7 chili in…

…meno, innanzitutto, se proprio vogliamo cominciare puntualizzando il primo, vero, significativo traguardo faticosamente raggiunto in questo mio traballante e a tratti gratificante 2015. Ottenuto in tempi ovviamente più rilassati rispetto all’impossibile meta di 7 giorni, come prometteva il celebre film degli anni ’80 richiamato nel titolo di questo post, che mi è di certo arduo ricordare nei dettagli perché usciva nelle sale quasi in contemporanea alla mia venuta al mondo (avevo già confessato i miei 29 anni, giusto?). Dunque, dicevamo: fuori i primi 7 tenaci e odiosissimi chili di quei 10, poi divenuti 12, rapidamente accumulati nell’ultimo lustro e presto archiviati attorno al girovita come un antiestetico salvagente di ciccia, con la malvagia complicità di un indesiderato e persistente stress, di continui e gravosi scombussolamenti professionali e privati, della sottile e mai celata antipatia per il piccolo e scostante paesino in cui mi trovo a vivere, tutti fattori che hanno nel tempo contribuito a farmi preferire l’immediata gioia consolatoria del frigo a un po’ di necessario e salvifico autocontrollo a tavola. Cambiato registro, almeno per il momento: riprese in mano le redini di questo corpo sconsideratamente lasciato in uno stato di abbandono abbastanza prolungato, ho impiegato buona parte di questi ultimi mesi per tentare di rientrare nei miei vecchi panni, metaforici e non, seguendo pochi, semplicissimi passi che vado qui di seguito ad elencare, senza la presunzione di poterli indicare come precetti universali per riuscire a perdere peso (mettersi a dieta è affare molto più serio) ma utilizzandoli come invece come improbabile pretesto narrativo della mia recente (e non ancora ultimata) vittoria sui chili di troppo.

1) Individuare una qualche, anche assurda, motivazione: c’è sempre una causa scatenante, un punto estremo di rottura, un episodio che risuona come un improvviso risveglio di coscienza o uno schiaffo sonoro dato al tuo amor proprio sopito e che ti fa domandare d’un tratto “quand’è che sono diventato così?”. Il mio è, a dire il vero, piuttosto banale: tra le numerose foto che mia madre ogni tanto ripesca a casaccio dagli album di famiglia e che da decenni ritaglia e pieghetta a mo’ di origami, per riuscire ad incastrarle, chissà poi come, in microscopiche cornici di silver plate, riducendo di fatto l’infanzia mia e di mia sorella a una serie di ricordi penosamente sforbiciati in minuscole sagome, ha fatto la sua comparsa uno scatto che avevo, ahimè, dimenticato. Sono io, o meglio, una versione assai più giovane e snella di me, gli anni circa la metà, il doppio i capelli, mentre riemergo in costume da bagno, abbronzato e fluttuante, da uno scivolo in un non meglio identificato parco acquatico. Il riflesso della mia linea appesantita restituito al momento dallo specchio distava ormai troppo da quell’immagine da sirenetto, seppur datata, che non posso neanche sognare di replicare in questa vita, ma trattandosi comunque dello stesso soggetto, un qualche margine di miglioramento potevo, anzi dovevo, provare a prenderlo in considerazione.

2) Evitare i consigli disastrosi di amici e conoscenti: la mia gelataia di fiducia, furbi occhi orientali e marcato accento toscano, vista calare drammaticamente la mia presenza nei pressi del suo bancone, ha da subito compreso le mie intenzioni. “Sei a dieta, eh?” mi dice porgendomi il solito (piccolissimo) cono all’amarena che mi concedo almeno un paio di volte a settimana “questo dunque è il tuo pranzo?” “Il mio pranzo, vuoi scherzare?” “No, no, io l’ho fatto per un periodo, funziona, provaci” “Se provassi sul serio tra 5 minuti mi vedresti prendere a morsi i passanti!”. Christine, la studentessa americana di Denver che incrementa il suo curriculum scolastico con viste guidate gratuite nel posto dove lavoro e che quotidianamente sfinisco di domande assurde sul suo paese (“ma li avete i piccioni in Colorado?” “e un cucciolo di bisonte l’hai mai preso in braccio?”) mi suggerisce invece di andare, come lei, in palestra dall’1 alle 3 di pomeriggio “Sudi tantissimo e poi non c’è mai nessun altro!” “Ecco, e ti sei mai chiesta il perché?”. Niente rinunce drastiche o eccessi sportivi per me: solo un po’ di necessaria moderazione con il cibo (consigliabile i primi tempi una museruola) e un tragicomico corso virtuale di zumba, per ora fermo alla prima lezione, che in genere concludo maledicendo e insultando la mia troppo frenetica insegnante, Robbberta (non è un errore di battitura, lo pronuncia proprio così il suo nome).

3) Instaurare un rapporto amichevole con la bilancia: alla fine è un oggetto come un altro, inutile acquistare un apparecchio ipersofisticato, di quelli che rilevano anche se indossate o meno le lenti a contatto, altrettanto dannoso (soprattutto per la psiche) sfidarla ogni giorno imponendole la vostra stazza, nella remota speranza di aver perso anche solo quel paio d’etti dalla sera alla mattina. La mia ad esempio è un quadrato sottile in simil vetro verdastro, rigorosamente made in Taiwan, che esordisce facendo lampeggiare sul display un saluto sgrammaticato tipo HELO, introvabile in alcuna lingua conosciuta, e che alla seconda riprova consecutiva mi regala sempre quel mezzo chilo in meno rispetto a quanto annunciato nei trenta secondi precedenti. Forse poco attendibile ma di sicuro più confortante. Poi scegliete una farmacia di fiducia, posta al riparo da occhi indiscreti, che si trovi anche a tre, quattro quartieri più in là rispetto a dove vivete, in cui poter entrare con una scusa (comprare le Zigulì funziona sempre) per andarvi invece a pesare ogni 15 – 20 giorni. E ricordatevi di regalare le Zigulì al primo bambino che incontrerete uscendo.

4) Prendersi qualche silenziosa rivincita: studi approfonditi (condotti dal sottoscritto in un libro nero appositamente stilato) dimostrano che solo un terzo delle persone che nel tempo avevano malignamente sottolineato la vostra evidente fase espansiva con frasi carine del tipo “abbiamo messo su qualche chiletto, eh?”, troveranno poi il coraggio di notare in maniera altrettanto esplicita la vostra buona forma ritrovata. Il che non vuol dire che non ne se ne siano rese conto, anzi: anche perché poi, nel più dei casi, sono proprio gli stessi individui che ben più di voi necessiterebbero di una qualche mirata ristrutturazione fisica. Limitatevi a salutarli con il migliore dei vostri sorrisi, facendo scivolare lentamente il vostro sguardo sulle loro pancette o sui loro fianchi rotondetti ancora ben saldi al loro posto e ad aggiungere poi con tono innocente un “Tutto bene?”. E godetevi il momento.

Tempi d’estate…

A quelli che “ma che fine hai fatto, sei sparito da settimane, anche dal tuo stesso blog?!” eppure fatichi a ricordare una sola volta in cui si siano prodigati in un commento striminzito, un finto cenno di apprezzamento o perfino un “sì, bravino” di cortesia per una qualsiasi delle tue numerose scemenze scritte. A quelli che “ma perché, tu scrivi? ah, di moda? ah!” e poi passano rapidi a scannerizzarti con lo sguardo per assumere subito quell’espressione di insolito stupore traducibile in “avrò capito bene? ma se è vestito come un mentecatto?” A quelli che immancabilmente ti inondano di messaggi su Whatsapp per aggiornarti sulle condizioni meteorologiche del posto in cui si trovano, sui piatti che stanno fotografando da ogni lato prima di assaggiare, sui loro prossimi, irrinunciabili, acquisti in saldo e non riescono invece mai a digitare un semplice “ciao, come stai?” sulla stessa riga. A quelli che si manifestano sui social solo per condividere i propri fighissimi scatti introdotti da milioni di #cool #party #summer #thepenisonthetable #hofinitoleparoleininglese #peròtifaccioinvidia? ma con tutta probabilità in quel momento si stanno annoiando a morte, lì a testa bassa in disparte a giocherellare con l’amato smartphone. A quelli che ogni occasione è buona per poter piangere miseria e poi sugli stessi social postano quintali di selfie realizzati in pochi giorni ai quattro angoli del mondo e ti viene il dubbio che il Taj Mahal o quei mari tropicali ben visibili dietro ai loro faccini sorridenti forse siano solo degli sfondi posticci appesi alle pareti di casa. A quelli che dalle loro rubriche sentenzieranno il prepotente ritorno di moda per questa stagione del giallo pannocchia, della frangetta scalata da un lato, delle unghie dipinte con miniature di swarovski, il tutto con quel tono solenne poi, spropositato perfino per la più autorevole delle riviste scientifiche, figuriamoci per dei giornalini adatti in molti casi ad incartare il pesce al mercato. A quelli che “tu non hai figli, non puoi capire che stress sia d’estate portarli al mare, tra i giocattoli, la merenda, la sabbia, le urla per farli uscire dall’acqua” e a te viene crudelmente da pensare che se il loro maggiore desiderio fosse stato godere di lunghi periodi di relax avrebbero dovuto fare piuttosto un abbonamento annuale ad una spa e non un bambino. A quelli che “tu non hai capelli, non puoi capire che stress siano d’estate, fra il caldo, la salsedine, le docce giornaliere, la piastra” e a te viene crudelmente da invocare una qualsiasi divinità che possa darti subito ascolto e renderli così calvi all’istante, lì davanti ai tuoi occhi, in modo da poter aggiungere sarcastico di fronte al loro sgomento “un gran sollievo adesso, eh?”. A quelli che da creature caritatevoli condividono ovunque gli appelli per la realizzazione del monumento in bronzo al cane randagio cittadino o si commuovono ad ogni video di gattino dondolante dal lampadario del salotto, poi però sostengono che sia altrettanto legittimo e sacrosanto inneggiare a ruspe, maceti, distruzioni di massa programmate ai danni di altri esseri umani. A quelli che la colpa è sempre e soltanto altrui se non vengono mai ascoltati, compresi, trattati con la giusta considerazione e mai una volta che sorga loro il dubbio di non essere abbastanza originali o interessanti, perché accusare il prossimo della propria inadeguatezza è più comodo e veloce che fare della sana e necessaria autocritica. E soprattutto a me, che grossomodo dalla fine di Febbraio non faccio altro che sospirare contando ad una ad una le ore interminabili che mi separano dall’inizio dell’estate, e quando questa finalmente bussa alle porte mi ritrovo sempre troppo avvilito, stremato, scarico, non solo per gioirne appieno come vorrei ma anche per riuscire a confezionare ad un buon ritmo qualcosa di vagamente appetibile o anche solo grammaticalmente corretto sul mio stesso blog. Che la bella stagione appena iniziata ci conceda di ritrovare parte delle energie indispensabili per pensare, dire, scrivere cose di gran lunga più intelligenti o sensate. O, in alternativa, pile di buone letture o di sudoku facilitati con cui sgombrare la testa sotto l’ombrellone per fare il dovuto spazio a idee ed opinioni migliori. Che sia per tutti una magnifica estate.

Creazioni di (buon)gusto…

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Che l’amore per il cibo e i piaceri della tavola si siano imposti, negli ultimi tempi, come la più ricorrente, contraddittoria e inflazionata passione/ossessione di questo millennio, pare ormai un’assoluta certezza. Impossibile difatti incappare in un solo canale televisivo, magazine o spazio social che non abbia pensato di scomodare il parere autorevole di qualche chef stellato o il consiglio per la spesa della prima conduttrice improvvisatasi un’esperta del settore, per dar luogo ad una rubrica, un contest, una cucina reale o virtuale in cui poter fare sfoggio delle proprie abilità amatoriali o professionali ai fornelli o della propria, oggi quasi indispensabile, approfondita cultura in materia di piatti e alimenti. Curato e spettacolarizzato allo stremo il suo lato estetico, previa necessaria presentazione scenografica da immortalare e condividere sul web ogni istante, ridotto spesso ad un voyeuristico piacere per gli occhi più che per il palato o per lo spirito, il mondo della tavola e la sua conseguente, spasmodica, dedizione si sono trasformati in una nostra priorità quotidiana quasi quanto lo stesso bisogno di mangiare, soprattutto nell’anno della discussa Expo milanese incentrata proprio sul tema dell’alimentazione. Che il linguaggio della moda abbia invece da sempre, ed è il caso di dirlo, “nutrito” un rapporto più sottile e complesso con il variegato universo del cibo, a cui ha molte volte guardato per attingere forma e ispirazione in maniera irriverente o al contrario evocativa – basti pensare alle note gorgiere seicentesche correttamente definibili “lattughe” o alle maniche “a prosciutto” degli abiti femminili di fine ’800 – è un aspetto non così scontato, senza dubbio più intrigante, più che mai attuale ed oggi finalmente indagato nella singolare quanto incantevole mostra L’eleganza del cibo. Tales about food and fashion (foto allegata), inaugurata soltanto lo scorso 18 Maggio presso i Mercati di Traiano a Roma. Oltre 160 prestigiose creazioni databili dagli anni ’50 fino ai giorni nostri, fra abiti raffinatissimi e divertenti accessori provenienti da diverse fondazioni, collezioni private, archivi di maison storiche, che rimaranno visibili al pubblico fino al 1 Novembre, tutte riunite dai curatori dell’esposizione Bonizza Giordani Aragno e Stefano Dominella sotto il comune denominatore di un continuo e stuzzicante dialogo sul cibo, in un gioco di rimandi e citazioni imperniato spesso sull’ironia o sulla sperimentazione materica. Si va dai grandi protagonisti del prêt – à – portér italiano (Krizia, Gianfranco Ferré, Antonio Marras, Romeo Gigli) in un vortice di stampe, moduli decorativi, soluzioni grafiche o tessili ispirate agli alimenti più vari, alle spiazzanti e coloratissime trovate che arricchiscono i capi firmati Enrico Coveri, Moschino, Agatha Ruiz della Prada, fino ad ardite invenzioni come il completo di Gattinoni ornato con spighe di grano e biscotti veri o il suggestivo abito del giovane Tiziano Guardini interamente realizzato con radici di liquirizia intrecciate. E poi ancora nomi celebri come Giorgio Armani, Emilio Pucci, Etro, Jacques Fath, Ken Scott, Laura Biagiotti e le loro calibrate ed originali interpretazioni sullo stesso tema: una mostra davvero unica, consigliabile soprattutto a chi pensando al binomio moda e cibo riesca soltanto a ricordare quell’abito di carne rossa indossato da Lady Gaga.

Inno alla M(ed)usa

Riccardo Tisci Donatella Versace

Difficile immaginare un regalo più sorprendente per festeggiare i propri 60 anni, considerevole traguardo raggiunto, non proprio in sordina, soltanto lo scorso 2 Maggio, dalla più bionda, discussa e tenace icona della moda internazionale, Donatella Versace. Eppure sua signora del platino abbagliante e della più sfacciata trasgressione in passerella, erede, suo malgrado, di quel barocco e controverso impero stilistico costruito sin dalla fine degli anni ’70 grazie alla genialità del fratello Gianni (tristemente assassinato nel 1997) ci ha così da tempo abituati alla costante frenesia delle sue altalenanti vicende private e professionali, che rimanere di nuovo spiazzati dall’eco di certe nuove e sbalorditive trovate sembrerebbe ormai quasi impossibile. Eccezion fatta per quello scatto firmato Mert & Marcus lasciato trapelare sul proprio account Instagram da Riccardo Tisci (foto allegata) e che ritrae proprio l’italianissimo designer, da una decina d’anni al timone della storica maison Givenchy, teneramente appoggiato alla Versace, scelta dunque come singolare testimonial della sua prossima campagna autunno/inverno. Una decisione che non solo si pone al di là di ogni più ragionevole consuetudine esistente nel fashion system  -  uno stilista affermato che posa per un’altra casa di moda francamente non si era mai visto – ma che rappresenta anche una piccola rivoluzione sul piano estetico per la stessa Givenchy, tradizionalmente associabile al fascino raffinato e discreto di dive del passato come Audrey Hepburn. E che adesso scommette invece sull’originale e naturalmente platinata presenza della Versace, riconoscendole più che mai il valore trentennale del suo innegabile ruolo di icona ante litteram e sui generis, in un’operazione dettata forse anche da sincera amicizia, oltre che da ovvie ragione di marketing, e che assume tutti i contorni di un gradito e spassionato omaggio, al quale vogliamo unirci. Perché Donatella Versace non potrà mai forse essere indicata come un esempio calzante di eleganza tout – court -  troppi tacchi, troppo attillata, insomma sempre troppa – diventando poi spesso un facile bersaglio su cui scagliarsi per quell’eccessiva e deleteria smania di ritocchini, ma è al contempo una donna a cui non sono mai mancate abbondanti scorte di coraggio e di vera umiltà. Per aver riconosciuto sempre di non possedere neanche la metà del talento del fratello ma senza per questo aver indietreggiato di fronte alla gravità dei suoi faticosi compiti, per non aver mai nascosto pubblicamente tutte le proprie fragilità e i propri disastrosi errori e per essere comunque riuscita ogni volta, caparbiamente, a rialzarsi. Una musa guerriera a cui si perdona anche l’aver recentemente abbandonato, sul red carpet del Met Gala di New York, lo scorso 4 Maggio, quella sua nota sfumatura accecante di biondo in favore di una nuance da serigrafia warholiana e l’aver inguainato nella stessa occasione l’esplosiva Jennifer Lopez in un abito piuttosto improbabile che farebbe sembrare qualsiasi altra donna dai fianchi mediterranei un insaccato appeso in macelleria. Peccatucci in grado di commettere solo lei, l’unica nostra diva di nome Donatella, o comunque la prima a comparire, in un qualsiasi motore di ricerca, ben al di sopra di quella coppia di cantanti semisconosciute da reality show.

Two weeks notes

Sono trascorse soltanto due settimane dall’ultima volta che i miei pensieri bislacchi hanno trovato il loro adeguato spazio nella generale scombinatezza di questa pagina – un periodo infinfluente se messo in relazione, per esempio, con il trascorrere delle ere geologiche, ingiustificabile se confrontato invece con la rapidità con cui vengono aggiornati altri e più seguiti blog – eppure a me pare un’eternità. Non tanto per le comprensibili lamentele o tiratine d’orecchio da parte di chi, inspiegabilmente, si è così affezionato ai contenuti insensati dei miei vari post, da lamentarne in questi giorni l’evidente mancanza o arrivare a manifestarmi tramite social, e.mail o chilometrici sms di richiamo tutta la propria, apprezzatissima, preoccupazione. Quanto perché quella sfuggente e capricciosa entità che è il tempo, ultimamente è sembrata quasi provare un divertimento sadico nell’infarcire le mie giornate recenti di un’insolita concentrazione di piccole e grandi rivoluzioni, di momenti indimenticabili o al contrario drammatici, di entusiasmanti novità e trasformazioni radicali che in genere faticherei a metabolizzare anche nell’arco di un anno intero. Lasciandomi così spesso in balìa di un soffocante senso di stordimento, diviso come sono fra altalenanti attimi di euforia o di pressoché totale sconforto, ingegnandomi come posso ad inseguire la mia esistenza che attualmente necessiterebbe di un’addrizzatina o almeno di una maggiore pianficazione rispetto all’andamento anarchico che sta adesso rivendicando. Inutile aggiungere che a causa di tutto questo trambusto indesiderato sono mancate la concentrazione, la voglia e le energie occorrenti per scrivere qualcosa di vagamente appassionante o anche soltanto di logico. Ed è il motivo per cui, a quindici giorni esatti dalla mia ultima comparsa qua sopra, mi ritrovo ancor oggi privo di un qualsiasi materiale da condividere, eccezion fatta per alcune brevi annotazioni che ho buttato qui alla rinfusa nella remota speranza che potessi svilupparci, chissà quando, un post più articolato, e che vi lascio sotto forma di piccole lezioni quotidiane che ho tratto dalle numerose dis/avventure vissute.

- Credere alla forza ostinata dei propri sogni, infischiandosene di pressioni o ansietà inutili, perché non è mai troppo tardi per cominciare un nuovo percorso, per chiudere un vecchio capitolo, per concretizzare le nostre più intime aspirazioni, perché, come mi ha dimostrato il mio amore, per quanto possano essere alti gli ostacoli posti dalla vita, l’importante è continuare a voler raggiungere il proprio traguardo.

- Ascoltare con la dovuta attenzione chi ti siede, anche casualmente, a fianco, perché le parole altrui sono finestre spalancate su mondi che non pensavamo mai di esplorare, perché le storie e le passioni incarnate dagli altri, fossero anche lo studio del sanscrito o la danza acrobatica con i tessuti, anche se lontanissimi da noi, possono trasformarsi in un arricchimento improvviso ed impensabile per i nostri limitati orizzonti.

- Coccolare i propri ricordi, senza intenti nostalgici o struggenti rimpianti, perché il passato può sempre decidere di ribussare piacevolmente alle nostre porte, perché ritrovare un vecchio affetto o un rapporto d’amicizia trascurato o dimenticato è una magnifica occasione per un altro, inaspettato inizio, o perché dover dire addio a chi a suo tempo ha riempito le tue giornate con la sua risata fragorosa può diventare meno devastante.

- Ringraziare chi decide di coinvolgerti d’un tratto nella sua vita, magari travolgendoti con la disperazione di uno sfogo imprevisto o affidandoti la preziosità di una più intima confidenza, perché per alleggerire ciò che sembra insormontabile a volte è sufficiente solo un cenno col capo, un caffé o un abbraccio. E perché poi un semplice grazie ha un suono bellissimo, e non costa nulla.