge di Grazia.it che compare qui, appena sotto l’intestazione. Aggiungo che non so neppure in cosa consista o se esista un premio finale per la competizione. Per quanto mi riguarda, la mia personale vittoria l’ho già ottenuta).

Votate, di Grazia

“Ma dove sei, non ti trovo!” mi chiede Daniela, la mia amica battagliera, vegetariana e animalista, artefice di quei magnifici e voluminosi anelli d’argento che indosso tentando di nascondere il mio complesso delle mani piccole, da dodicenne. “Ci dovrebbe essere il nome del mio sito, cerca meglio” rispondo io, pensando “oh, finalmente qualcuno più imbranato di me col pc”. “Ma io vedo solo la scritta STI…ti sei iscritto come STI?” “STI  che? Daniela ma che dici? Aspetta, vado a controllare!”. Ha ragione. E’ la prima volta che mi azzardo a iscrivere il mio blog a un concorso nazionale, sul sito di una prestigiosa rivista del settore, ed ecco che l’immagine qui campeggiante per intero in cima alla pagina iniziale, con tanto di nome volutamente ironico e la mia riconoscibile pelata di fianco, viene ridotta, per evidenti esigenze di spazio, a quelle poco comprensibili ed equivocabili tre lettere. E non è tutto. Compaio come “guastino76″. Lo so, il nome utente l’ho scelto io. Ma credevo dovessi utilizzarlo solo per effettuare il login nella pagina di iscrizione; d’altronde, come ogni volta accade quando devo trovare un username per il web, “alessandro, ale, aleg” non sono mai disponibili. Perciò stavolta ho optato per il mio soprannome da adolescente, a cui sono affezionato (e con cui, purtroppo, tanti amici continuano ancora a chiamarmi). Ma se avessi saputo che sarebbe poi comparso a caratteri cubitali, ben più marcato del nome del blog stesso, tra l’altro seguito dal mio anno di nascita, quello vero (un dramma, capite?) e che non sarebbe stato assolutamente possibile modificarlo in un secondo momento, avrei digitato, che so, “bellissimo exmoro” o “figo85″. Uff.

L’idea, ovviamente, è venuta al mio amore. Io, che sono ultrapigro di natura e che già spreco, dal mio punto di vista, troppe energie per aggiornare semipuntualmente questo divertente giocattolone online, non avevo neppure notato l’esistenza del concorso. “Dovresti partecipare” mi ha detto una sera a cena, sopravvalutando al solito le mie doti di scrittore, mosso dai sentimenti che nutre per me, e stuzzicando così la mia nota vanità ”potresti ampliare il tuo pubblico”. “Dici? E’ che detesto le competizioni, lo sai. A parte quando ti batto, cioè sempre, a freccette!” “L’ultima volta ho vinto io!” ha puntualizzato, aggiungendo, “almeno fai un tentativo, cos’hai da perdere?” “La faccia?”  “Non sarebbe la prima volta”. Vabbuò, mi lascio quasi convincere, senza aver dato neanche un’occhiata ai numerosissimi iscritti. Troppo tardi: poco dopo mi ritrovo in una galleria, o meglio, in un vero e proprio girone, di ritratti ammiccanti e photoshoppati, di blogger o aspiranti tali, che gestiscono siti dai nomi eterei e suggestivi come “Soffio di dea” “Nymphea Rose” “Erotic Pink”, che hanno già migliaia (anche centinaia di migliaia) di voti e che sfoggiano profili del tipo “Sono modella/imprenditrice/mamma, fashion expert/shopping addicted/globetrotter, vivo tra New York/Londra/Barletta, mi occupo di moda/lifestyle/teatro kabuki e talvolta, quando giro forte su me stessa, mi trasformo in Wonder Woman, ma con le mie Jimmy Choo ai piedi”. “E adesso, che ci scrivo?” chiedo sgomento al mio amore dopo aver osservato la singolare carrellata di personaggi presenti. “Beh, dici sempre di avere senso dell’umorismo. Dimostralo!” mi risponde. “Quello l’ho già dimostrato quando mi sono fidanzato con te!” replico io piccato. Non importa, ormai è andata. Butto giù due scemenze al volo, condivido ovunque il link con la mia partecipazione, scrivo un messaggio collettivo ai miei amici di Facebook, impallando il loro account e ricevendo risposte del tipo “Ma che è ‘sta caxxata?” “Fanxxlo te e il blog” e via dicendo. Però sono in ballo, e quindi tocca ballare. Verbo che adoro: molto più di partecipare, figuriamoci di vincere.

P.S. Colgo l’occasione (e come non potrei?) per ricordarvi che potete votarmi tutti i giorni, fino alla fine del concorso (data ancora da stabilire) cliccando sul cuoricino (il simbolo non l’ho scelto io, non cominciamo) che trovate sotto il nome utente o sopra quello del blog in questo link: http://blogger.grazia.it/blogger?id=1231. Eternamente grato. Guastino76.

Changez la France!

Nella variegata e a tratti poco comprensibile carriera professionale del vostro blogger preferito (perché, non lo sono ancora?), abituato, anzi, quasi rassegnato, per spirito di sopravvivenza, a destreggiarsi tra i lavori più disparati, lontani dalla sua indole, dalla sua formazione, dalle sue ambizioni mai accantonate e spesso da un compenso adeguato all’impegno e al tempo profusi, fa da tempo la sua curiosa comparsa anche il singolare e alienante mestiere di bigliettaio museale. Lavoro che se non fosse per gli spazi angusti da dividere inevitabilmente con le manie o l’esuberanza dei colleghi (i vani delle biglietterie sono spesso comodi quanto un acquario per una balenottera azzurra), per la ripetitività delle solite frasi da recitare a memoria, in tre/quattro lingue diverse, migliaia di volte al giorno (con lo stesso entusiasmo manifestato da una mucca sulla via del macello) e per l’infinità dei conti a fine turno, impossibili da affrontare con la lucidità necessaria, resterebbe con un unico, insormontabile problema: i turisti. Categoria in cui, prima o poi, nella vita, rientriamo tutti, se non altro per la banale considerazione che almeno uno o due viaggetti l’anno, fossero anche a Mirabilandia o a Medjugorje (o in entrambe le discutibili mete), riusciamo a concederceli, senza forse la piena consapevolezza di quanto possiamo diventare terribilmente insopportabili per coloro che invece di turismo vivono. Perché il turista in vacanza, nel 90% dei casi, esige o dà per scontate la gentilezza e la disponibilità di qualsiasi altro lavoratore incrociato anche solo per caso, idealmente ed obbligatoriamente incluse, in ogni suo acquisto, nel pacchetto “pago – pretendo – mi rilasso”. Così, guai a rendergli esplicito il disgusto o lo sconforto che ti assale ad ogni conferma di un’ignoranza raccapricciante (“ma quale Venere del Botticelli c’è qui, la scultura o il dipinto?”), di una maleducazione indicibile (“perché, non posso cambiare il pannolino a mio figlio nel museo?”), di un’assenza evidente del più elementare abc sul funzionamento di uno spazio espositivo (“la galleria chiude alle 18.30 cosa vuol dire”?): ogni richiesta, anche la più inutile ed inopportuna, andrebbe, dal suo punto di vista, sempre ed esclusivamente accolta dalla benevolenza di un (quanto meno falso) sorriso.

In questo, e la circostanza dovrebbe consolarci almeno un po’, gli italiani non rientrerebbero però tra i popoli annoverati come i più sgarbati quando si tratta di aver a che fare con le numerose e non sempre ortodosse esigenze del turista; primato che invece l’immaginario collettivo, qualche stereotipo di troppo e probabilmente una serie infinita di aneddoti (nostri come dei nostri amici e parenti) assegnerebbero ai francesi e in particolar modo ai parigini. Scommetto che anche voi avete un cugino o un conoscente che quella volta, proprio sotto la torre Eiffel o lì di fronte a Notre-Dame, alla classica richiesta di un’informazione rivolta al passante di turno, ovviamente parigino doc (come se fosse possibile riconoscerli ad una sola occhiata) si è sentito snobbato, volutamente incompreso o ignorato perché non si era espresso con l’accento giusto, con la “r” smorzata nella maniera corretta, con quella “e” chiusa impossibile da pronunciare senza una ridicola smorfia delle labbra. Leggenda? Forse non del tutto: perché un briciolo di verità deve pur esserci se la Camera di commercio cittadina e il Comitato regionale del turismo hanno deciso all’unanimità di diffondere, tra i professionisti del settore, una sorta di prontuario su come trattare i milioni di visitatori, specialmente stranieri, che fanno di Parigi una delle mete più ricercate al mondo. Ecco che allora, tra negozianti, ristoratori e addetti vari hanno fatto la loro comparsa circa 30.000 copie del curioso fascicoletto che, come riportato dal quotidiano Le Parisien  (http://www.leparisien.fr/espace-premium/val-de-marne-94/les-commercants-parisiens-pries-d-etre-sympas-avec-les-touristes-18-06-2013-2905927.php) si limita ad elargire consigli su come riuscire a risultare più simpatici ai turisti provenienti dai cinque continenti, senza però pretendere di insegnare nulla (perché poi, si dice che i parigini siano anche permalosi). Una piccola rivoluzione insomma, che pare intaccare il noto sciovinismo dei nostri cugini d’Oltralpe e che si accompagna casualmente ad un altro lieve terremoto nelle abitudini, stavolta alimentari, degli stessi francesi. Stando infatti ai risultati di un recente sondaggio, un altro simbolo dei loro usi e costumi come la baguette  (http://www.ansa.it/web/notizie/specializzati/terraegusto/2013/06/26/Francesi-tradiscono-baguette-preferiscono-pasta_8932515.html), il tipico, fragrante filoncino, dallo scomodissimo formato, che non entra mai, neanche spezzato, in nessuna borsa, andando così sempre a finire, poco igienicamente, sotto l’ascella, verrebbe soppiantato, soprattutto dai giovani, da altri tipi di preferenze in fatto di pane. Oggetto che per fortuna, tra le varie e bizzarre richieste (vende anche poster? ombrelli? un caffè macchiato?) effettuate dai turisti al mio sportello in biglietteria non risulta. Almeno non ancora.